di Jonathan Martini (Politico)
Il tanto atteso e pubblicizzato viaggio all’estero di Obama, fatto soprattutto per superare la percezione che non è in grado di fare il comandante in capo, è arrivato nel momento giusto perché i recenti eventi in Iraq, Iran e Afghanistan si sono inseriti perfettamente nel suo messaggio.
L’Afghanistan, che per Obama deve essere il fronte centrale della lotta al terrorismo, è tornato sulle prime pagine dei giornali per l’uccisione di nove militari USA, la scorsa settimana, ad opera di terroristi, a conferma della rinnovata pericolosità dei Talebani.
Poi l’amministrazione Bush ha spedito il sottosegretario di Stato per gli Affari Politici William J. Burns, il terzo più alto rappresentante del Dipartimento di Stato, in Svizzera per incontrare ufficiali iraniani e rappresentati degli altri paesi e discutere delle ambizioni nucleari di Teheran. Dopo essere stato attaccato per mesi dai Repubblicani per la sua volontà di sedere allo stesso tavolo incondizionatamente con l’Iran, la posizione di Obama è stata di fatto avallata dallo stesso Dipartimento di Stato.
“Sono felice che l’amministrazione Bush abbia cambiato idea e inviato dei negoziatori per parlare direttamente” ha commentato Obama.
Ma è in Iraq che Obama ha ricevuto il regalo più gradito.
In primo luogo, la Casa Bianca e il premier Iracheno al-Maliki hanno annunciato insieme l’intenzione di fissare un “orizzonte temporale” per il ritiro statunitense dall’Iraq, un’ipotesi finora sempre rifiutata da Bush.
Sabato 19, il settimanale tedesco Der Spiegel ha pubblicato un’intervista in cui al-Maliki, alla richiesta di stabilire una data per il ritiro, ha risposto “Il prima possibile, per quel che ci riguarda. Il candidato alla presidenza Barack Obama ha parlato di 16 mesi. Ci sembra il giusto tempo, con la possibilità di qualche piccolo cambiamento”
Successivamente il portavoce di al-Maliki ha specificato che ogni ritiro sarà fatto di concerto con il governo USA, e ha aggiunto che il premier era stato “frainteso”, pur senza specificare in cosa.
Al-Maliki, comunque, aveva già reso chiara la sua posizione. Secondo la Associated Press, il premier avrebbe usato la minaccia delle prossime elezioni americane per forzare la mano a Bush e arrivare ad un accordo sui tempi del ritiro.
Oltre che su Bush, al-Maliki ha messo pressione anche a McCain, la cui posizione favorevole ad una permanenza indeterminata americana in Iraq non incontra più il favore del governo locale.
I Democratici hanno subito colto la palla al balzo ricordando che nel 2004 il Senatore dell’Arizona aveva dichiarato di voler rispettare la volontà del governo iracheno.
“Il tempo stabilito per il ritiro non è importante quanto vincere con onore, cosa che evidentemente non interessa a Barack Obama “ ha detto il consigliere di McCain Randy Scheunemann “la verità fondamentale rimane che il Senatore McCain aveva ragione sull’aumento delle truppe, e il Senatore Obama torto. Oggi non saremmo nelle condizioni di discutere un ritiro se avesse prevalso la visione di Obama”.
© 2008 Capitol News Company LLC
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento