Il primo mandato presidenziale di Bill Clinton fu contraddistinto da una sensibile ripresa dell'economia, culminata con l'azzeramento del deficit, e da una serie di riforme moderate riguardanti alcuni aspetti del sistema sociale. Gli indici di gradimento di Clinton erano piuttosto alte, ma le elezioni di medio termine del 1994 avevano visto i Repubblicani, guidati dal battagliero Newt Gingrich, conquistare una netta vittoria che li aveva portati per la prima volta negli ultimi 40 anni ad avere la maggioranza sia alla Camera che al Senato, creando serie difficoltà alle proposte di legge del Presidente. Questo infondeva nel Gop la sensazione di poter fare il colpaccio.
In casa Democratica, Clinton e Gore riottennero la nomination praticamente senza rivali, anche perchè l'unico serio concorrente, l'ex Governatore della Pennsylvania Bob Casey sr. storico rivale di Clinton, fu costretto a rinunciare a candidarsi alle primarie per motivi di salute.
Nonostante un certo ottimismo nato dai risultati elettorali del 1994, nessun pezzo da novanta del Gop accettò di candidarsi alle primarie. Lo speaker alla Camera e leader del partito Gingrich, il Governatore del Texas George W. Bush, gli ex Segretari alla Difesa Dick Cheney e Donald Rumsfeld diedero forfait. Tra i numerosi candidati, spiccavano il 73enne leader al Senato ed ex candidato alla vicepresidenza Bob Dole, il giornalista conservatore Pat Buchanan, il miliardario Steve Forbes e il diplomatico afro-americano Alan Keyes.
Dole era visto come il favorito, ma all'inizio delle primarie Buchanan raccolse a sorpresa delle nette vittorie in Alaska e New Hampshire, mentre Forbes conquistò Delaware e New Mexico. Dopo questi passi falsi iniziali, Dole conquistò tutti gli altri stati e l'11 giugno si dimise da leader del Senato per accettare la nomination.
Per cercare di dare una scossa ad una campagna elettorale che non entusiasmava la base del partito, Dole scelse come vice l'ex stella del football Jack Kemp, da tempo impegnato in politica e molto gradito ai conservatori.
Dopo la campagna del 1992, Ross Perot decise di riprovarci candidandosi per il partito da lui fondato, il Reform party. La corsa non iniziò nel migliore dei modi, visto che il miliardario faticò persino ad ottenere la nomination del suo stesso partito.
Clinton iniziò a concentrarsi sulle elezioni di novembre già all'inizio dell'anno, e seguendo i consigli dei suoi analisti raccolse una enorme somma di denaro da spendere in spot e apparizioni televisive negli stati chiave. La strategia di Clinton consistette soprattutto nel dipingere l'avversario come un anziano conservatore lontano dalla gente, prima ancora che Dole potesse replicare. Dole d'altronde era frequentemente oggetto di parodie per il vezzo di parlare di se stesso in terza persona e di tenere sempre una penna nella mano destra per camuffare la paralisi dovuta alle ferite di guerra.
Dole cercò di qualificarsi come un esperto, basandosi sulla sua immagine di veterano ed eroe della Seconda guerra mondiale, ma la sua imamgine appariva irrimediabilmente fragile e vecchia accanto al 50enne Clinton. Dole inoltre si isolò tenendosi lontano sia dalla stampa che dagli elettori, e commise alcuni passi falsi: alcuni in senso figurato, come quando si riferì ad una squadra di Brooklyn che non esisteva più da 40 anni, altri in senso letterale come quando cadde rovinosamente dal palco durante un comizio.
Tuttavia la campagna elettorale dei Democratici fu danneggiata da uno scandalo riguardante i fondi raccolti: il Washington Post sostenne che il governo cinese aveva partecipato alla raccolta fondi del partito, in barba alle leggi che impediscono ai non americani di donare soldi ai partiti. Diciassette persone vennero arrestate, e lo scandalo toccò anche Al Gore, che aveva partecipato ad un evento presso un monastero buddista in California, violando le leggi che vietano alle organizzazioni religiose di donare soldi ai politici. Il DNC alla fine restituì i soldi ricevuti dai cinesi.
Ross Perot venne escluso dai dibattiti presidenziali e citò i media in giudizio.
Le elezioni si tennero il 5 novembre, e la mappa elettorale rimase praticamente invariata rispetto a quattro anni prima. Clinton non riuscì per poco a superare il 50% di voti, ma vinse comunque con larghissimo margine, conquistando il 49,24% del voto popolare e 31 stati più DC, pari a 379 Grandi elettori. Bob Dole conquistò 19 stati e 159 Grandi elettori, con il 40,71% del voto popolare. Ross Perot si fermò al'8,4%, meno della metà rispetto a quanto ottenuto nel 1992.
Clinton ottenne un enorme vantaggio fra le donne, ma non tra i maschi, e per la prima volta, un Presidente venne eletto senza aver conquistato la maggioranza nel voto maschile. Nonostante la vittoria schiacciante, Clinton perse sette degli undici stati del Sud, la peggiore performance per un presidente rieletto. Cominciò nel 1996 il declino dei Democratici nel Sud, che causò poi le sconfitte degli anni a venire.
Bob Dole conquistò il poco invidiabile primato di essere l'unico politico americano ad aver perso le elezioni sia come candidato alla vicepresidenza (1976) che come candidato alla presidenza.
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