Fino al 1991, la popolarità di George Bush viaggiava a gonfie vele, e non c’erano molti dubbi sulla sua rielezione l’anno successivo. Poi però l’economia iniziò a fermarsi, minacciando la recessione, e Bush fu costretto a infrangere la sua principale promessa delle elezioni del 1988, quella di non aumentare le tasse. Inoltre la conclusione della prima guerra del Golfo, che aveva lasciato al suo posto Saddam Hussein, pur rispettosa del mandato Onu, sarebbe stata percepita in seguito come segno di debolezza.
Nelle primarie Repubblicane, Bush venne sfidato dal giornalista conservatore Pat Buchanan, portavoce di quella fazione del partito irritata con il Presidente per l’aumento delle tasse. Dopo una vittoria in affanno in New Hampshire, Bush vinse comodamente le altre primarie, ma alla convention – dopo aver cercato inutilmente di sostituire Dan Quayle – fu costretto a includere molte istanze dei conservatori nel suo programma.
A causa dell’alta popolarità di Bush, molti leader Democratici nel 1991 annunciarono che non si sarebbero presentati alle primarie, ritenendo che il Presidente avesse la vittoria in tasca e che per la rivincita si sarebbe dovuto attendere il 1996. Tra questi ci furono Dick Gephardt, Mario Cuomo, Lloyd Bentsen, Sam Nunn. Al Gore decise di non candidarsi perché pochi mesi prima suo figlio Albert era rimasto gravemente ferito in un incidente stradale e la convalescenza del bambino non gli avrebbe consentito di fare campagna.
Bill Clinton, giovane Governatore dell’Arkansas quasi sconosciuto a livello nazionale, aveva annunciato da mesi la sua discesa in campo, affermando di poter battere Bush quando nessuno lo credeva possibile. Poco prima delle primarie, Clinton fu colpito da uno scandalo simile a quello che 4 anni prima aveva distrutto le aspirazioni di Gary Hart. Una donna di nome Gennifer Flowers rivelò alla stampa di aver avuto una relazione con Clinton: lui riuscì a trasformare questo scandalo in un punto di forza, ammettendo la relazione e presentandosi in tv con la moglie Hillary per chiedere scusa. La vicenda lo rese popolare in tutto il paese. In Iowa, però, a vincere fu Tom Harkin, mentre in New Hampshire prevalse il Senatore Paul Tsongas,
favorito negli stati del nord. Clinton riuscì ad arrivare secondo, e si etichettò come “Comeback Kid”. Clinton vinse quasi tutti gli stati del Super Tuesday, chiudendo virtualmente la partita anche a causa del ritiro di Tsongas, che nel frattempo aveva scoperto di avere un cancro. Quando tutto sembrava fatto per Clinton, scese a sorpresa in campo l’ex Governatore della Florida Jerry Brown, che mise in campo una imponente macchina di raccolta fondi e sembrava poter impensierire il front-runner. Ma Brown commise una leggerezza aprendo ad una vicepresidenza di Jesse Jackson, malvisto dagli elettori ebrei, e fu penalizzato da un momentaneo ritorno di Tsongas. Dopo le primarie di New York, Clinton ottenne la nomination. Clinton scelse come vice Al Gore, contraddicendo la consuetudine che vorrebbe che il n.2 bilanciasse le debolezze del nominato. Gore era giovane come lui, del sud e moderato come lui, ma così Clinton rafforzò la propria immagine “fresca” e scelse un candidato ritenuto forte sui valori della famiglia.
I timori degli elettori verso il deficit pubblico e l’inadeguatezza della classe politica spinsero il miliardario texano Ross Perot, noto per aver organizzato nel 1980 un temerario blitz per liberare i suoi dipendenti prigionieri in Iran, a candidarsi alle presidenziali mettendo in campo il suo enorme patrimonio. Perot scelse come vice il veterano James Stockdale e riuscì a raccogliere abbastanza firme da presentarsi in tutto gli stati, e a giugno i sondaggi lo davano in testa, con il 39% contro il 31% di Bush e il 25% di Clinton. Perot rovinò tutto ritirandosi dalla corsa a luglio e rientrandoci poche settimane dopo, accusando poi i Repubblicani di averlo costretto a farsi da parte minacciando di mandare all’aria il matrimonio di sua figlia.
Il ritiro di Perot e una convention magistrale, in cui tutto il partito fece quadrato attorno al nominato, Clinton riuscì a guadagnare 20 punti percentuali, arrivando al 55% contro il 31% di Bush.
Dopo la convention, Clinton e Gore iniziarono un tour in autobus per gli Usa, mentre Bush e Quayle sottolinearono l’inesperienza del Democratico in politica estera e lo attaccarono per le sue infedeltà coniugali, per aver fatto uso di marijuana e per aver saltato la leva militare. L’economia restava però l’argomento principale, e Bush guadagnò qualche punto solo dopo la convention Repubblicana, restando però ben al di sotto del 40%.
A settembre Perot rientrò in corsa, e il ritorno fu accolto con sollievo da Bush. Dopo una serie di dibattiti a tre, fu chiaro che Perot sottraeva più voti a Clinton che a Bush, e il miliardario si unì al Repubblicano nell’attaccare duramente il Governatore dell’Arkansas.
Nelle elezioni del 3 novembre Clinton vinse con ampio margine, conquistando il 43% del voto popolare contro il 37% di Bush e il 19% di Perot. Per la prima volta dal 1968 un candidato arrivò alla Casa Bianca con meno del 50% dei voti, e in tutti gli stati tranne l’Arkansas nessun candidato ottenne la maggioranza assoluta. Clinton conquistò 370 Grandi elettori contro i 168 di Bush, mentre Perot non ne conquistò nessuno. Perot è a tutt’oggi il candidato indipendente ad aver ottenuto il miglior risultato in un’elezione presidenziale, ed è l’unico ad aver partecipato a dibattiti televisivi con i due candidati principali.
I Democratici ripresero il completo controllo del Congresso, che mancava dai tempi di Carter, e Clinton sarebbe stato il primo presidente Democratico dai tempi di F.D. Roosevelt a servire per due mandati completi.
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