domenica 20 luglio 2008

Le elezioni che hanno fatto storia: 1984

Nel corso dei quattro anni del suo primo mandato, Ronald Reagan aveva portato l'economia americana ad una rapida ripresa dopo la profonda recessione che si era conclusa toccando il suo massimo nel 1982. Reagan era anche sfuggito ad un attentato, nel 1981, e i suoi indici di gradimento erano altissimi.
Tuttavia la sua figura accentratrice e l'età avanzata concedevano ai Democratici qualche residua speranza di poter compattare un fronte anti-reaganiano in grado se non altro di metterlo in difficoltà e di riconquistare una maggioranza al Congresso. Inoltre l'interventismo di Reagan in politica estera, in un periodo in cui la Guerra Fredda sembrava ancora lontana dalla conclusione, suscitavano non poche paure sulla possibilità che si arrivasse ad uno scontro irreparabile tra gli Usa e "l'impero del Male" (definizione di Reagan) dell'Unione Sovietica.
In casa Repubblicana, Reagan ottenne senza problemi la nomination per il secondo mandato, conquistando il 98,78% dei voti alla convention. Per l'ultima volta nella storia, il voto per la nomination alla vicepresidenza si tenne separatamente da quella per il Presidente, e George H. Bush ottenne una comoda riconferma.


In casa Democratica, era finalmente arrivato a conclusione il processo di riforma del sistema di nomina, culminato con l'introduzione nelle primarie di un consistente numero di superdelegati scelti tra i leader del partito, un sistema che permetteva ai pezzi grossi del partito di avere un peso sulla decisione finale, che nelle ultime tre primarie era spettata unicamente agli elettori.
Ai nastri di partenza si presentarono molti candidati, ma i tre principali erano Walter Mondale, già vicepresidente di Carter, il giovane Senatore del Colorado Gary Hart, già direttore della campagna di McGovern nel 1972, e il Reverendo Jesse Jackson, attivista dei diritti civili degli afro-americani.
Walter Mondale era il grande favorito, avendo già in partenza il consenso quasi unanime dei leader del partito. Ma l'amministrazione Carter, anche a distanza di 4 anni, suscitava ancora brutti ricordi nei Democratici, e ben presto nelle primarie questi problemi emersero.
Jackson vinse le primarie in Virginia, South Carolina e Louisiana, anche se non riuscì mai a sfondare al di fuori dell'elettorato nero e si inimicò anzi gli ebrei.
Ma fu Gary Hart il grande rivale di Mondale. Replicando la strategia che aveva ideato per McGovern (scherzosamente si definisce l'inventore dei caucus in Iowa), Hart vinse tutti i primi contest, guadagnando il "momentum". Hart criticò duramente Mondale, accusandolo di rappresentare la "vecchia politica" e ricordando i fallimenti del recente passato.
Hart vinse in New Hampshire, Ohio, California e in tutto il west, conquistando un consenso da strordinario tra i giovani presentandosi come agente del cambiamento, moderato e innovatore.
I dibattiti tra i tre candidati furono tra i più accesi della storia Democratica, e Mondale riuscì a danneggiare seriamente l'immagine di Hart ridicolizzando il suo slogan "New Ideas" paragonandolo con uno spot di un'azienda di fast food in voga nel periodo. Inoltre Hart commise diversi errori dovuti all'inesperienza nel parlare di politica estera.
Dopo l'ultima primaria, quella in California, Mondale aveva un vantaggio di appena 40 delegati, e quindi tutto fu deciso alla convention.
Qui Mondale riscosse il consenso dei superdelegati, ottenendo senza problemi la nomination nonostante i sondaggi continuassero a dare Hart come il candidato con più possibilità di contrastare Reagan. Nel discorso conclusivo, Mondale disse "Diciamoci la verità, Regan aumenterà le tasse, e lo farò anch'io. La differenza è che lui lo farà di nascosto mentre io ve lo dirò". La frase si trasformò in un boomerang che annullò le già scarse speranze di vittoria.
Mondale decise sin dall'inizio che il suo vice avrebbe rappresentato una svolta storia: dopo aver esaminato l'afroamericano Tom Bradley e l'ispanico Henry Cisneros, Mondale si orientò su una donna. La scelta iniziale era il Sindaco di San Francisco Dianne Feinstein, ma problemi di conflitti di interessi del marito della Feinstein spinsero Mondale a scegliere Geraldine Ferraro, che fu eletta per acclamazione dalla convention.


Mondale condusse una campagna liberal all'insegna della proposta di un"congelamento" del nucleare, sostenendo l'Equal Rights Amendment e la necessità di aumentare le tasse per arrivare al pareggio del deficit.
Reagan dipinse il suo avversario come un burocrate che avrebbe aumentato tasse e spesa pubblica riportando in crisi l'economia americana, e mettendolo in relazione all'amministrazione Carter. Reagan usò come inno della sua campagna "Born in the USA" di Bruce Springsteen, senza il permesso dell'autore e cambiandone il senso (originariamente era una canzone contro la guerra in Vietnam), finchè Springsteen non lo obbligò a smettere.
Nell'unico dibattito tra i candidati alla vicepresidenza, la Ferraro riuscì a mettere in difficoltà Bush, ma nel corso della campagna il marito della candidata finì nell'occhio del ciclone per motivi finanziari (e successivamente la donna fu condannata dalla commissione Etica della Camera per non aver diffuso interamente la sua dichiarazione dei redditi) e il gradimento della Ferraro calò drasticamente.
Il primo dibattito presidenziale vide Reagan in grossa difficoltà - sbagliò a riferirsi alla località in cui si svolgeva e ammise più volte di essere "confuso" - facendo sorgere perplessità riguardo la sua età avanzata. Nel secondo dibattito tuttavia il Presidente recuperò terreno e neutralizzò le perplessità con la battuta "Non userò il tema dell'età in questa campagna. Non dirò che il mio avversario è giovane e senza esperienza".

Le elezioni si tennero il 6 novembre, e Reagan ottenne un successo plebiscitario, bissando quello di Nixon del 1972. Il ticket Repubblicano conquistò 49 stati su 50 (Mondale, oltre a DC, vinse solo in Minnesota, il suo stato di origine, e solo per poche migliaia di voti).
Reagan conquistò 525 Grandi Elettori e il 58,8% dei voti contro i 13 Grandi Elettori e il 40,6% di voti del Democratico, il risultato peggiore dal 1936, e in assoluto il peggiore della storia dei Democratici.
Gli analisti scoprirono che moltissimi Democratici - soprattutto bianchi del Sud e operai del Nord - avevano votato Reagan ritenendolo più "Democratico" del loro candidato di riferimento, e percependolo come più vicino ai bisogni del ceto medio.

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