sabato 24 maggio 2008

La gaffe di Hillary: "Non mi ritiro, Bob Kennedy fu ucciso a giugno"

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Tra tutti i motivi addotti da Hillary Clinton per il suo mancato ritiro, quello scelto in South Dakota durante un incontro con la stampa conquista di diritto il primo posto tra le gaffe di questa campagna elettorale.
Alla domanda sul perchè non si sia ancora fatta da parte, la senatrice ha risposto
"Sono in politica da molto tempo e so come vanno certe cose. Mio marito non conquistò la nomination fino a che non vinse le primarie in California alla metà di giugno, no?
E tutti ricordiamo che Bob Kennedy fu assassinato a giugno".
Una dichiarazione del genere, in un momento oltretutto in cui le misure di sicurezza attorno a Barack Obama sono state notevolmente rafforzate per il timore di attentati, ha portato reazioni facilmente immaginabili.
Da parte di Obama non sono arrivati commenti particolarmente polemici, il portavoce Bill Burton si è rifiutato di replicare direttamente e di ripetere la frase della Clinton, limitandosi a dire "Le dichiarazioni della senatrice Clinton sono state un infortunio che non deve trovare spazio in questa campagna elettorale".
Hillary Clinton ha rilasciato quasi subito un comunicato chiarificatore
"I Kennedy sono costantemente nei miei pensieri in questi giorni a causa delle condizioni di Ted Kennedy, e mi dispiace di aver fatto riferimento a un momento traumatico per la famiglia e per tutta la nazione. La mia intenzione era quella di citare dei casi in cui la nomination è stata decisa dopo giugno".
Karen Tumulty, di Time, ha però scoperto che la Clinton aveva fatto riferimento agli stessi episodi anche in un'intervista dello scorso marzo. Inoltre Mark Shields della PBS ha ricordato che nelle primarie del 1968 Robert Kennedy decise di entrare solo alla metà di marzo, e quindi non si trattò di una competizione lunga come questa.
E altri commentatori hanno rincarato la dose smentendo l'altra parte della dichiarazione della senatrice: Bill Clinton ebbe la strada spianata verso la nomination già da marzo del 1992, quando il suo principale rivale Paul Tsongas annunciò il ritiro (qui l'articolo del New York Times del 20 marzo '92)

Sondaggi: negli swing states la Clinton meglio di Obama

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Gli ultimi sondaggi condotti dalla Quinnipiac University su tre grandi stati in bilico tra Democratici e Repubblicani, e che potrebbero risultare decisivi nelle presidenziali di novembre, mostra ancora una volta come Barack Obama sia costretto ad inseguire McCain, mentre la Clinton, almeno in questi tre stati, avrebbe un margine di vantaggio piuttosto ampio.
In Florida, la Clinton avrebbe il 48% di voti contro il 41% di McCain, mentre in un confronto Obama-McCain avrebbe la meglio il Repubblicano per 45 a 41.
Obama è particolarmente debole tra gli uomini (39%), mentre batterebbe McCain tra le donne, anche se non con l'ampio margine di Hillary Rodham Clinton. Il 64% degli intervistati nello stato ritiene che la Clinton debbe rimanere in corsa, e il 61% vorrebbe che Obama la scegliesse come vice.
Anche in Ohio Hillary supererebbe McCain per 48 a 41, mentre un testa a testa Obama-McCain vedrebbe vincere quest'ultimo per 44 a 40, con un numero più alto di indecisi. Anche in questo caso Obama è particolarmente debole tra gli uomini ma, a dispetto delle intenzioni di voto, ha degli indici di gradimento più alti rispetto al Repubblicano.
Il 65% vuole che la Clinton resti in corsa, e il 59% la vorrebbe come vice. Degli elettori della Clinton, il 50% è disponibile voterà sicuramente Obama alle presidenziali, il 26% voterà McCain.
In Pennsylvania la situazione è migliore per i Democratici: se la Clinton vincerebbe contro McCain per 50 a 37, anche Obama sarebbe in grado di conquistare lo stato per 46 a 40.
Obama prevale su McCain sia tra gli uomini che tra le donne, e ha degli indici di gradimento complessivamente migliori di quelli della Clinton. In Pennsylvania il 65% è a favore della permanenza della Clinton in corsa e il 59% vorrebbe che Obama la scegliesse come vice. Il 51% dei supporter della senatrice voterebbe Obama alle presidenziali, il 32% McCain.

Buone notizie per Obama arrivano invece dalla California. Un sondaggio condotto dalla Public Policy Institutes of California mostra che il senatore dell'Illinois sta conquistando una leadership incontrastata nel più popoloso stato degli Usa. Il 59% dei californiani ha infatti un'opinione favorevole di Obama, mentre il 51% ha un'opinione negativa della Clinton (che pure in California ha vinto le primarie il 5 febbraio). McCain ha invece degli indici negativi al 53%. Se le elezioni si tenessero oggi, Obama otterrebbe il 54% dei voti, McCain il 37%. Il divario è aumentato di 8 punti rispetto al sondaggio condotto a marzo. Obama gode del sostegno dell'80% dei Democratici, del 55% degli indipendenti e del 70% degli ispanici

venerdì 23 maggio 2008

Il GOP deve battersi per qualcosa

di Karl Rove (Wall Street Journal)

I risultati delle recenti elezioni suppletive hanno evidenziato delle sfide sia per i Democratici che per i Repubblicani.
I Repubblicani hanno incassato un duro colpo in Mississippi. Greg Davis (per cui ho fatto campagna elettorale, e che era un ottimo candidato) ha perso di misura in un distretto che il Presidente Bush vinse quattro anni fa con il 62%. I Democratici hanno vinto scegliendo intelligentemente un conservatore, Travis Childers, mentre una parte del distretto disapprovava Obama e Nancy Pelosi e attaccava Davis da destra.
Questo colpo per il GOP arriva dopo altre due sconfitte in elezioni suppletive negli ultimi mesi. I Repubblicani hanno perso in Illinois il seggio dell'ex Speaker alla Camera Denny Hastert e in Louisiana il seggio di Richard Baker.
Queste due sconfitte possono essere attribuite a cattivi candidati, ma dimostrano ugualmente che il partito non può fare per scontato nessun seggio, soprattutto se i Democratici schierano dei conservatori che prendono le distanze dalla linea nazionale del loro partito.
La striscia di sconfitte dovrebbe dissuadere i Repubblicani dall'abitudine di urlare "Liberal, liberal, liberal!" nella speranza di vincere.

Perchè i Repubblicani sono nei guai? La pubblica disapprovazione per gli scandali nel GOP fu un importante motivo della sconfitta nel 2006. Alcuni danni all'immagine permangono, così come gli indici di gradimento del Presidente, ai minimi storici. Ma i motivi principali restano la guerra in Iraq e l'economia in recessione.
Il rapporto Gallup del 2007 mostra che il numero di americani che si dichiara Repubblicano è il più basso degli ultimi 20 anni, nonostante meno di un quinto sia d'accordo con la proposta di ritiro immediato dall'Iraq avanzata da Obama.
Se i Repubblicani diminuiscono, i Democratici e gli indipendenti aumentano. E' stato raggiunto il fondo? Troppo presto per dirlo. Ma gli americani riconoscono che in Iraq si stanno facendo progressi, gli economisti dicono che in autunno l'economia tornerà a crescere e un recente sondaggio ABC/Washington Post mostra che il gradimento per il GOP è in crescita.
E' chiaro che John McCain e i Repubblicani prevarranno solo se convinceranno gli elettori che in Iraq c'è ancora moltissimo in palio, e che il lavoro aumenterà grazie alla riduzione delle tasse, al libero mercato e alle altre politiche del GOP.
I Repubblicani affrontano una sfida anche tra i giovani (divenuti in maggioranza Democratici per l'opposizione alla guerra e l'appeal di Obama) e gli ispanici, presso cui McCain ha mostrato indici in crescita.

I Democratici non devono essere compiaciuti. I loro problemi partono con la sconfitta con 41 punti di distacco di Obama in West Virginia. Obama ha perso perchè il rifiuto da parte della classe operaia si è fatto più netto, e l'ultimo Democratico a diventare Presidente senza aver vinto in West Virginia è stato Woodrow Wilson nel 1916.
Meno della metà dei sostenitori della Clinton in Indiana, North Carolina e West Virginia dice di voler sostenere Obama contro McCain. Senza questi elettori, Obama sarà nei guai in Ohio, in Pennsylvania, Michigan, West Virginia, Wisconsin e altri stati importanti.
Finora Obama ha sfruttato il successo creato dalla sua personalità. Ma a novembre molta gente si preoccuperà più delle posizioni politiche sui temi principali. Le priorità delle presidenziali sono diverse da quelle delle primarie.
Obama lo sa e sta correndo ai ripari, con discorsi di ispirazione conservatrice e strizzando l'occhio agli elettori ebrei (fra cui comunque ha indici più bassi di quelli di Kerry nel 2004).
Poi c'è il basso gradimento per i Democratici al Congresso. Nessuna maggioranza congressuale è precipitata più velocemente di quella guidata da Nancy Pelosi e Harry Reid. Al contrario di Bush, i parlamentari Democratici saranno in ballo a novembre e potranno fare ben poco per migliorare i loro indici.
Entrambi i partiti devono affrontare grandi sfide e hanno poco tempo per prepararsi.Chi lo farà più velocemente e meglio vincerà a novembre.

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Bill Clinton spinge Hillary verso la vicepresidenza

L'uscita di scena di Hillary Clinton è l'argomento del giorno, e dei giorni a venire. Fonti vicine a Bill Clinton dicono che l'ex Presidente sta "facendo grosse pressioni" perchè la moglie diventi la candidata alla vicepresidenza, come riporta Karen Tumulty sul numero di TIME della prossima settimana. Pressioni sia su Obama - che ha già dato mandato a Jim Johnson (che svolse lo stesso ruolo in due sfortunate campagne, quella del 1984 e quella del 2004) di sondare il terreno con i possibili vice - sia sulla stessa Hillary, che al momento appare quantomai combattuta sul da farsi, tanto che dal suo stesso staff arrivano voci contrastanti: se da un lato molti collaboratori giurano che tutto finirà dopo l'ultimo turno di voto del 3 giugno, e sono già cominciate le trattative per il dopo-primarie, il nuovo capo stratega della senatrice, Geoff Garin, ha detto alla MSNBC che la partita potrebbe andare avanti anche dopo il 3 giugno "finchè ci saranno abbastanza delegati in sospeso" includendo nel computo anche quelli di Michigan e Florida che, oltre a far avvicinare la Clinton a Obama, alzerebbero a 2.210 il magic number da raggiungere per conquistare la nomination.

A proposito di Michigan e Florida, ieri il portavoce della Clinton Howard Wolfson e il consigliere senior Harold Ickes hanno insistito che la posizione della Clinton è quella di chiedere la riammissione completa dei due stati e la convalida dei risultati di gennaio, una posizione che difficilmente troverà concorde la commissione che si riunirà il 31 maggio.
La Clinton, dopo un'intervista al St. Pete Times in cui ha ribadito la sua posizione, è stat oggetto di numerose critiche per il fatto di non essersi opposta subito alle sanzioni contro i due stati, risalenti allo scorso autunno.
In attesa del 31 maggio, che dovrebbe rendere più chiaro il quadro, è già cominciato il gioco delle parti: David Axelrod, capoconsigliere di Obama, ha detto che il senatore è disponibile a un compromesso sui due stati, arrivando ad andare incontro alla Clinton "anche oltre metà strada".
Nel frattempo, per il 31 maggio sono attesi a Washington autobus carichi di supporter della Clinton che parteciperanno alla riunione della commissione Rules & Bylaws e faranno sentire le loro ragioni.
I membri del DNC stanno intanto ricevendo delle confezioni di arance con scritto "Fai contare i voti della Florida". Non si dovrebbe trattare di un'iniziativa dei supporter della Clinton ma di un sindacato.

giovedì 22 maggio 2008

McCain, Huckabee e gli evangelici

di Robert Novak (RealClearPolitics)

John McCain, che ha passato gli ultimi due mesi cercando di consolidare la sua immagine tra la destra del partito, ha un problema di cospicue dimensioni con una componente vitale della compagine conservatrice: gli evangelici. La domanda più importante è se Mike Huckabee è parte del problema o ne è la soluzione.
Questa parte della comunità cristiana non solo non si è riconciliata con McCain, ma guarda invece alla prospettiva di una presidenza Obama come a una piaga biblica che colpisce un popolo di peccatori. Questi militanti guardano all'ex pastore battista Huckabee come al "candidato di Dio" che si candiderà nel 2012. Se queste persone potranno essere catalogate solo come fanatici con dei problemi, dipenderà in gran parte da Huckabee.

Il supporto annunciato da Huckabee a McCain è inequivocabile, e viene visto dallo staff di McCain come un amico ed un alleato. Ma alcuni attivisti stanno mettendo in giro la voce che Huckabee si stia alleando con gli oppositori di McCain. Questo sembra un comportamento assolutamente incredibile visto il suo appoggio pubblico al candidato, ma chi critica i 10 anni dell'amministrazione Huckabee in Arkansas dice che è capacissimo di fare un doppio gioco di queste dimensioni.
McCain e Huckabee sono stati rivali amichevoli nelle primarie, uniti dal disprezzo verso Mitt Romney. In effetti McCain potrebbe non essere dove si trova oggi se Huckabee non avesse mobilitato gli elettori della destra religiosa contro Romney in Iowa. Gli sforzi di Romney di sovrastare McCain tra l'elettorato conservatore del Sud sono stati vanificati dai successi di Huckabee. Appena McCain raggiunse la nomination, Huckabee si affrettò a ritirarsi per appoggiarlo.

Tuttavia, la comunità evangelica non ha gradito questo supporto. Un importante attivista che ha chiesto l'anonimato, racconta che Huckabee, in una conversazione privata, ha espresso la convinzione che una presidenza di Obama sia ciò che gli americani meritano, in linea con una profezia biblica.
Alla base di questo movimento favorevole alla vittoria di Obama ci sarebbe il leader conservatore della Virginia Michael Farris.
Strenuo sostenitore di Huckabee, Farris non ha appoggiato McCain e mai lo farà. "Sono preoccupato per le scelte che potrà fare" mi ha detto "a partire da quella del vicepresidente". Ovviamente lui vorrebbe che scegliesse Huckabee, ma ammette "Capisco che non è neanche ipotizzabile".

Al quartier generale di McCain nessuno ha dubbi sulla lealtà di Huckabee, anche se in molti sono consapevoli di non aver usato abbastanza bene il suo appoggio. Paradossalmente sono più preoccupati per il fatto che Ron Paul sia ancora in corsa e non abbia intenzione di appoggiare McCain a novembre.
Ma anche prendendo per buono l'appoggio di Huckabee, è chiaro che l'ex pastore voglia rimanere nel giro. Ha fondato gli Huck PAC per sostenere i candidati al Congresso, i suoi supporter hanno aperto un sito (Huck4America.com) e sistanno battendo perchè McCain non scelga Romney come vice.
Mike Huckabee è emerso dall'oscurità per diventare un importante fattore alla guida dei cristiani evangelici. McCain conta su di lui perchè convinca gli elettori che preferirebbero aspettare una vittoria di Huckabee nel 2012, a rinunciare a questo sogno.

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Come Obama è arrivato alla chiesa di Wright

di Christi Parsons e Manya A. Brachear (Chicago Tribune)

Il giorno in cui Barack Obama si presentò per la prima volta nell'ufficio del Reverendo Jeremiah Wright, più vi 20 anni fa, il pastore lo avvertì che unirsi alla Trinity United Church of Christ non era come "mettersi una piuma sul cappello".
Obama era l'organizzatore di una comunità e cercava supporto per il suo gruppo di Chicago sud, e un amico prete di un'altra chiesa gli aveva suggerito che avrebbe potuto avere più successo con i pastori di colore se si fosse unito ad una congregazione.
"Alcuni dei miei colleghi non apprezzano quello che facciamo" gli disse Wright quel giorno "Dicono che siamo troppo radicali. Per altri invece non lo siamo abbastanza".
Obama decise di aderire, e fu tanto influenzato da Wright da intitolare il suo libro "Il coraggio della speranza" ispirandosi proprio ad un sermone del pastore.
Nonostante gli avvertimenti, la sua vicinanza a Wright non sembrò rischiosa per Obama. Si stava costruendo un immagine di organizzatore mentre cercava di essere ammesso alla scuola di legge. Tra le mura della chiesa di Wright, trovò il contatto con la comunità afro-americana che non aveva mai frequentato, essendo stato cresciuto da sua madre e dai nonni bianchi.
Alla chiesa si erano uniti anche importanti politici, intellettuali, giudici e Oprah Winfrey. In Wright trovavano un messaggero spirituale e una guida alla formazione politica. Per qualcuno che volesse candidarsi come sindaco, governatore o senatore dello stato, essere parte della Trinity era un titolo di merito.
Sul palcoscenico nazionale, quel titolo diventa una macchia. La vicinanza con Wright è diventata una spina nel fianco di Obama a causa di vecchi sermoni che il pastore ha ripetuto le scorse settimane.
A questo punto molti si chiedono perchè Obama sia stato membro della Trinity per così tanto tempo. Obama sostiene di non essere stato presente quando il reverendo ha pronunciato quei sermoni, tuttavia era consapevole del rischio, tanto che lo scorso anno Wright non venne invitato all'evento in cui il senatore annunciò la sua candidatura.

"Come puoi far parte di una congregazione per 20 anni e non accorgerti di cose come queste?" si chiedono in molti. Obama non ha mai risposto direttamente, ma a Chicago la risposta non sembra così difficile, visto che Obama e Wright hanno condiviso molte esperienze nell'aiutare i poveri della zona sud, e visto che Wright ha offerto al futuro senatore un'oasi spirituale e culturale.
In città, essere membri della Trinity è visto come una credenziale progressista, un segno di interesse per la giustizia e l'eguaglianza sociale.
"Il rev. Wright è più intellettuale e sofisticato di molti altri pastori. E' un teologo molto serio e coscienzioso. Non fa brevi accenni alla Bibbia, ma offre analisi profonde degli eventi correnti" spiega Kwame Raoul, che ha preso il posto di Obama nel Senato dell'Illinois.
In un'intervista del 2007, Obama ha raccontato "Wright mi ha aiutato a sentirmi a mio agio con i dubbi della fede, e ha ravvivato il mio entusiasmo".
La Trinity Church si è spesso distinta dalle altre chiese nere di Chicago, solitamente più conservatrici. Wright invece si interroga sul senso delle Scritture, ordina sacerdoti anche le donne, difende i diritti dei gay e predica la teologia della liberazione nera, che vede nel gospel la radice dell'esperienza nera.

Il Rev. James Cone, creatore della teologia della liberazione nera, ha detto che Wright ha portato la sua opera un passo più in là. "La Chiesa di Jeremiah Wright è la personificazione di tutte le cose che ho provato a dire". La sua teologia si riflette nel credo "orgogliosamente nero anapologeticamente cristiano" della chiesa, enfatizzato dal fatto che Wright veste spesso degli abiti tipici africani.
Questa sensibilità è evidentemente piaciuta a Obama quando si è avvicinato alla chiesa per la prima volta nella sua vita adulta. La sue radici alla Trinity e la provenienza della sua famiglia dalla zona sud lo trasformarono da un estraneo ad un membro attivo della comunità.

Ma i rapporti con Wright hanno iniziato a compromettersi un anno fa, quando Obama stava preparando la sua scalata alla Casa Bianca. Inizialmente Wright fu invitato a introdurre Obama in un evento pubblico, poi il candidato gli chiese di pregare privatamente.
Poi a marzo le tv hanno cominciato a trasmettere i sermoni incendiari del reverendo, e le cose sono peggiorate quando è stato lo stesso Wright a parlare di fronte alle telecamere.
Obama ha preso le distanze, ma una volta ha dichiarato che si chiedeva se Wright sarebbe stato disposto ad essere ancora più controverso "Se uomini come Wright rinunciano ad entrare in conflitto con i veri poteri e a generare polemiche, rischiano di mettere a repentaglio l'unità della loro comunità".
In risposta a questa sua vecchia dichiarazione, Obama ha spiegato la sua posizione riguardo l'unità, più importante del conflitto "Ho passato tutta la mia vita adulta provando a colmare le distanze tra persone diverse. Ecco chi sono".

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mercoledì 21 maggio 2008

Per i Democratici è tregua armata

Barack Obama è in Iowa, dove ha parlato come nominato in pectore, dando già per archiviata la pratica delle primarie. Hillary Clinton invece, forte della vittoria in Kentucky, continua a proclamarsi la candidata più forte per affrontare McCain.
Si tratta però ormai di un gioco delle parti, entrambi i candidati hanno deciso il "cessate il fuoco" e si preparano a fare fronte comune contro i Repubblicani.
Obama ha preso atto che la Clinton, con tutta probabilità, non si ritirerà prima di giugno, ma ha ricevuto assicurazioni sul fatto che non ci saranno colpi proibiti tesi ad allungare oltremodo la corsa alla nomination. Perciò ha smesso di preoccuparsi della collega di partito e ha ingaggiato un dibattito a distanza con John McCain su politica estera, economia e punti deboli (ad esempio i forti legami del Repubblicano con le lobby. Nell'ultima settimana un altro collaboratore di McCain è stato costretto a dimettersi a causa delle sue connessioni lobbyste).

La Clinton vuole andare avanti almeno fino a giugno. Ha intenzione di giocarsi fino in fondo la carta della riammissione di Michigan e Florida, ma se, come probabile, il primo pronunciamento del partito (la commissione Bylaws & Rules si riunirà il 31 maggio) sarà negativo, rinuncerà ad appellarsi alla convention. Anche perchè in quel caso rimarrebbe da sola: già molti dei suoi ex sostenitori - come il finanziere ed ex ministro del Tesoro dell'amministrazione Clinton, Roger Altman - la hanno pregata di ritirarsi per il bene del partito, e il Wall Street Journal riporta che lo stesso staff della senatrice è spaccato, con molti consiglieri convinti che stia compromettendo il suo futuro politico rimanendo in corsa.
E' probabile che la senatrice sfrutti queste ultime due settimane per giocarsi le ultime possibilità con i superdelegati, dopodichè getterà la spugna.
Tutti i suoi collaboratori sono infatti concordi nel dire che la Clinton non vuole farsi da parte ma neppure danneggiare Obama: in quanto prima donna ad essere arrivata così vicino al traguardo, non vuole dare l'idea di essere stata sconfitta e di compromettere la futura candidatura di una donna (magari lei stessa, tra 4 o 8 anni).
Inoltre la Clinton è convinta che il modo migliore per convincere i suoi sostenitori a passare dalla parte di Obama è arrivare fino in fondo, perchè una sua uscita prematura potrebbe indisporli e far passare Obama come un prevaricatore.

Obama dal canto suo ha rinunciato all'ipotesi di proclamarsi vincitore nel discorso in Iowa, ma ha annunciato di aver conquistato la maggioranza assoluta di delegati elettivi. Una dichiarazione che intende mettere una pietra sopra le speculazioni sulla nomination e che soprattutto rappresenta un pressante invito ai superdelegati ancora indecisi.
Se Obama si fosse dichiarato vincitore, la Clinton non avrebbe gradito e la tregua sarebbe stata a rischio. M anche la effettiva dichiarazione ha indispettito la Clinton, se è vero che il portavoce Wolfson ha definito il discorso di Obama in Iowa "uno schiaffo ai milioni di elettori che devono ancora esprimersi".
Il portavoce di Obama Bill Burton ha minimizzato, risponendo che il discorso in Iowa è solo la celebrazione di un importante momento, come appunto il raggiungimento della maggioranza assoluta di pledged, e non un annuncio di missione compiuta.
La tregua è quindi fragile, anche se il clima è sensibilmente diverso rispetto a 15 giorni fa, quando dopo North Carolina e Indiana la Clinton aveva dichiarato che Obama avrebbe avuto molte difficoltà a conquistare la classe operaia bianca, indisponendo il rivale e il partito tanto da essere costretta a una rapida rettifica.

Risultati 20 maggio: Kentucky e Oregon

Come previsto, forte affermazione di Hillary Clinton in Kentucky e netta vittoria di Obama in Orgon. Ora Obama ha la maggioranza di delegati elettivi, come ha proclamato in Iowa.

Democratici


Kentucky

Hillary Clinton: 65,52% (37 delegati)
Barack Obama: 29,95% (14 delegati)

Oregon

Barack Obama: 57,82%% (31 delegati)
Hillary Clinton: 41,32% (21 delegati)

martedì 20 maggio 2008

Ted Kennedy ha un tumore al cervello

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I medici del Massachusetts General Hospital hanno accertato che la causa del malore del Senatore Kennedy è un tumore maligno al cervello. Nelle prossime ore decideranno se operarlo.
La Casa Bianca ha diramato un comunicato in cui il Presidente Bush si dice "profondamente affranto" per la notizia.
Tra i candidati presidenziali, McCain è stato il primo a fare gli auguri a Kennedy per una pronto recupero.

Verso il voto: le primarie in Oregon

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L'Oregon è uno stato del nord ovest degli Usa, sul Pacifico. Con 3.594.586 abitanti è il 27° stato più popoloso degli Usa, ma il 9° più grande, con una superficie di 255.026 kmq e una densità di 14,44 abitanti per kmq. La capitale è Salem, mentre la città più popolosa e importante è Portland, che conta 530.000 abitanti. L'Oregon confina con lo stato di Washington, l'Idaho, la California, il Nevada e l'oceano Pacifico. L'origine del nome è incerta: c'è chi dice che sia una storpiatura del nome dato dai francesi al fiume Wisconsin, altri sostengono che provenga dallo spagnolo Orejon (grande orecchio) o Aragòn.
Gli insediamenti nella zona del Pacifico iniziarono già 15.000 anni fa. Gli europei arrivarono nella seconda metà del XVIII secolo con James Cook, che vi giunse nella sua ricerca del Passaggio a Nord Ovest.
Lo sviluppo degli insediamenti in Oregon avvenne piuttosto tardi rispetto agli altri stati: la prima colonia non nativa è datata 1811, quando lo stato venne acquistato dalla Gran Bretagna all'interno della cessione della Louisiana. Il commercio di pellicce e la "pista dell'Oregon" portarono molti coloni alla metà del 1800, quando sembrò che Usa e Gran Bretagna dovessero entrare in guerra per la terza volta in 75 anni. La controversia sui confini si risolse però pacificamente, e nel 1859 l'Oregon fu il 33° stato ad entrare nell'Unione.
Con lo sviluppo delle ferrovie, lo stato conobbe una grande crescita alla fine del XIX secolo, anche se fu teatro di moltissimi scontri tra allevatori, coltivatori, nativi americani, boscaioli e ambientalisti.
La popolazione è comporta per il 92% da bianchi, per il 2% da neri, per il 2% da nativi americani e per il 2,50% da asiatici. Il 75% della popolazione è cristiano (il 55% protestante, il 15% cattolico e il 5% mormone).
L'economia dello stato si basa principalmente sull'agricoltura, e sulla coltivazione di patate, menta, luppolo e mele. L'Oregon è anche uno dei principali produttori di nocciole. La vastità di foreste fa dell'Oregon anche uno dei principali produttori di legname, anche se gli incendi e le limitazioni della deforestazione hanno notevolmente diminuito la produzione. Lo stato ospita anche industrie tecnologiche e multinazionali come la Nike.

Per i Democratici, l'Oregon mette in palio 65 delegati, di cui 52 elettivi e 13 superdelegati con il sistema della primaria chiusa. Dei 52 delegati elettivi, 34 vengono assegnati proporzionalmente in base ai risultati nei 5 distretti elettorali, con uno sbarramento al 15%. Gli altri 18 delegati vengono assegnati in base al risultato in tutto lo stato. La particolarità del voto in Oregon è che avviene solo via posta: gli elettori hanno ricevuto le schede tra il 2 e il 6 maggio e hanno tempo fino alle 8 di sera ora locale (le 3 di notte in Italia) per consegnare il voto.
La convention si terrà il 21 gugno. Dei 13 superdelegati finora 2 hanno espresso appoggio alla Clinton e 3 a Obama.
I sondaggi danno Obama favorito: un poll SurveyUsa dell'11 maggio vede Obama al 54% e la Clinton al 43, American research Group dà invece un distacco di 50 a 45, mentre la Suffolk University dà Obama al 45% e la Clinton al 41%.

Per i Repubblicani, l'Oregon mette in palio 30 delegati, tutti elettivi, con il sistema della primaria chiusa. Anche in questo caso il voto avviene solo per posta, e l'assegnazione si absa sul risultato complessivo.

Lo scrutinio del voto si terrà tra le 7 del mattino (le 14 in Italia) e le 8 di sera.

Forse slitta l'annuncio di Obama

Nelle ultime ore sembra farsi meno probabile l'ipotesi che dopo il risultato del voto di oggi Barack Obama annunci di aver raggiunto la nomination (vista la sopraggiunta impossibilità matematica di Hillary Clinton di raggiungerlo).
Obama potrebbe limitarsi ad annunciare il raggiungimento della maggioranza assoluta di delegati elettivi. A portare a questa decisione sarebbero tre fattori: il tentativo di non inasprire i rapporti, ultimamente più tranquilli, con la rivale; il mancato accordo con la Clinton per una uscita di scena concordata; la probabile netta sconfitta in Kentucky. Obama potrebbe quindi aspettare il 3 giugno, come gesto di distensione: negli ultimi giorni David Axelrod, stratega del senatore dell'Illinois, si è incontrato con lo staff di Hillary per pianificare l'appoggio della senatrice alla campagna presidenziale di Obama.

Intanto lo staff di Obama ha diramato un comunicato stampa in cui fa il punto della situazione sui delegati:
"Conto alla rovescia per la nomination: -14,5 alla maggioranza di delegati elettivi, -110 alla nomination.
Tra il weekend e oggi, Obama ha ottenuto il supporto di 9 superdelegati e 3 delegati elettivi (1 riassegnato dalla convention del Nevada e 2 precedentemente assegnati a Edwards), a cui vavvno aggiunti altri 8 delegati di Edwars riassegnati a Obama.
Totale dei delegati elettivi: 3.253
Maggioranza di delegati elettivi: 1.627
Numero di delegati necessario per la nomination: 2.026
Delegati elettivi vinti da Obama: 1603,5
Delegati di Edwards che supportano Obama: 9
Superdelegati di Obama: 303,5
Delegati totali di Obama: 1.916"

Verso il voto: le primarie in Kentucky

L'immagine “http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/8/8d/Flag_of_Kentucky.svg/120px-Flag_of_Kentucky.svg.png” non può essere visualizzata poiché contiene degli errori.
Il Commonwealth of Kentucky è uno stato della zona centro-orientale degli Usa. Con 4.206.074 abitanti è il 26° stato più popoloso. La capitale è Frankfort, ma la città più popolosa è Louisville, con 700.000 abitanti. Il Kentucky confina con Ohio, Misoouri, Virginia, Illinois, Indiana Tennessee e West Virginia. L'etimilogia del nome (che prima dell'attuale ortografia era Kentuckee) rimane tuttora avvolta nel mistero, anche se probabilmente viene dalla lingua irochese e sta per "prateria".
Abitato fin dalla presitoria dai nativi americani, alla metà del 1700, quando giunsero i primi europei, il Kentucky era ridotto a territorio di caccia di Shawnee e Cherokee, e venne quindi acquistato dai coloni verso la fine del secolo.
La colonizzazione fu rapida e fruttuosa soprattutto a ovest dei monti Appalachi e lungo il fiume Ohio. Il Kentucky fu teatro di battaglie durante la Rivoluzione Americana, e dopo l'indipendenza lo stato allargò i propri confini includendo anche unz contea che aveva chiesto la separazione dalla Virginia. Nel 1792 fu il 15° stato ad aderire all'Unione.
Durante la guerra di Secessione, un gruppo di soldati del Kentucky si unì ai Confederati istituendo un governo secessionista nello stato, che però rimase neutrale e fu teatro di alcune battaglie decisive.
Il Kentucky è uno stato tendenzialmente Democratico anche se non viene solitamente incluso nel novero dei cosiddetti "Solid South", ovvero gli stati del Sud saldamente in mano al partito dell'asinello. Nelle ultime otto elezioni presidenziali, per cinque volte il Kentucky ha votato Repubblicano (con l'unica eccezione di Carter nel 1976 e Clinton nel 1992 e nel 1996); Bush ha vinto nel 2000 con lieve margine e nel 2004 con un distacco del 20%.
La popolazione è composta per il 91% da bianchi e per l'8% da neri, l'86% della popolazione è cristiana (con il 70% di protestanti e il 15% di cattolici).
Il Pil del Kentucky è il 27° degli Usa. L'economia dello stato si basa principalmente sull'agricoltura, e in particolar modo sulla produzione di tabacco, soya e cereali, di latticini e sull'allevamento di cavalli e suini. In Kentucky è fiorente anche l'assemblaggio di automobili: Chevrolet, Cadillac e Ford assemblano in questo stato alcuni dei loro modelli più importanti.

Per i Democratici, il Kentucky mette in palio 60 delegati, di cui 51 elettivi e 9 superdelegati, con il sistema della primaria chiusa. Dei 51 delegati elettivi, 34 vengono assegnati proporzionalmente in base ai risultati nei 6 distretti elettorali, con una soglia di sbarramento del 15%. Gli altri 17 delegati vengono assegnati proporzionalmente in abse al risultato totale nello stato.
La convention è programmata per il 7 giugno. Dei 9 superdelegati, finora 3 si sono espressi per la Clinton e 2 per Obama.
I sondaggi danno, ome già per la West Virginia, una solida leadership a Hillary Clinton: un sondaggio Survey Usa dell'11 maggio dà la Clinton al 62% e Obama al 30%, American research Group del 14 maggio dà un distacco di 65 a 29, mentre Suffolk del 18 maggio dà la Clinton al 51% e Obama al 25%, ma con un numero di indecisi molto alto.

Per i Repubblicani, il Kentucky mette in palio 45 delegati, tutti elettivi, con il sistema della primaria chiusa e assegnazione proporzionale.

Le urne aprono alle 6:00 ora locale (mezzogiorno in Italia) e chiudono alle 6 del pomeriggio (mezzanotte in Italia), anche se molti seggi chiuderanno più tardi perchè nello stato sono applicati due diversi fusi orari.

lunedì 19 maggio 2008

Il 31 maggio si decide per Florida e Michigan

Il Comitato Rules and Bylaws, composto da 30 membri incaricati di interpretare e far applicare le regole del partito, si riunirà il 31 maggio per decidere cosa fare dei 366 delegati di Michigan e Florida. Dalle voci di corridoio registrate da Associated Press, le possibilità che la commissione riammetta senza condizioni i due stati sono quasi nulle, ma anche se lo facesse non basterebbe alla Clinton per superare Obama nel computo dei delegati.

L'anno scorso, il comitato comminò ai due stati la pena più dura prevista per aver programmato le loro primarie a gennaio, anche se avevano ricevuto istruzioni di non votare prima del 5 febbraio. Michigan e Florida persero i loro delegati e tutti i candidati concordarono nel non fare campagna elettorale nei due stati.
Ma adesso tutti sono d'accordo nel dire che almeno una parte di delegati deve essere restituita come gesto di unità del partito e per rispettare gli elettori in vista delle elezioni generali.
La Clinton ha chiesto una riammissione totale: lei ha vinto in entrambi gli stati, anche se Obama non ha fatto campagna in Florida e non era presente sulla scheda in Michigan.
L'Associated Press ha intervistato un terzo dei membri del comitato e diversi altri Democratici coinvolti nei negoziati, e ha trovato un diffuso accordo sul fatto che i due stati vadano penalizzati anche per impedire che altri si comportino nello stesso modo in futuro.
"Vogliamo essere corretti con i candidati, ma anche con i 48 stati che hanno rispettato le regole" ha detto il segretario del DNC Alice Germond, membro del comitato "Non vogliamo il caos nel 2012. Vogliamo che Florida e Michigan siano rappresentati in qualche modo, questa è la posizione della maggioranza di noi. Sono due stati importanti per le presidenziali, e gli elettori non hanno nessuna colpa per quanto accaduto".

Dei 30 membri, 13 sono dichiaratamente pro-Clinton, 8 sono per Obama e 9 non hanno ancora dichiarato la loro preferenza.
"Ci sono i delegati e devono esserci le delegazioni per questi stati" dice Don Fowler, ex presidente del partito e supporter della Clinton "il problema è come arrivarci, perchè ogni decisione potrebbe danneggiare qualcuno". Tuttavia si dice fiducioso nella possibilità di un accordo che accontenti tutti.
La leadership di Obama tra i delegati lo mette in una posizione di forza: addirittura potrebbe raggiungere la nomination prima della riunione del comitato se manterrà questo ritmo di acquisizione di superdelegati. In ogni caso potrebbe essere generoso e concedere alla Clinton la maggior parte dei delegati dei due stati, una scelta che lo metterebbe in buona luce con gli elettori di Florida e Michigan a novembre.
La Clinton vorrebbe vedere riconosciuto il risultato perchè così avrebbe la leadership nel voto popolare - anche se si tratterebbe di un distacco di soli 5.000 voti su oltre 34 milioni. Inoltre i suoi calcoli non tengono conto di alcuni caucus state in cui il numero totale di voti non è stato incluso.

Obama non ha dato pubblicamente indicazioni ai membri del comitato. La Clinton che chiede la riammissione completa, ma i suoi consiglieri potrebbero proporre una soluzione alternativa prima della riunione: Tery McAuliffe ha detto domenica alla NBC che sarebbe "accettabile" un dimezzamento dei delegati rispettando i risultati di gennaio.
Se le elezioni di gennaio fossero valide, la Clinton avrebbe 178 delegati in più e Obama 67, con un distacco quindi di 111 voti. Nell'ultimo conteggio però la Clinton è distanziata da Obama di circa 190 delegati, quindi non potrebbe pareggiare neppure in questo caso.

McCain spiega il suo piano sanitario

John McCain, accusato spesso di avere un programma incentrato quasi unicamente sulla politica estera e la sicurezza nazionale ma incredibilmente lacunoso su tutti gli altri temi, in primis l'economia, ha iniziato a fare chiarezza sui suoi piani dando le prime delucidazioni su cosa intende fare per la sanità Usa, nell'occhio del ciclone per la sua inefficienza (come raccontato da Michael Moore in "Sicko") e al centro della battaglia interna al Partito Democratico.
Nonostante abbia spesso sottolineato la sua differenza con Bush e l'attuale amministrazione, il piano sanitario di McCain assomiglia per molti versi a quello finora portato avanti dal presidente in carica.

"La mia intenzione è quella di affidare la responsabilità della cura sanitaria alle famiglie" ha spiegato, dopo aver visitato nelle ultime settimane alcuni dei maggiori ospedali del paese. Il piano di McCain segue quindi il consolidato approccio Repubblicano che inserisce il tema della copertura sanitaria all'interno del libero mercato, a differenza dell'approccio Democratico che vuole il coinvolgimento dello stato per arrivare ad una copertura totale anche per i meno abbienti. McCain ha accusato i suoi avversari di fare troppo affidamento sull'intervento governativo.
In una lettera aperta al National review, il candidato Repubblicano scrive
"Il problema del nostro sistema sanitario non è che gli americani non hanno bravi dottori, tecnologie mediche e terapie. La medicina americana è invidiata in tutto il mondo. Il problema è che moltissimi americani non hanno una assicurazione sanitaria adeguata. La stragrande maggioranza degli americani ha assicurazioni private, e il nostro governo spende molti miliardi all'anno per fornirne anche di più.
Il problema maggiore è di costi e accesso, e il risultato è che milioni di individui sono senza assicurazione. Ad esempio, noi spendiamo attualmente circa 2,4 trilioni di dollari all'anno per la salute. Fra dieci anni questo numero raddoppierà. La risposta di Obama e della Clinton a questo problema è di promettere copertura universale, a qualsiasi costo, e gli aumenti di tasse che questa impone. Ma questo avrebbe una sola conseguenza: sostituirebbe gli inefficienti, incontrollati, irrazionali costi del sistema corrente con gli inefficienti, incontrollati, irrazionali costi di un monopolio statale. Io ho un appoccio differente. Credo che la chiave per una vera riforma è restituire ai pazienti stessi il controllo del nostro sistema sanitario. A tale fine, la mia riforma è costruita per raggiungere tre obiettivi: pagare solo per un servizio medico di qualità, avere la possibilità di scegliere tra possibili assicurazioni diverse e rispondenti alle necessità individuali, e ripristinare il nostro personale senso di responsabilità"

McCain ha quindi in mente di fornire agevolazioni fiscali per assicurarsi una copertura sanitaria, agevolazioni stimate - secondo il suo sito - in 2.500 $ per individuo e 5.000 $ per famiglia (solo per individui e famiglie a basso reddito), cifre che verranno detratte dalle tasse. Le polizze sanitarie contratte dovrebbero avere validità anche in stati diversi da quello in cui sono state stipulate.
Queste detrazioni potrebbero però non essere sufficienti perchè, in media, negli Usa il costo di una polizza sanitaria si aggira attorno ai 12.000 $ l'anno, e inoltre molte assicurazioni potrebbero rifiutare la poliza a persone con problemi medici pre-esistenti.
McCain ha ribadito la sua contrarietà alla copertura sanitaria universale ma si è detto favorevole ad una espansione della copertura soprattutto per i bambini e per quelle famiglie che guadagnano troppo per rientrare nella copertura gratuita ma troppo poco per potersi permettere una polizza privata.
Infine, seguendo in questo caso l'esempio dei Democratici, McCain si è detto favorevole ad una ccampagna di prevenzione dell'obesità e di cura per malattie croniche come l'ipertensione, fattori che gravano sul servizio sanitario nazionale alzando i costi.

domenica 18 maggio 2008

Il tema dei matrimoni gay torna nella campagna elettorale

La Suprema Corte della California ha abolito la legge che proibiva il matrimonio tra persone dello stesso sesso, aprendo la strada alle nozze gay, possibili oggi soltanto in Massachusetts. La decisione, presa per quattro voti contro tre, stabilisce che il matrimonio è un diritto individuale, e che pertanto gli orientamenti sessuali, alla pari di razza e genere, "non possono costituire una base legittima per negare tale diritto". La Suprema Corte ha anche stabilito che la "capacità e la responsabilità di allevare ed educare figli non dipende dagli orientamenti sessuali".
Il Governatore Arnold Schwarzenegger, pur opponendosi ai matrimoni gay ha annunciato che rispetterà la decisione e la farà rispettare.

Quello che può essere senz'altro visto come un grande successo dei progressisti, rischia però di trasformarsi in un boomerang per i Democratici, per vari ordini di motivi. Sia Barack Obama che Hillary Clinton si oppongono ai matrimoni tra persone dello stesso sesso, appoggiando invece le unioni civili, e abbracciando quindi la corrente di pensiero per cui i diritti civili devono essere allargati a tutte le coppie a prescindere dagli orientamenti sessuali ma il matrimonio in quanto tale riguarda solo un uomo e una donna. Inoltre concordano nel dire che sono i singoli stati a dover decidere sulla legislazione a riguardo.
La loro posizione li mette quindi sotto un fuoco incrociato: da una parte i conservatori che si oppongono a qualsiasi forma di legittimazione delle unioni omosessuali, dall'altro i liberal più radicali e le associazioni gay, che spingono affinchè i candidati Democratici facciano propria una linea più decisa.

John McCain si oppone alle unioni gay (anche se un tempo si disse aperto al confronto, ed è comunque contrario al divieto federale delle unioni gay) ed ha già pesantemente criticato la sentenza. E' prevedibile che la campagna elettorale del GOP si concentrerà molto su questo tema, come già accadde nel 2004. Durante le ultime presidenziali, sotto la guida di Karl Rove, George Bush usò il tema dei matrimoni gay, assieme all'aborto e all'eutanasia (il caso di Terry Schiavo era al suo apice), come arma per compattare i conservatori - e non solo loro - contro John Kerry.
La maggioranza degli americani è infatti contraria ai matrimoni gay, e la prospettiva di vedere nei prossimi mesi immagini di decine e decine di matrimoni gay utilizzate dai Repubblicani preoccupa non poco i Democratici.

Ted Kennedy ricoverato per infarto

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Edward Kennedy, 76 anni, patriarca della famiglia e senatore anziano del Massachusetts è stato ricoverato nelle scorse ore a causa di un infarto.
Le prime notizie parlavano di un doppio ictus, ma i bollettini medici hanno ridotto le dimensioni dell'incidente.
A quanto pare il senatore è già cosciente e in grado di parlare, e la famiglia si è detta ottimista su una sua rapida e completa ripresa.
Ted Kennedy, in Senato dal 1962, candidato alle primarie Democratiche contro Jimmy Carter nel 1980, nonostante lo scorso autunno fosse stato sottoposto ad intervento chirurgico per scongiurare il rischio di un embolo, ha passato gli ultimi mesi facendo una attiva campagna elettorale per Barack Obama.
I commenti dei candidati presidenziali:
McCain: "Sono molto dispiaciuto di aver appreso del malore del Senatore Kennedy, e come milioni di americani Cindy ed io aspettiamo con ansia notizie sulle sue condizioni"
Obama: "Il Senatore Kenendy è un gigante della storia politica americana. Ha fatto per la politica sanitaria più di chiunque altro nella storia. Per questo facciamo il tifo per lui"
Clinton: "I miei pensieri e le mie preghiere sono con Ted Kennedy e la sua famiglia"