sabato 3 maggio 2008

Le pagelle dei vicepresidenti - i Democratici

di Vaughn Ververs (CBS News)

Stilare la lista per i Democratici è un po' più difficile, perchè bisogna vedere ancora chi sarà il primo nome del ticket. E' difficile che il candidato sconfitto accetti di fare il numero 2 dell'avversario, ma alla fine potrebbero esserci serie pressioni da parte del partito. Un partito diviso sul versante razziale, economico, sociale e di genere può essere guarito solo con un ticket unitariol, soprattutto visto il carattere storico delle due candidature ancora in corsa, che farebbe storcere il naso agli elettori per qualsiasi altra soluzione.
Se così non fosse, spunterà subito una lista. Ecco alcuni dei nomi che vengono sussurrati.

Ted Strickland: Il Governatore dell'Ohio sarà sulla lista di entrambi i candidati. Vista l'opportunità di conquistare uno stato in cui i Repubblicani sono stati sommersi da una serie di scandali politici, la scelta di Strickland potrebbe affondare le speranze del Gop di conquistare uno stato così fondamentale. Relativamente sconosciuto a livello nazionale, Strickland deve ancora assumere un ruolo importante nel processo di selezione.

Bill Richardson: Essendo stato chiamato "Giuda" da uno dei più importanti collaboratori della Clinton dopo aver appoggiato Obama, Richardson sarebbe una scelta possibile solo per il senatore dell'Illinois, che ha bisogno di conquistare i voti degli ispanici se dovesse ottenere la nomination. Ma la campagna di basso profilo condotta da Richardson suscita seri dubbi sulla sua capacità di affrontare un grande palcoscenico.

Tim Kaine: I Democratici vedono la Virginia come uno stato in cui possono vincere, e inserire il Governatore nel ticket presidenziale sarebbe per entrambi i candidati un colpo gobbo. Inoltre non proviene da Washington, e questo è un altro punto a suo favore sia secondo la Clinton che secondo Obama. Ma se la Virginia è uno stato dato per sicuro alle presidenziali, che bisogno c'è di scegliere Kaine?

Evan Bayh: Sarebbe stato un ottimo candidato presidente se avesse corso per le primarie. Il Senatore dell'Indiana darebbe un grosso aiuto non solo nel suo stato ma in tutto il Midwest. In quanto moderato, sarebbe una risposta alle prevedibili critiche dei Repubblicani verso un nominato Democratico troppo "liberal", chiunque dei due la spunti.

Joe Biden: Con oltre 30 anni di carriera politica passati in Senato, Biden non è esattamente il partner ideale per nessuno dei due, ma potrebbe essere preso in considerazione da Obama. Dopo una campagna elettorale in cui Obama è stato sempre accusato di scarsa esperienza, Biden potrebbe essere proprio il tipo di vecchio uomo politico in grado di mitigare queste critiche.


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venerdì 2 maggio 2008

Karl Rove: Obama è pronto per il prime time?

di Karl Rove (ex consigliere e vice-capo dello staff di George W. Bush) - Wall Street Journal


Dopo essere stato messo Ko per 55% a 45% in Pennsylvania, Barack Obama era in cerca di spiegazioni. Non ha saputo fare meglio che scrivere una e-mail ai supporter ringraziandoli di averlo aiutato a colmare il distacco. Poi ha chiesto soldi.
I soldi sono l'ultimo dei problemi di Obama. Ha bisogno di un messaggio che convinca i Democratici. Recentemente ha passato troppo tempo a proclamare la sua inevitabile nomination: ma lo sanno già tutti che ha vinto più stati, voti e delegati.
Le sue parole sono state particolarmente futili nell'affrontare la sconfitta di martedì. Obama è stato battuto nonostante abbia surclassato la Clinton per presenze televisive almeno di 3 a 1. I sondaggi degli ultimi giorni mostravano un possibile distacco di 4 o 5 punti, ma la Clinton a quanto pare ha conquistato i voti degli indecisi dell'ultimo minuto.


Il modo e i luoghi in cui la Clinton ha vinto dovrebbero preoccupare lo staff di Obama. Lei ha fatto meglio - e lui peggio - del previsto nei sobborghi di Philadelphia. La Senatrice ha vinto in due dei quattro popoloso sobborghi, abitati da quel tipo di elettori che finora aveva decretato le vittorie di Obama.
Nelle zone rurali e nelle cittadine "amareggiate", la Clinton lo ha surclassato. Il maggiore sostenitore di Obama nello stato era il senatore Bob Casey, che viene da Lackawanna Country: in questo paese la Clinton ha preso il 74% dei voti.
Il problema della Clinton è che rimane ancora indietro nella conta dei delegati. A questo punto nessuno dei due può raggiungere la cifra magica di 2.024 delegati valevoli per la nomination. Il sistema proporzionale che regola le primarie democratiche rende molto difficile per la Clinton colmare il distacco solo con i delegati ancora da assegnare: dovrebbe conquistare il 58% dei delegati restanti, ma finora ha ottenuto risultati simili solo 4 volte su 46.
La strada è in salita. Mentre Indiana, Kentucky, West Virginia e Puerto Rico sono buoni territori, l'Oregon e il Montana sono ardui. E lei è sulle spese: ad aprile ha incassato 9,3 milioni di $ ma ha 10,3 milioni di debiti. Obama ha incassato 42,5 milioni e ha debiti per soli 663mila dollari.

I soldi hanno permesso a Obama di dimezzare il supposto svantaggio in Pennsylvania, e dovrebbero garantirgli un buon risultato in Indiana, dove i sondaggi danno un testa a testa.
Se la Clinton vince in Indiana, andrà avanti comunque, con il rischio che a giugno i Democratici avranno un risultato spaccato: Obama avrà più delegati ma la Clinton più voti popolari.
Infatti se si calcolano anche i voti di Michigan e Florida, la Senatrice ha un vantaggio di 113.000 voti.
Certo, Obama non era sulla scheda elettorale in Michigan e non ha fatto campagna in Florida, ma i Democratici hanno detto che tutti i voti contano. In fin dei conti, è stato Obama a non voler comparire sulla scheda elettorale in Michigan, nessuno l'ha obbligato.
E vogliamo parlare dei delegati di Michigan e Florida? Secondo i miei calcoli, la Clinton potrebbe avere un vantaggio di circa 54 delegati se venissero accolti i risultati di gennaio (e se i delegati uncommitted del Michigan andassero tutti a Obama). Se a giugno sarà in testa come ora di circa 125 delegati, Obama permetterà che i delegati di Michigan e Florida partecipino alla convention oppure, come adesso, farà come se due stati con 41 grandi elettori non esistessero?


Il Partito Democratico ha due candidati indeboliti. Mrs. Clinton è già partita con una pesante zavorra: il palpabile e spiacevole segno di predestinazione, l'assenza di un messaggio ottimistico, l'impazienza di tornare al potere, l'aggressività. Problemi che sono cresciuti con il passare delle settimane.
Obama ha un problema con le classi operaie, e per una valida ragione. Come può non capire il motivo per cui molti si siano sentiti offesi per le sue frasi sugli abitanti delle piccole città? E come fa a meravigliarsi che gli venga rinfacciata un'amicizia ventennale con un pastore che nei suoi sermoni accusa il nostro governo di aver creato l'Aids come arma di distruzione di massa e chiede a Dio di maledire l'America?
Il suo messaggio unitare è poco credibile, e la sua retorica va bene per gli studenti del college e per gli afro-americani impegnati nel sociale.
Obama non si è impegnato per le grandi cause al Congresso. Si è manifestamente dimostrato incapace di spendersi dulle questioni urgenti. E' stato solo un osservatore distaccato. Ha risparmiato le sue energie e il suo talento per l'imoportante compito di fare carriera.
Ma è successo qualcosa prima che si chiudesse la campagna elettorale in Pennsylvania. Gli elettori hanno visto Obama in difficoltà nel dibattito, e poi lo hanno sentito lamentarsi degli attacchi della Clinton mentre contemporaneamente lanciava accuse eccessive a John McCain.


Obama è vicino alla nomination, ma è ora che faccia tabula rasa, che rinnovi il suo repertorio e dica qualcosa di nuovo. La sua condotta nelle ultime settimane crea dei seri dubbi sul fatto che, nonostante tutto il suo talento, sia davvero pronto per fare il Presidente.



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La strategia della Clinton per la convention è in bilico

di David Paul Kuhn (Politico)


Secondo un'analisi condotta dal Politico, se sarà la convention Democratica a dover decidere se contare o meno i delegati di Florida e Michigan, la Clinton non avrà abbastanza delegati nel Credentials Committee per poter sperare in una decisione in suo favore.
La sua unica speranza affinchè il comitato-chiave della convention voti un rapporto di maggioranza in suo favore risiede nell'abilità di convincere un numero ancora imprecisato dei 25 membri nominati dal Presidente del partito Howard Dean a votare per lei.

Il Credentials Committee è composto di 144 delegati elettivi (Florida e Michigan sono esclusi) più 25 membri del partito nominati da Dean. Questi 25 saranno scelti tra persone vicine a Dean, sostenitori di Obama e alcuni sostenitori della Clinton.
"Se non si arriverà ad una soluzione, i 25 saranno cruciali" ha detto un consigliere della Clinton.

L'analisi è stata condotta da Matt Seyfang, avvocato e addetto alla conta dei delegati per Bill Clinton nel 1992 e per Bill Bradley nel 2000. Secondo le sue proiezioni e un calcolo del numero di seggi spettanti ad ogni candidato sulla base dei voti negli stati o dei caucus, ad Obama dovrebbero andare circa 65 seggi, e alla Clinton 56. Ci sono più o meno 23 seggi da assegnare con le prossime primarie.

Questa analisi rivela che la Clinton dovrà fronteggiare una battaglia all'ultimo voto se, come annunciato nelle scorse settimane, deciderà di portare la sua battaglia sino alla convention.

"Non ho alcuna intenzione di fermarmi finchè non finiremo ciò che abbiamo iniziato, finchè non vedremo cosa accadrà nelle prossime 10 votazioni e fincbhè non avremo risolto la questione di Michigan e Florida" ha detto al Washington Post la Clinton "E se non la risolveremo ora, ci penserà il Credentials Committee alla convention".

Se è matematicamente impossibile che la Clinton ottenga la maggioranza senza conquistare un buon numero dei fedelissimi di Dean, è improbabile che Barack Obama la spunti nel comitato senza fare lo stesso. Dovrebbe vincere tutte le prossime votazioni con ampio margine per avere i 20 seggi che gli assicurerebbero la maggioranza assoluta.
La Clinton, d'altronde, ha già conquistato abbastanza delegati per superare la soglia del 20% necessaria per presentare un rapporto di minoranza. Ciò significa che le posizioni di entrambi i candidati potrebbero essere votate dal plenum dei delegati presenti alla convention.

La prospettiva di una convention che si apra con un contenzioso su un rapporto di minoranza e uno di maggioranza è "lo scenario da incubo" paventato dai Democratici.

giovedì 1 maggio 2008

L'incredibile regressione dei Democratici

di Joe Stein (TIME)

"Queste elezioni" ha detto Bill Clinton poche ore prima delle primarie in Pennsylvania "sono troppo grandi per essere ridotte". Un sentimento nobile ridotto ai minimi termini, e il fulcro del credo Democratico - che George W. Bush è stato il peggior presidente di sempre e che quest'anno si devono affrontare problemi enormi. Ma èanche una frase ridicola. Le primarie in Pennsylvania hanno rappresentato sei settimane disastrose, con Hillary e Obama - e pure Bill - che hanno perso consensi su base quotidiana. Nello stesso discorso, Clinton ha detto che Obama ha usato la questione razziale contro di lui. E questa è stata la cosa meno assurda.
La vittoria di Hillary in Pennsylvania è stata convincente ma ha avuto un alto costo per la reputazione dei Clinton nel partito. La sua campagna è stata un continuo attacco ai punti deboli di Obama, veri o immaginari, più che sulle questioni reali. Dopo la gaffe sulla Bosnia, il 60% degli Americani non la considera degna di fiducia, numeri degni di Nixon.

Ma il danno è stato ben peggiore per Obama, che era entrato in gara come un vento fresco e nuovo ed è stato lasciato ad inacidirsi tanto da non essere più il "cocco" del partito. In queste sei settimane gli Americani hanno saputo che è stato membro di una chiesa il cui pastore è solito pronunciare sermoni violenti, che è stato "in amicizia" con un ex terrorista, che guarda alla vita della classe operaia - la partita a bowling, la caccia, la messa e il consumo di cibi grassi - come farebbe un antropologo, con distacco e perplessità. E' normale che tutto questo non convinca i bianchi, soprattutto quelli con istruzione inferiore, che guardano con sospetto questo inesperto afro-americano con un nome arabeggiante e molto bravo con le parole.

L'audacità della campagna di Obama è stata quella di pensare che la politica della disinformazione fatta in passato potesse essere spazzata via da un mirato, e vago, appello all'unità della nazione per un bene comune. Ma questa convinzione si è scontrata contro un muro in Pennsylvania. Nello specifico questo muro è rappresentato dal dibattito della ABC visto dalla cifra record di 10 milioni di persone, che entrerà nella storia per la volgarità delle domande, con i primi 40 minuti interamente concentrati su questioni personali.

La grande ironia di questa campagna elettorale è che Obama all'inizio aveva detto di volersi gettare alle spalle le lotte in stile anni '60, e adesso invece ne è pienamente coinvolto. Le domande dei moderatori durante il dibattito in Pennsylvania riguardavano spesso controversie nate negli anni '60: i sermoni del Reverendo Wright e le loro radici in quel movimento nero che corruppe la comunità amorevole di Martin Luther King, le spille con la bandiera entrate in uso da parte dei politici come risposta alle bandiere bruciate dai manifestanti pacifisti, la violenza di terroristi come William Ayers che corruppe i movimenti pacifisti. Tutto ciò accadde quando Obama era un adolescente e aiuta a definire l'atmosfera in quelle comunità di Chicago di cui ora il senatore fa parte. Per 40 anni i Repubblicani ha basato la propria propaganda sugli estremismi di queste comunità, e i Democratici sono stati incapaci di affrancarsi da questo fardello.

La sfida di Obama è di valore ed essenziale al tempo stesso. Su una cosa lui e Bill Clinton sono d'accordo: queste elezioni saranno importantissime. Bisogna prendere una decisione sull'Iraq; il mercato dei mutui e il sistema sanitario cadono a pezzi; c'è la necessità di rendersi indipendenti per quanto riguarda il petrolio e l'energia, per non parlare della modernizzazione delle infrastrutture e di altri importanti temi sociali.
Ma Obama sta percorrendo la strada sbagliata "Dopo 14 mesi" ha detto in un discorso "è facile cadere nelle distrazioni stupide, nel bisticciare e banalizzare questioni serie". Cosa c'è che non va, chiederete? Che è troppo astratto, distaccato. Troppo spesso Obama è parso incapace di sporcarsi le mani e lottare per combattere queste "distrazioni".
Ovviamente è una strategia - la volontà di portare avanti una politica civile, particolarmente necessaria per un politico di colore. Ma non sarebbe stato meglio affrontare direttamente i moderatori del dibattito "Perchè neanche voi indossate la spilla con la bandiera? E perchè non la indossa Hillary?". Questa è proprio la strategia della Clinton nei dibattiti precedenti, e le ha portato vantaggi in Ohio e Texas.

Non sono sicuro che Bill e Hillary Clinton siano persone sane e ragionevoli, almeno quando concorrono per una carica: diventano dei robocop politici, instancabili e apparentemente indistruttibili. La senatrice era in fiamme prima del voto in Pennsylvania, non l'ho mai vista tanto su di giri, ma ha avuto quel calore che a Obama è mancato, e non ha lesinato trucchetti politici triti ma efficaci, come promettere di abbassare i prezzi del gas o attaccare il rivalio su questioni banali. Strategia che le è costata le ire del New York Times: "Questi continui attacchi senza affrontare le questioni vere e proprie smentiscono il motivo per cui questo e altri giornali la hanno appoggiata: il fatto che sia più qualificata per essere Presidente".

Il problema è la mancanza di una definizione certa delle caratteristiche necessarie per essere presidenti: bisogna essere combattenti, saper dare pugni. Una certa familiarità con la vita di tutti i giorni può aiutare; una certa distanza da ambienti elitari in cui un ex terrorista può sorseggiare vino in buona compagnia è essenziale. La Clinton ha imparato la lezione nel modo più duro, Obama pensa che sia "la lezione sbagliata". Ma non riuscirà ad arrivare alla presidenza se non capirà che per raggiungere le vette deve passare per i bassifondi.


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mercoledì 30 aprile 2008

Guerra di spot tra (e nei) partiti

Nei giorni precedenti alle importanti primarie del 6 maggio continuano gli scambi di cortesie tra i candidati e i partiti, con una serie di fuochi incrociati che vedono Obama contro la Clinton, ma la Clinton e i Repubblicani contro Obama. McCain sembra voler tenere fede al suo impegno per una campagna elettorale "rispettosa", e può permetterselo perchè ci pensa il Partito Repubblicano a finanziare spot non propriamente all'insegna del fair play. Dopo la campagna in North Carolina, è la volta di una nuova batteria di spot in Mississippi e Louisiana, per un costo totale di 500.000 $. Il Gop è quindi certo che Obama sarà il nominato Democratico, e parte già da ora con la campagna per indebolirlo, soprattutto negli stati in cui finora ha vinto con maggiore agilità.
Il primo di questi spot è già andato in onda, e come già successo in North Carolina si usano le controverse dichiarazioni del Reverendo Wright per attaccare Obama e contemporaneamente il Democratico Travis Childers, appoggiato da Obama, candidato al Congresso in uno dei distretti più conservatori del Mississippi. Childers viene accusato nel video di non aver detto nulla riguardo Wright e di non essersi dissociato dalle dichiarazioni di Obama sulla provincia americana.

Obama è però oggetto di attacchi anche in Indiana, dove i sostenitori della Clinton stanno puntando tutti i loro fondi residui nel tentativo di annullare il minimo vantaggio che i sondaggi danno al Senatore. L'American Leadership Project ha speso 700.000 $ per uno spot, che andrà in onda negli ultimi giorni di campagna elettorale, in cui si criticano le posizioni di Obama sull'economia e il welfare. Lo spot sarà simile a quello andato in onda in Pennsylvania e che evidenziava le differenze tra i piani sanitari della Clinton e di Obama, ma sarà incentrato sull'occupazione.

Anche il Partito Democratico si è attivato dando il via ad una campagna di spot contro John McCain. Il primo utilizza una frase ormai celebre detta dal Repubblicano durante un'intervista a gennaio: quando l'intervistatore gli citava la frase di Bush secondo cui gli Usa potrebbero rimanere in Iraq 50 anni, McCain ha risposto d'istinto "forse 100", frase poi rettificata e smentita ma che ormai era diventata un tormentone. Lo spot incrocia la frase di McCain con immagini dell'Iraq e dati sui costi della guerra, terminando con la frase "Se ciò che offre è la stessa cosa, John McCain è la scelta giusta per il futuro dell'America?".
I Repubblicani, oltre ad accusare i Democratici di violare le leggi federali che regolano gli spot in campagna elettorale, sostengono che lo spot travisi completamente il senso delle frasi di McCain.

Il presenzialista Wright è la croce di Obama

Se il Reverendo Jeremiah Wright voleva cercare di riparare ai danni fatti alla campagna elettorale di Obama, ha scelto il modo più controproducente, riaccendendo polemiche di cui il candidato Democratico di certo non sentiva il bisogno.
L'incendiario pastore unitarista è invece tornato alla ribalta con una serie di apparizioni televisive e interviste che, a detta del New York Post, hanno rappresentato "il peggior incubo di Barack Obama e il più duro colpo alla sua campagna elettorale". Il senatore dell'Illinois è dovuto infatti tornare sull'argomento prendendo ancora più nettamente le distanze dal pastore e mostrandosi molto infastidito e risentito, ma anche in difficoltà nello spiegare come mai è stato così vicino negli ultimi 20 anni ad una persona dalle posizioni tanto estremiste.

Dopo aver partecipato ad alcuni talk show televisivi in cui, spiegando le sue posizioni, ha nella sostanza confermato tutte le cose dette nei sermoni finiti al centro delle polemiche, Wright ha poi tenuto una conferenza stampa presso il National Press Club di Washington D.C., trasmessa in tv, rilasciando dichiarazioni che hanno riacceso polemiche che sembravano ormai passate in cavalleria.
Sull'11 settembre, ad esempio, ha detto "Non puoi fare del terrorismo contro altre persone e pensare che non ti ritornerà tutto indietro. Questi sono principi biblici, non dichiarazioni divisive di Jeremiah Wright". Wright ha rifiutato di smentire le sue dichiarazioni sul fatto che l'Aids sia stato inventato dal governo americano come arma di genocidio "Visto ciò che è accaduto agli afro-americani in questo paese, credo che il nostro governo sia capace di tutto".
E riguardo il fatto che Obama lo abbia "scaricato" "Obama non mi ha smentito, ha preso le distanze da me senza aver sentito l'intero sermone, al pari di tutti i media", rifiutando poi di rispondere ai giornalisti che ammettevano di non aver ascoltato integralmente i sermoni.
Ha poi aggiunto che Obama, se eletto, seguirà i suoi principi per rendere differente la politica estera degli Usa.
Ha detto che le critiche giunte a lui sono in realtà attacchi contro la chiesa nera, ma soprattutto ha tessuto le lodi di Louis Farrakhan, il discusso leader fondamentalista islamico, definendolo "una delle voci più importanti del 20° e del 21° secolo. Quando Farrakhan parla, i neri lo ascoltano."

Immediate le reazioni da parte di Obama e del suo staff. "Forse non siamo stati chiari fino ad ora, quindi chiariamolo: non abbiamo nessun controllo sulle dichiarazioni del Rev. Wright. Gli ultimi tre giorni indicano chiaramente che non siamo noi a coordinarlo" ha detto il candidato, parlando in North Carolina, e ribadendo che Wright è ormai il suo ex pastore "La gente sa che non sono perfetto, e che ci sono persone conosciute in passato che possono causarmi preoccupazioni. I commenti del Reverendo Wright hanno offeso me come hanno offeso gli Americani. Non parla per me nè per la mia campagna".
John McCain ha commentato "Non credo che Barack Obama condivida le visioni estremiste di Wright, lascio che di questo argomento parli Obama con il popolo americano, perchè capisco che questo argomento è visto con preoccupazione da milioni di persone".

martedì 29 aprile 2008

Aspettando John Edwards

Si avvicina il giorno delle primarie in North Carolina, e in molti si aspettano un segno da Chapel Hill, dove risiede John Edwards, il più importante politico dello stato.
L'ex candidato alle primarie non ha più rilasciato dichiarazioni dal momento in cui si è ritirato; ci si aspetta che presto o tardi esprima le sue preferenze anche in relazione ai circa 20 delegati che ha conquistato, e le primarie nel suo stato potrebbero essere l'occasione giusta, anche per indirizzare i voti degli altri superdelegati della North Carolina ancora indecisi. Per non parlare, cosa ancora più importante, degli elettori indecisi, molti dei quali "orfani" proprio di Edwards, e che attendono da lui un'indicazione per indirizzare il loro voto.
Sono in particolare i sostenitori della Clinton ad aspettare un intervento: in North Carolina i sondaggi danno Obama in netto vantaggio, e solo un endorsement di Edwards per la Clinton potrebbe cambiare le carte in tavola.

Dopo aver condotto buona parte della sua campagna elettorale attaccando la Clinton e lo status quo da lei rappresentato, Edwards ha avuto un riavvicinamento con la Senatrice nelle settimane successive al ritiro. La Clinton si è recata nella residenza degli Edwards, ha garantito all'ex rivale che il tema della lotta alla povertà sarà centrale nel suo programma ed ha ricucito i rapporti con la moglie dell'ex Senatore, Elizabeth Edwards, con cui c'erano delle vecchie ruggini. Da allora si è registrata una crescente freddezza tra Edwards e lo staff di Obama, per cui in un primo momento sembrava dovesse fare endorsement, e si sono sviluppate diverse teorie sulle possibili scelte di Edwards e soprattutto sul momento in cui le annuncerà: se non lo farà prima del voto nel suo stato, allora sicuramente aspetterà la fine delle primarie.
Il silenzio di questi ultimi mesi fa tuttavia propendere per quest'ultima ipotesi, visto anche che Edwards ha sempre tenuto all'unità del partito. Pare inoltre che gli Edwards abbiano in programma di partire per una vacanza a Disneyland proprio in coincidenza con il voto.
Se John Edwards è rimasto sempre in silenzio, non così sua moglie, attivista politica di vecchia data e sua principale consigliera. In un articolo sul New York Times ha criticato per la sua inconsistenza il piano sanitario di McCain e si è espressa a favore di una copertura universale, una posizione letta da molti come un appoggio neanche troppo indiretto alla Clinton.

Un ex assistente di Edwards, rimasto anonimo, ha spiegato che l'ex Senatore aspira ad un ruolo nella prossima amministrazione, e quindi è improbabile che faccia endorsement ora, a rischio di scegliere il candidato perdente.
Elizabeth Edwards sarebbe invece molto più propensa ad appoggiare Hillary, anche da subito. L'unico motivo per cui non lo ha ancora fatto, dicono fonti vicino alla famiglia, è che sta cercando di convincere il marirto a fare altrettanto in un endorsement congiunto.

Le pagelle dei vicepresidenti - i Repubblicani

di Vaughn Ververs (CBS News)

La scelta del candidato alla vicepresidenza è sempre una cosa seria a dispetto dell'atmosfera da luna park che spesso la circonda. Riunioni clandestine con possibili candidati, infinite speculazioni e manovre di partito. E' generalmente la prima decisione importante presa dai due candidati alla presidenza.
Come ha detto l'ex Senatore George Mitchell in un'intervista a Katie Couric "Per prima cosa bisogna cercare qualcuno che non ti danneggi". Detto questo, le caratteristiche richieste per un runnig mate dipendono da quelle del nominato.
Chi sono questi potenziali candidati che adesso si affacciano alla ribalta? Diamo un'occhiata ad alcuni di loroe a cosa possono offrire.

Partiamo dalla decisione di John McCain. La buona norma vorrebbe un bilanciamento in alcune aree chiave - McCain ha bisogno di un conservatore per essere appoggiato da certe aree del Gop, qualcuno che non sia un insider di Washington e che compensi i suoi anni al Congresso, e che sia giovane e un potenziale leader futuro.

Mitt Romney: I due hanno avuto duri scontri durante le primarie, ma si sono rapidamente riconciliati quando l'ex Governatore del Massachusetts ha appoggiato McCain e dichiarato la sua disponibilità alla vicepresidenza. Pro: Romney è diventato molto popolare tra i conservatori e coma alcune mancanze di McCain in economia e in stati chiave come il Michigan. Contro: Romney ha fallito nello sfruttare le sue risorse finanziare, permangono dubbi sulla sua autenticità e sull'impatto della sua fede mormone.

Tim Pawlenty: Il Governatore del Minnesota è stato uno dei primi e più accesi sostenitori di McCain, e una stella nascente del partito. Essendo stato eletto dove i Democratici hanno vinto nelle ultime elezioni, darebbe un sicuro contributo alla causa, e inoltre la convention Repubblicana si terrà a Minneapolis. Tuttavia Pawlenty è forse troppo giovane e sconosciuto sul palcoscenico nazionale.

Mark Sanford: Un altro giovane Governatore che farebbe felici i conservatori, e che condivide l'indignazione di McCain per gli sprechi dell'amministrazione.
Ma Sanford non aiuterebbe McCain geograficamente in nessun modo: se il nominato sarà in difficoltà in South Carolina, lo sarà ovunque.


Rob Portman: L'ex Rappresentante dell'Ohio e ministro delle finanze soddisfa molte delle necessità di McCain.
Argina le difficoltà in politica economica, proviene da uno stato chiave ed è più giovane del nominato.
Purtroppo per lui però non ha l'immagine da star che serve in una campagna elettorale basata sulle personalità.

Charlie Crist: Il Governatore della Florida è certamente nella lista di McCain. Ha contribuito seriamente alla nomination con il suo endorsement poco prima del voto nel suo stato. Crist è molto popolare in uno stato decisivo, ed ha posizioni che piacciono ai conservatori. E' visto con sospetto su alcune questioni sociali, ma senza dubbio sarà sotto esame nelle settimane a venire.

Mike Huckabee: L'ex Governatore dell'Arkansas è stato l'avversario più duraturo di McCain nelle primarie e per questo il suo nome è diventato di casa.
Huckabee aiuterebbe McCain tra i conservatori, soprattutto tra gli evangelici, ma non è mai diventato qualcosa in più di un candidato regionale, proveniente da zone già saldamente Repubblicane.

Condoleeza Rice: L'attuale Segretario di Stato venne inserita nella lista dei possibili candidati presidenziali e, se Barack Obama ottenesse la nomination, sarebbe un buon nome per attrarre sia i neri che le donne. Ma la Rice viene identificata con la guerra in Iraq, un tema su cui McCain non ha bisogno di aiuto: un ticket tutto-guerra non sarebbe vincente.

Kay Bailey Hutchison: Il nome della Senatrice del Texas è venuto fuori quando si è cercato il nome di una donna che potesse contrastare l'appeal della Clinton nel caso ottenesse la nomination. Ma queste considerazioni non possono bastare per un nome che viene oltretutto da uno stato in cui i repubblicani dovrebbero vincere senza problemi.


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lunedì 28 aprile 2008

Bush fa lo spiritoso sui candidati alla Casa Bianca

Domenica sera si è tenuta l'annuale cena di gala organizzata dalla White House Correspondents' Association, l'associazione dei corrispondenti alla Casa Bianca, l'ultima a cui George W. Bush parteciperà da Presidente.
Per questo l'evento è stato di particolare livello, e oltre ai corrispondenti della stampa, alle tradizionali celebrità hollywoodiane (Ben Affleck, Jenny McCarthy, Pamela Anderson) e agli esponenti del mondo della cultura (Salman Rushdie) sono stati invitati anche attori che nella loro carriera hanno interpretato ruoli in qualche modo attinenti alla Casa Bianca, come Richard Schiff, che interpretava il Direttore della Comunicazione del Presidente nella serie "The West Wing", o Rob Lowe, che dopo aver ricoperto il ruolo del ViceDirettore alle Comunicazioni nello stesso serial, attualmente interpreta un candidato alle primarie nella serie "Brothers & Sisters".
Grandi assenti sono stati invece i candidati alla successione di Bush, un po' perchè impegnati in campagna elettorale, un po' perchè farsi vedere con l'attuale presidente non è una buona pubblicità. L'unico protagonista delle primarie a presenziare alla cena è stato Mitt Romney, che è stato oggetto di una battuta di Bush "Romney e Pamela Anderson nella stessa stanza? Non è uno dei segni dell'apocalisse?".

Il Presidente, seguendo l'esempio del suo predecessore Bill Clinton, sembra voler alleggerire la propria immagine nell'ultima fase del suo mandato, e durante la cena si è lasciato andare ad una serie di battute, in particolare sui candidati alla Casa Bianca. Il primo bersaglio è stato proprio il collega di partito John McCain, con una frase che non era proprio una battuta quanto una amara constatazione rivestita di ironia.
"Il Senatore McCain non è qui stasera. Probabilmente vuole prendere le distanze da me. Sapete, non è il solo. Anche mia figlia Jenna se ne sta andando". Il riferimento è al fatto che Jenna Bush la scorsa settimana, in un'intervista con Larry King sulla CNN, ha detto di non essere sicura di voler votare Repubblicano alle prossime elezioni ma che è intenzionata a valutare attentamente Hillary Clinton e Barack Obama.
George Bush ha poi rivolto le proprie facezie anche ai Democratici, prendendo spunto dalle recenti controversie della campagna elettorale: la gaffe della Clinton sulla Bosnia e i sermoni dei Reverendo Wright. "La Senatrice Clinton non è potuta entrare a causa del fuoco dei cecchini, mentre il Senatore Obama è in chiesa".

Bush è stato a sua volta oggetto delle (bonarie) battute del comico Craig Ferguson: "Adesso il Presidente può cercare un lavoro che gli permetta di avere più ferie" ha detto, in riferimento alle lunghe (e speso criticate) vacanze estive di Bush. Infine una battuta anche su Dick Cheney "Il vicepresidente sta già preparando il trasloco dalla sua residenza. Ci vuole molto tempo a impacchettare un'intera prigione".

Mark Salter, l'uomo che ha inventato McCain

Sasha Issenberg (The Boston Globe)

John McCain è arrivato in questo Opera house vittoriano del Mississipi ai margini di una ferrovia dell'estremo Sud per parlare dei suoi antenati.
Non lontano da un aeroporto intitolato a suo nonno, il palco cosparso di foto di famiglia in bianco e nero, McCain ha riflettuto su come il concetto di onore, coraggio e dovere si sia trasmesso attraverso le generazioni, e ha confessato di essere stato "un imperfetto servitore del mio paese per molti anni".

Forse più di qualsiasi altro candidato dei tempi recenti, McCain si è appoggiato alla propria figura basata sull'esperienza personale, l'argomento con cui convincere gli elettori - specialmente quelli che non concordano con lui su molti temi - della sua abilità di ergersi al di sopra delle divisioni, dei privilegi e delle ambizioni.
E' un progetto politico, ma soprattutto una creazione letteraria, opera di Mark Salter, il più vicino degli assistenti di McCain, spesso definito come il suo alter-ego.
Come autore di un paio di biografie e di praticamente ogni parola che esce dalla bocca del senatore, Salter ha trasformato il suo capo in un personaggio quasi letterario, ravvivando i suoi conflitti interiori ed evidenziandone le motivazioni. Salter ha dato a McCain una nuova voce di riflessivo narratore delle proprie azioni - come nella frase "il servitore imperfetto" - in cui il protagonista acquista la nostra fiducia ammettendo i propri difetti.

McCain fu eletto per la prima volta al congresso con lo slogan "un nome di cui in Arizona parlano tutti"; il suo status di ex prigioniero di guerra lo aveva reso una celebrità proiettata ai più importanti incarichi. Ma fu Salter a trovare nella vita di McCain qualcosa di più grande, il principio organizzatore di un'identità pubblica inconfondibile.
Tutto ciò è diventato centrale ora che McCain si prepara probabilmente ad affrontare Barack Obama, un altro candidato dalla biografia caratteristica. Salter si prepara ad una campagna elettorale che sarà probabilmente uno scontro tra mitologie personali più che tra ideologie.

Nel 1973, poco dopo la sua liberazione, McCain scrisse un memoriale sulla prigionia di quasi 6 anni. Un testo molto diretto ed essenziale, in cui diceva tra l'altro "Ho avuto molto tempo per pensare, e sono giunto alla conclusione che una delle cose più importanti nella vita - assieme alla famiglia - è dare un contributo al proprio paese".
Nei venti anni successivi, McCain ha parlato molto raramente della sua prigionia in Vietnam, "La gente conosceva bene quella storia" spiega la sua ex addetta stampa Torie Clarke "tentavamo di trovare altri argomenti".
Le cose cambiarono quanso McCain decise di puntare alla Casa Bianca. Nel 1997 a McCain fu proposto di scrivere un libro di memorie della sua famiglia, a partire da suo padre e suo nonno, entrambi ammiragli. McCain chiese aiuto a Salter, autore dei suoi discorsi e capo dello staff.

Salter, 53 anni, ha lavorato per 4 anni nelle ferrovie in Iowa per pagarsi gli studi al college. Successivamente ha lavorato per l'ambasciatore all'ONU Jeane Kirkpatrick ed è stato assunto da McCain nel 1988.
"Ho sempre pensato che Mark sia il collaboratore ideale per McCain, perchè è perfettamente in sintonia con la voce di John" ha detto il biografo del senatore, Robert Timberg "a volte per scherzo dico che John McCain è Mark Salter".
Salter riesaminò "l'eredità marziale" di McCain e identificò un percorso attraverso cui riassumere la vita del senatore: l'idea di patriottismo come eredità che il protagonista lotta per affermare.
In "Faith of my fathers", pubblicato nel 1999 durante la prima campagna presidenziale, la figura di McCain prigioniero di guerra emerse a livello di rivelazione: "Ho ricordato l'eredità di un moribondo a suo figlio, e quando ne avevo più bisogno ho trovato la mia libertà interiore".
Questo tema - la scoperta di uno scopo individuale attraverso una "causa più grande degli interessi personali" - è diventata centrale nella figura di McCain ed una cassa di risonanza per la sua ideologia.

Quando McCain ha ottenuto la nomination, Salter ha cominciato a cercare i punti di contrasto con Obama in una serie di discorsi scritti su computer presi in prestito nelle stanze d'albergo.
"Cerco un senso di dignità e umiltà, che si addice alla sua figura" spiega Salter, che per molto tempo ha lavorato gratis, vivendo delle royalties dei cinque libri scritti con McCain.
Salter, che è anche la coscienza di McCain, guarda con sufficienza le frivolezze e i video musicali della campagna elettorale di Obama, che secondo lui dimostra "un complesso messianico", in contrasto con l'ulità di McCain: questo è diventato il punto centrale della campagna elettorale del Repubblicano.
Alla fine di marzo, McCain è partito per il tour "Service for America", un'idea di Salter per spiegare agli elettori "perchè McCain è McCain". Salter richiama come monito la storia di John Kerry, veterano di guerra che nel 2004 è stato affondato da una lunga carriera politica.
"Gli elettori non riuscivano a vedere il marine nel politico. Non capivano come potesse essere la stessa persona" ha spiegato Salter "Con McCain, possono capirlo".

Con un probabile avversario, Obama, dalla biografia competitiva, Salter ha dato al suo personaggio una nuova sfumatura
"Io non cerco la presidenza perchè penso di essere unto dal Signore o perchè la storia mi ha investito del compito di salvare il mio paese" ha detto McCain in un recente discorso.

Nelle sue critiche a Obama, Salter è più diretto "Il tema della sua campagna è sono quello che stavate aspettando, Americani, non potete non votarmi, un messaggio antitetico a quello di McCain".

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domenica 27 aprile 2008

McCain è come Dole? / 2



John McCain è Bob Dole o Dwight Eisenhower?
Dipende se Barack Obama è John Kennedy o Mike Dukakis

di John Heilemann (New York Magazine)
Leggi la prima parte

[...]Tuttavia McCain è il candidato preferito dagli indipendenti, soprattutto a causa della sua storia personale, della sua ottima reputazione da dissidente all'interno del partito, e dei dissapori avuti con Bush. Il punto è se la reputazione di McCain reggerà all'esame, perchè è e sarà abbastanza chiaro che il McCain del 2000 e il McCain del 2008 sono due persone differenti, come dimostra il cambiamento di idea sulla politica fiscale di Bush e la mancata presentazione di un sostanziale piano di riforme.
Poi c'è il fatto che moltissimi collaboratori di McCain sono lobbysti o lavorano per i lobbysti. Gli stessi Repubblicani sono preoccupati per i legami tra il Senatore e la grande industria. "Vi immaginate i lobbysti della multinazionale Halliburton lavorare per far eleggere Cheney? Sarebbe impensanile" ha detto un importante consulente del Gop.

Ma se McCain non è più quello del 2000, allora chi diavolo è?
La risposta arriva dallo stesso consulente "Si sta trasformando in Bob Dole". Bob Dole, l'unico politico nella storia degli Usa ad essersi candidato sia come vicepresidente che come presidente e ad aver perso entrambe le volte.
Non è la prima volta che si traccia un parallelo tra McCain e Dole, ed è già capitato anche in questa campagna elettorale per bocca di uno dei principali avversari del Senatore, ora suo sostenitore.

"Ci sono molte persone che vedono McCain come un Dole-Redux" disse a FoxNews Mitt Romney durante il Super Tuesday "E' il prossimo della fila, dobbiamo dargli l'opportunità, ma già sappiamo che fallirà".
Ci sono in effetti diverse somiglianze tra i due: l'età (McCain ha 71 anni e ne avrà 72 a novembre, la stessa di Bob Dole nel 1996), c'è la fragilità fisica derivata dalla guerra, c'è la leggendaria irritabilità (anche se McCain finora si è saputo trattenere), c'è la ferma convizione, come detto da Mark Halperin del Time, che "andare a Meet the press sia più importante che andare in chiesa. Anzi, andare a Meet the press è andare in chiesa".

Ovviamente, gli accoliti di McCain si affannano a smentire queste somiglianze "Credo che sia fondamentalmente molto diverso da Dole" spiega McKinnon, consigliere del Senatore "ha un grande senso strategico, è disciplinato e sa come comunicare. Dole invece tendeva a nascondere le cose che la gente apprezzava più di lui". In effetti Dole teneva a freno il suo notevole senso dell'umorismo in campagna elettorale, mentre McCain non fa niente per nascondere il suo lato comico, che per certi versi ricorda quello di David Letterman, e fa continuamente battute su ciò che sta facendo.

Per questo il politologo Neal Gabler lo ha definito un "meta-candidato", ed è per questo che la stampa lo ama. Bisogna però vedere se è il modo migliore per arrivare al cuore degli elettori: Letterman è popolare, ma Jay Leno lo batte sempre negli ascolti. D'altro canto, questo atteggiamento è il miglior contrappeso possibile all'accusa di essere troppo vecchio.


Sono cose superficiali, certo, ma i Repubblicani sono preoccupati per altre, e più profonde somiglianze tra McCain e Dole. "Potevi andare in giro con Dole nel 1996 e provare a trovare dei messaggi da comunicare, ma tutto quello che voleva sapere era chi sarebbe stato sul palco con lui" racconta un ex collaboratore di Bob Dole "Stessa cosa adesso con McCain. Non ha altri messaggi a parte l'Iraq. Qual è il suo piano per la sanità? Per le tasse? Per l'innovazione tecnologica? Nessuno in mille anni potrà dirlo".

Scott Reed, manager della campagna di Dole, concorda su questi paralleli "Nessuno dei due può alzare le braccia sopra la testa, nessuno dei due può pettinarsi da solo, nessuno dei due sa leggere dal gobbo elettronico" ma Reed sottolinea una differenza cruciale "Nel 1996 i Democratici puntarono tutte le loro armi contro Dole. Usarono tutti i soldi a loro disposizione per creare il mostro a due teste Dole-Gingrich. Ma oggi i Democratici non possono farlo, e difficilmente ci riuscirebbero".

Reed ha ragione, il prezzo più grande pagato da queste primarie prolungate e fatte di lotte intestine tra la Clinton è Obama è proprio la mancata possibilità di distruggere la figura di McCain in primavera. Se i due candidati non fossero ancora alle prese con il farsi reciprocamente a pezzi, i Democratici potrebbero usare le loro ingenti risorse per dipingere McCain in qualsiasi modo possano ritenere più dannoso: Bush II, Dole II, Attila II. E invece è il Gop a fare la partita - specialmente contro Obama.



(continua domenica prossima)