sabato 22 marzo 2008

Buona Pasqua



Primary 2008 augura una felice Pasqua a tutti i suoi lettori italiani e stranieri, democratici, repubblicani, indipendenti e indecisi.
Gli aggiornamenti riprenderanno regolarmente da martedì 25, nel frattempo non fate indigestione ;-)

G.

Scandalo al Dipartimento di Stato: spiati i passaporti dei candidati

L'immagine “http://i.l.cnn.net/cnn/2008/POLITICS/03/21/obama.passport/art.candidates.afp.gi.jpg” non può essere visualizzata poiché contiene degli errori.
La notizia diffusasi ieri mattina aveva del clamoroso: sono stati registrati accessi abusivi ai fascicoli del Dipartimento di Stato relativi al passaporto di Barack Obama. L'intrusione risale a diverse settimane fa ma solo in questi giorni è stata resa pubblica.
Quella che inizialmente sembrava una spy story dai risvolti inquietanti, ha poi cambiato aspetto quando si è scoperto che anche i file su Hillary Clinton e John McCain avevano fatto registrare gli stessi accessi indebiti. Alcuni funzionari imprudenti e curiosi del Dipartimento di Stato hanno pensato bene di spiare le informazioni relative ai candidati presidenziali, pare, solo per curiosità personale.
Tuttavia le tre intrusioni non sarebbero riconducibili ad una stessa mano. Quelle relative al passaporto di Obama sono avvenute negli uffici degli Affari Consolari, ed ha riguardato tutti gli spostamenti e i paesi visitati dal senatore fin da bambino: indagini un po' troppo specifiche per essere addebitate a semplice curiosità. Le intrusioni sono avvenute tra gennaio e marzo.
Le stesse persone, nello stesso periodo, hanno spiato nei file relativi agli spostamenti di McCain.
Le intrusioni relative ai file della Clinton risalgono invece al 2007 e sarebbero opera di altre persone, forse veramente solo dei curiosi.

Il Segretario di Stato Condoleeza Rice ha personalmente telefonato ai candidati per scusarsi e promettere un'indagine approfondita. Due dei funzionari coinvolti sono stati licenziati, unterzo è sotto indagine, anche se le autorità riferiscono che non ci sono collegamenti con la campagna elettorale.
Obama ha chiesto l'apertura di una inchiesta con la supervisione del Congresso. McCain, in visita in Francia, ha detto di aspettarsi una seria revisione delle procedure interne al Dipartimento di Stato per assicurare la privacy di tutti i cittadini.
La Clinton per ora ha solo riferito di aver ricevuto e apprezzato la telefonata della Rice

venerdì 21 marzo 2008

Bill Richardson appoggia Obama


Secondo la Associated Press, l'ex candidato presidenziale e Governatore del New Mexico Bill Richardson è sul punto di appoggiare ufficialmente Barack Obama.
Richardson, l'unico Governatore di origine ispanica in Usa, era dato inizialmente come probabile sostenitore di Hillary Clinton, con aspirazioni alla vicepresidenza.
In una e-mail ai supporter, Richardson ha detto che "Obama sarà un grande e storico presidente, che porterà il cambiamento di cui abbiamo disperatamente bisogno".
Richardson sarebbe il secondo candidato alla presidenza ad appoggiare Obama dopo Chris Dodd.
Il sostegno di Richardson è particolarmente importante perchè il Governatore del New Mexico è un idolo tra gli ispanici, il vero punto debole di Obama.

Aggiornamenti
A Portland in Oregon, Bill Richardson ha ufficializzato il suo appoggio ad Obama, affiancandolo in un comizio.
Richardson ha detto "Ci è sembrato il migliore canddiato. Come ispanico, mi sono sentito particolarmente toccato dalle sue parole [riferito al recente discorso di Obama a proposito di razzismo]. Non ha cercato di evadere questioni così delicate con parole tranquillizzanti. Ci ha invece ricordato l'enorme potenziale che risiede nelle nostre responsabilità.
Il Senatore Obama avrebbe potuto aspettare che le controversie sulle deplorevoli parole del Reverendo Wright si calmassero, come sicuramente sarebbe successo. Invece ci ha fatto vedere quale leader è, ci ha trattato da adulti.
[Rivolgendosi a Barack Obama] Tu sei un leader straordinario che ha mostrato coraggio giudizio e saggezza nel corso di tutta la tua carriera. Soprattutto sarai il Presidente che riunirà questa nazione e restaurerà la leadership globale dell'America.
Il mio grande affetto per Bill e Hillary Clinton non svanirà mai, ma è tempo per i Democratici di smettere le lotte intestine e prepararci per la dura lotta che ci attende.
Barack Obama sarà un grande e storico Presidente, e so che tutti i Democratici lavoreranno senza sosta perchè venga eletto"

Greg Craig parla dell'esperienza di Hillary Clinton

Continua a tenere banco la polemica riguardante l'esperienza acquisita da Hillary Clinton in politica estera quando era First Lady. Dopo l'intervista a George Mitchell, riporto quella a colui che ha aperto la tenzone.
La giornalista del National Journal Linda Douglass ha intervistato il 14 marzo Greg Craig, famoso avvocato di Washington, già collaboratore di Ted Kennedy, consigliere del segretario di Stato Madeleine Albright dal 1997, asistente speciale del Presidente Clinton dal 1998 e avvocato di quest'ultimo durante la causa di impeachment. Oggi Craig è consigliere per la politica estera di Barack Obama.

Domanda: durante la campagna elettorale lei ha scritto una nota piuttosto polemica in cui mette in discussione la competenza di Hillary Clinton in tema di politica estera, dicendo che le sue dichiarazioni di esperienza sono esagerate. Come mai?

Craig. Era il nocciolo del discorso. Se basi la tua campagna elettorale sull'esperienza, quando citi degli esempi devi essere precisa. Le prove devono essere precise. E il punto è che la Senatrice Clinton e i suoi collaboratori hanno seriamente gonfiato, quando non completamente esagerato, la natura di questa esperienza. Prendiamo il processo di pace irlandese, una negoziazione lunga e difficile. Inizialmente la Clinton ha detto "Ho aiutato a portare la pace nell'Irlanda del Nord". Beh, posso citare i nomi di molti, molti eroi a cui va il merito di quell'accordo. In primo luogo, gli irlandesi hanno raggiunto quel risultato, e gli americani li hanno aiutati.
Ma è un po' presuntuoso per la First Lady prendersi il merito di tutto questo. Terry McAuliffe (presidente del comitato elettorale della Clinton) ha detto "Non avremmo oggi la pace nell'Irlanda del Nord se non fosse stato per Hillary Clinton". Non è vero. Stamattina la senatrice ha detto di aver rappresentato "uno strumento" per la pace. Non è vosì, è un'esagerazione. E chiunque sia a conoscenza di come sono andate le cose - come George Mitchell, che ci ha scritto anche un libro - non ha mai menzionato un qualsivoglia ruolo per Hillary Clinton.

D. Ma la Clinton ha subito pubblicato una nota in cui George Mitchell ammette un ruolo positivo della First Lady per l'Irlanda del Nord.

C. Avere un ruolo positivo è un po' diverso che essere uno strumento di pace. Lei non è mai stata coinvolta nei negoziati, non ha risolto i problemi. Una votla ha incontrato alla Casa Bianca Ian Paisley e Martin McGuinness, ed è stata una cosa carina. Hanno fatto delle foto insieme. E' andata in Irlanda con il marito e ha incontrato le donne, che hanno svolto un ruolo eroico nel processo di pace. Ma non può prendersi il merito di aver unito quelle donne. Lei ha detto alle donne "Quello che fate è grandioso, siamo tutte con voi, spero che abbiate successo". Questo non vuol dire portare pace in Irlanda.

D. Lei ha anche smentito che la Clinton abbia superato il test da comandante in capo

C. Beh, io penso che sarebbe un bravo comandante in capo. E penso che Barack Obama, che è il candidato che sostengo, sarebbe ugualmente un comandante in capo capace. Non voglio denigrare nessuno. Quello che voglio dire è che quando vuoi provare la tua esperienza, devi essere precisa. Un altro esempio: la Clinton dice di aver negoziato l'apertura dei confini nella ex Macedonia, ma lei è arrivata in Macedonia il giorno dopo la chiusura degli accordi.Ci è andata, ma non per i negoziati. E l'Ambasciatore Gelbard, che fu molto coinvolto, ha detto che lei non fece assolutamente nulla nei negoziati.

D. Ma la Clinton ha ribattuto che il consigliere dell'amministrazione Clinton, Richard Holbrooke, ha detto che Hillary partecipò attivamente

C. Lei ha detto di aver partecipato ai negoziati per l'apertura delle frontiere, e non è così. e l'Ambasciatore Holbrooke sarebbe il primo a dirlo.

D. Ma è il fattore esperienza - che ha una grande influenza - a rendere la Clinton adatta o meno ad essere il comandante in capo?

C. Non c'è dubbio. Lei sue dichiarazioni sono esagerate, lei non ha mai partecipato ad un incontro ufficiale sulla sicurezza nazionale. Non ha mai condotto negoziati, non ha mai affrontato crisi. Non conosce la burocrazia delle agenzie di sicurezza. Non ha uno staff per la sicurezza nazionale. Questi sono fatti. Tutta l'esperienza che ha - l'aver assistito a discussioni tra capi di stato - è positiva, e preziosa per capire come funzionano le cose a livello internazionale.

D. Parliamo di Barack Obama. Lei ha detto che l'esperienza da First Lady dà alla Clinton una preparazione importante. Ha viaggiato in 80 paesi, e Obama è stato in Senato solo pochi anni.

C. Tre anni

D. Come può l'esperienza di Obama in politica estera essere superiore a quella della Clinton?

C. Non credo sia necessario guardare al numero di anni passati a Washington per decidere se qualcuno sarebbe un bravo comandante in capo. Altrimenti i migliori sulla piazza sarebbero Dick Cheney o Donald Rumsfeld, che hanno passato molti anni a Washington. La longevità non c'entra niente, quello che importa è la capacità di giudizio.
Il Senatore Obama sugli argomenti di politica estera è stato spesso profetico, e non parlo solo dei fatti più recenti di cui si è parlato in campagna, ma anche a cose precedenti come il suo discorso del 2002 contro la guerra in Iraq. Lui predisse letteralmente molte cose che poi avvennero, e spiegò perchè non si sarebbe dovuta fare quella guerra. Lui è stato nella commissione del Senato per i rapporti con l'estero, e ha raggiunto una fama di grande giudizio. Tutte cose che secondo me lo rendono pienamente qualificato per guidare questo paese.


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giovedì 20 marzo 2008

McCain fa tappa a Gerusalemme

Come anticipato, McCain nella sua visita di rappresentanza all'estero ha toccato anche la Terra Santa, primo candidato presidenziale della storia d'America a visitare Israele nell'anno delle elezioni.
Dopo essere stato martedì in Giordania, mercoledì il candidato Repubblicano ha visitato la Città Vecchia di Gerusalemme, compreso il Muro del Pianto, accolto da una folla osannante che non ha dubbi sul fatto di aver accolto il futuro Presidente USA.

McCain ha inserito, come da tradizione, un messaggio tra i mattoni del Muro sacro., che un tempo sosteneva la parete ovest del Secondo Tempio, poi è stato guidato in una visita tra i tunnel della Città Vecchia.
Ben lontano dalle beghe della campagna elettorale interna, ormai monopolizzata dai Democratici, McCain si prepara ad incontrare le autorità israeliane, ribadendo la sua vicinanza al governo di Tel Aviv nella lotta al terrorismo e nella delicata questione palestinese.
La CNN riporta di divergenze di opinioni tra i supporter israeliani e gli ebrei americani al seguito del Senatore. I primi vorrebbero che McCain scegliesse come vice Joe Lieberman, mentre i secondi, pur stimando Lieberman, lo ritengono ancora troppo legato ai Democratici e spingerebbero per un conservatore di chiara fama, come Romney.

I superdelegati spaventati dalla prospettiva di una lunga campagna

A un mese dalle importanti primarie in Pennsylvania che comunque, con tutta probabilità, non saranno decisive per la nomination, i superdelegati ancora incerti del Partito Democratico sono sempre più preoccupati dai rischi di una campagna interminabile e perplessi su come risolvere il conflitto.
Il New York Times ha intervistato molti di questi superdelegati, e tutti, a prescindere dalle proprie inclinazioni, sono preoccupati che il loro ruolo possa indebolire il candidato prescelto per le presidenziali.
Molti hanno detto di volersi tenere aperte tutte le possibilità, ma la tendenza generale ha visto un rovesciamento a favore di Barack Obama. Moltissimi hanno infatti detto di volersi attenere a quello che Obama ha invocato come principio cardine: la volontà degli elettori.

Obama ha conquistato più stati, più voti e più delegati elettivi.

L'ultimo sondaggio tra i superdelegati ha mostrato che, dal Super Tuesday di febbraio ad oggi, Obama ha conquistato più endorsement della Clinton, che tuttavia mantiene ancora la leadership globale, con circa 40 superdelegati in più. Nell'ultimo mese, Obama ha conquistato l'appoggio di 54 superdelegati, la Clinton di 31.
"Se alla fine il Senatore Obama avrà conquistato più stati, più delegati e più voti" ha detto Jason Altmire, superdelegato della Pennsylvania ancora indeciso "ci sarà bisogno di una spiegazione molto forte sul perchè un super-delegato debba votare un altro candidato".
Altmire ha ripetuto queste parole anche alla Clinton, durante un incontro con altri superdelegati indecisi.
I superdelegati si sono anche detti preoccupati che l'animosità tra Obama e la Clinton rappresenti un vantaggio per McCain alle presidenziali.
"E' un incubo che diventa realtà" ha detto Richard Machacek, superdelegato dell'Iowa.
In Ohio il Senatore Sherrod Brown sembra avere un compito facile: la Clinton ha vinto con distacco in quello stato. Si schiererà con lei? Non necessariamente.
"E' il computo totale di voti, il computo totale di delegati, è che porta energia alla campagna" ha spiegato Brown "Bisogna risolverla prima della convention, e penso che sarà fatto".
Ma Eileen Macoll, dirigente dello stato di Washington, la vede diversamente "Penso che si deciderà alla convention, voteremo tutti quanti e si deciderà la nomination".

I superdelegati sono anche preoccupati dalla prospettiva di essere visti come un'èlite che può sovvertire il voto popolare, e per questo sperano in un intervento risolutore delle tre persone più autorevoli del partito: il presidente Howard Dean, la speaker della Camera Nancy Pelosi, e l'ex vicepresidente degli Usa Al Gore, il superdelegato più influente (escludendo Bill Clinton, per ovvi motivi).
"Penso che Dean debba convocare una riunione prima della convention, e costringere i due candidati ad arrivare ad una soluzione" ha detto Bill George, della Pennsylvania.
Ma David Parker della North Carolina ha un'idea diversa "Non penso che molta gente darà ascolto a Howard Dean. Il DNC non è un monolite che si muove come un unico corpo".

E Nancy Pelosi, quasi a voler rispondere all'appello, si è espressa subito dopo la pubblicazione dell'articolo sul NYTimes.
"Se i voti dei superdelegati contraddicessero quello che è avvenuto nelle elezioni, sarebbe un grave danno per il partito".
Una dichiarazione che sarà stata accolta con gioia da Obama.
Nell'intervista, la Pelosi ha anche aggiunto che se un candidato chiude le primarie con una chiara maggioranza, deve ottenere la nomination.

Non tutti i superdelegati indecisi sposano però questa teoria.
Gray Sasser, superdelegato del Tennessee, ha dichiarato "La volontà popolare è un principio estramemente fugace" citando il fatto che in Nevada la Clinton ha vinto i caucus ma Obama ha conquistato più delegati. "Il compito dei superdelegati è quello di decidere chi sia il candidato più adatto".
"E' sbagliato suggerire che un supedelegato che vota in modo diverso dalla volontà popolare compia un atto inappropriato" ha aggiunto Jerry Meek, della North Carolina "perchè le regole sono chiare e permettono la totale discrezionalità".
Ci sono ancora 246 superdelegati indecisi, 107 da stati vinti da Obama, 83 da stati vinti dalla Clinton, 56 da stati in cui non si è ancora votato. Dei 246, 75 sono donne, 10 sono Governatori e 100 siedono nel Congresso.

mercoledì 19 marzo 2008

Per i Democratici una vittoria grazie ai superdelegati sarebbe ingiusta

USA Today ha condotto un sondaggio tra gli elettori del partito dell'asinello per tastare il polso sull'eventualità che la nomination democratica venga decisa dai voti dei super delegati, anche a costo di rovesciare i risultati del voto popolare.

La maggioranza degli elettori democratici dice che sarebbe ingiusto se Hillary Rodham Clinton ottenesse la nomination attraverso il supporto dei superdelegati senza aver conquistato la maggioranza nel voto popolare.

Il 55% dei Democratici e degli indipendenti orientati a votare per i Partito Democratico ritiene che una nomination della Clinton senza la maggioranza dei delegati elettivi sarebbe "ingiusta" e "inappropriata" - tra questi il 77% supporta Obama e il 28% la Clinton. Il 37% ritiene invece che una simile nomination sarebbe corretta.

E' particolarmente a rischio il supporto degli indipendenti. I due terzi di questi elettori si mostrano critici verso una nomination decisa dai super-delegati, e un terzo dice che di conseguenza voterebbe McCain o si asterrebbe.
"Il punto è questo: non importa come è partita questa campagna, è importante come finirà" ha commentato Donna Brazile, manager della campagna di Al Gore nel 2000.
I sondaggi non portano però solo buone notizie per Obama. Sia lo stesso poll di USA Today/Gallup che un sondaggio della CNN, rilevano una flessione del senatore dell'Illinois.
Tra i Democratici, Obama viene visto come il miglior candidato dal 52% contro il 45% della Clinton, inoltre il 45% sarebbe entusiasta di una vittoria di Obama, contro il 38% per la Clinton. Il 50% si dice contrario alla presenza di super delegati nel sistema elettorale dei Dems, ma il 49% ritiene che, poichè esistono, devono decidere di testa loro, contro il 46% che ritiene debbano semplicemente ratificare il voto popolare.

Il recupero della Clinton è particolarmente sensibile nelle preferenze presidenziali. Mentre finora Obama è sempre stato il candidato più avvantaggiato, il sondaggio di USA Today dà la Clinton al 51% contro il 46% di McCain. In una sfida McCain-Obama, il Democratico sarebbe al 49% contro il 47% del Repubblicano

George Mitchell parla alla CBS dell'esperienza della Clinton

Continua a far discutere la nota rilasciata da Greg Craig, ex consigliere alla sicurezza nazionale di Clinton e oggi nello staff di Obama, a proposito dell'esperienza di Hillary in politica estera. Craig ha chiamato in causa, tra gli altri, George Mitchell

George J. Mitchell, senatore Democratico e leader della maggioranza al Senato dal 1989 al 1995, vicepresidente del Senato dal 1987 al 1989, procuratore del Maine dal 1977 al 1979, autore del Rapporto Mitchell su conflitto arabo-israeliano, è stato intervistato dalla giornalista della CBS Katie Couric al riguardo.

D. Ci sono state molte discussioni a proposito delle credenziali di Hillary Clinton in politica estera. Hillary ha sostenuto di essere stata parte attiva del cosiddetto Good Friday Agreement, l'accordo di pace nell'Irlanda del Nord condotto proprio da lei, Mitchell. Può descrivere il ruolo della Clinton?

Mitchell: ha dato un grande supporto, conosceva tutte le persone coinvolte. Ha accompagnato il Presidente Clinton in ogni visita nell'Irlanda del Nord, e ha fatto molte visite anche da sola. Ha incoraggiato le donne dell'Irlanda del Nord a partecipare al processo politico. E come ho detto molte volte, il ruolo delle donne nel processo di pace nordirlandese è stato decisivo, per questo dico che la Clinton ha dato un grande supporto.

D. Allora quando Hillary dice di aver partecipato all'accordo, non pensa stia esagerando un po?

Mitchell: Beh, non conosco le sue esatte parole. Ho ricevuto molte telefonate da parte dei giornalisti che mi chiedevano un parere su quello che aveva detto, ma per come mi sono state riferite, mi sembrano frasi generalmente corrette.

D. Florida e Michigan. Bisogna rivotare, e questi delegati eletti devono contare?

Mitchell: Penso sia importante che gli elettori democratici della Florida e del Michigan siano resi partecipi. Sono stati cruciali. La Florida, specialmente, è stata decisiva nelle ultime elezioni, e comunque ha sempre giocato un ruolo importante.
Ma al tempo stesso ci sono delle regole, che questi stati hanno violato. Ma non è una novità. Io ho partecipato ad ogni convention democratica per molti anni, e in moltissime occasioni ci sono state discussioni su quali delegati dovessero o non dovessero partecipare. Penso che occorra impegnarsi perchè la gente di Florida e Michigan possa partecipare.

D. Supporterebbe un nuovo voto in questi due stati?

Mitchell: Beh, tocca ai due stati e al DNC decidere. Ma penso sarebbe un errore non escogitare un modo per far partecipare i due stati in modo fattivo alla nomination. Non vedo ragioni plausibili perchè le parti in causa non debbano trovare una soluzione.

D. In molti la vedono come la persona perfetta per fare da mediatore in questa situazione. Accetterebbe?

Mitchell. Non penso sarà necessario un mio coinvolgimento. Ci stanno già lavorando molte persone in gamba. Ovviamente farò tutto il possibile per aiutare il partito e il candidato alle presidenziali, e supporterò con ttuto me stesso chiunque venga nominato in qualunque circostanza. So che Howard Dean si sta impegnando per risolvere la situazione.

D. Voterebbe contro un candidato che ha il maggior numero di delegati elettivi e ha vinto nel voto popolare?

Mitchell. Ha vinto il voto popolare dove? Nel mio distretto elettorale? Nel mio stato?

D. Intendo in tutto il paese.

Mitchell. Questo è un criterio. Ma ce ne sono altri: la persona che ha vinto nel tuo stato. Infatti molte delle lettere che ricevo e che mi chiedono di votare per l'uno o per l'altra si absano sul fatto di sostenere chi ha vinto nel mio stato. In definitiva bisogna decidere in coscienza chi si pensa possa essere il miglior presidente.

D. Quali sono i suoi principi guida da superdelegato?

Mitchell. Ci sono diversi principi: quale candidato ha vinto nel mio stato? Quale candidato ha vinto nel mio distretto elettorale? Quale candidato ha ottenuto più voti in assoluto? Quale candidato sarebbe il miglior presidente? Quale candidato rappresenterebbe meglio il partito? Bisogna tenere conto di tutte queste cose e decidere.

D. Si sente appartenente al Maine o a New York?

Mitchell. E' una domanda interessante. Quando il senatore Obama ha vinto nel Maine ho ricevuto molte lettere che mi dicevano che a quel punto ero obbligato a votare per lui. Poi il DNC mi ha informato che poichè vivo a New York, sono un superdelegato dello stato di NY. Quindi adesso ricevo molte lettere che, basandosi sull'assunto precedente, dicono che sono obbligato a votare per la Clinton. Ma, come ho detto, bisogna anche vedere cosa è successo nel tuo stato o nel tuo distretto.

D. Ma lei è un superdelegato di new York.

Mitchell. Così mi hanno detto, anche se ho ricevuto una telefonata dal Partito Democratico del Maine in cui mi dicono di volermi come superdelegato del Maine. Ma non so se è possibile visto che vivo a New York e i miei figli vanno a scuola qui.

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martedì 18 marzo 2008

I candidati cercano l'appoggio del nuovo Governatore di New York

L'immagine “http://graphics8.nytimes.com/images/2008/03/10/timestopics/topics_paterson_395.jpg” non può essere visualizzata poiché contiene degli errori.
David Paterson non ha avuto il tempo di giurare come nuovo Governatore dello stato di New York che già si è trovato a dover subire il pressing dei candidati democratici e dei loro supporter.
Paterson, fino alla scorsa settimana vice-governatore, è subentrato ad Eliot Spitzer dopo che questi è stato travolto da uno scandalo riguardante un giro di squillo d'alto bordo, ed è il primo afro-americano e il primo non vedente ad occupare una tale posizione.
Al pari di Spitzer, Paterson è stato uno dei primi leader del partito a garantire appoggio a Hillary Clinton: la prima dichiarazione in tal senso risale addirittura al 2003. Da allora Paterson ha anche partecipato alla campagna elettorale della senatrice, e lo scorso anno si è recato in alcuni stati del sud per cercare di portare la popolazione nera dalla parte della Clinton.
Paterson ha confessato che sia la Clinton che Obama lo hanno contattato offrendogli aiuto e sostegno per il passaggio di consegne ma nessuno dei due avrebbe menzionato la questione dell'endorsement del neo-governatore, che è superdelegato di New York.
A questo starebbero pensando altri sostenitori dei candidati: un amico comune di Paterson e Obama starebbe facendo pressioni il governatore per cambiare il suo voto alla convention: un sostegno ad Obama da parte del governatore dello stato di elezione della Clinton sarebbe un colpo importantissimo dal punto di vista simbolico. Paterson, al pari degli altri esponenti politici afroamericani, sta inoltre subendo numerose pressioni da parte della sua comunità di riferimento e in generale degli afroamericani di tutto il paese, che ormai fanno fronte comune a favore del senatore dell'Illinois.

Paterson tuttavia non sembra essere disposto a cambiare idea, sebbene abbia speso parole di stima per Obama "Il senatore Obama mi ha molto impressionato, purtroppo nel 2003, quando ho espresso per la prima volta il mio appoggio a Hillary Clinton, non avevo neanche mai sentito parlare di Obama. In ogni caso mi ritengo vincolato alla senatrice Clinton, quando appoggio un candidato lo faccio sino alla fine" ha detto ad una trasmissione radiofonica della WGDJ, in onda dal Campidoglio.

A caccia del voto dei maschi bianchi

di Dan Balz (Washington Post)


Nel pieno di una campagna elettorale tra Hillary Clinton e Barack Obama dominata da questioni di razza e genere, i maschi bianchi spiccano come forse l'unico elemento elettorale ancora in bilico.
La competizione per conquistare il supporto degli uomini bianchi, specialmente quelli appartenenti alla classe operaia, sarà decisiva nelle primarie del 22 aprile in Pennsylvania. Obama ha vinto la maggioranza tra questi elettori nelle importanti vittorie in Wisconsin e Virginia, ma ha perso malamente in Ohio e Texas lasciando ancora in sospeso il risultato della nomination Democratica.
Specialmente i risultati in Ohio hanno fatto sorgere domande riguardo la capacità di Obama di attrarre questo cruciale target, e ha anche suscitato dubbi sul fatto che il pregiudizio razziale potrebbe rappresentare un ostacolo per la sua candidatura in alcuni stati in vista delle presidenziali di novembre.

Esaminando gli exit poll di Wisconsin e Ohio, due stati con moltissimi punti in comune, emerge che per i maschi bianchi appartenenti alle classi operaie dell'Ohio il fattore razziale ha rappresentato un fattore decisivo per il voto molto più di quanto non sia accaduto in Wisconsin. La razza non ha determinato il risultato dell'Ohio, ma ha comunque contribuito a rafforzare il margine di vittoria della Clinton.
Daniel Axelrod, consigliere di Obama, ha minimizzato questi dati sostenendo che la differenza tra i due stati sia dovuta a fattori generazionali, in pratica per gli anziani sarebbe più difficile accettare un candidato di colore.
Obama finora ha vinto con ampie maggioranze negli stati del sud con ampia popolazione afro-americana, e in questi stati bianchi e neri si sono spaccati tra i due candidati. Tuttavia nei piccoli stati fuori al sud - Iowa, Kansas e Utah - dove i neri sono una piccola minoranza, Obama ha vinto senza problemi anche tra i bianchi.
La spiegazione di Axelrod non convince, perchè è vero che in Ohio la popolazione ha un'età media più alta, ma in Wisconsin Obama ha vinto tra i bianchi di tutte le fasce di età. La differenza tra i due stati deriva dall'influenza della razza: in Wisconsin solo l'11% degli elettori ha detto che la razza era un fattore importante da tenere in considerazione, mente in Ohio è stato il 27%. Questo non spiega tutto, ma almeno in parte il problema di Obama.
Nei 27 stati in cui sono stati condotti exit poll, la Clinton ha vinto tra i maschi bianchi 11 volte, Obama 10, e 5 volte i due hanno sostanzialmente pareggiato. In un caso ha vinto Edwards.
Obama ha generalmente vinto tra i maschi bianchi con livello di istruzione elevato, la Clinton con quelli meno istruiti.

Andrew Stern (uno dei capi dei sindacati che hanno appoggiato Obama) e altri analisti sostengono che la sfida di Obama non riguardi solo il fattore razziale ma un contesto più ampio. La questione è se un candidato come Obama possa rapportarsi empaticamente con la classe operaia, o semplicemente farsi accettare.
La Clinton ci è riuscita in Ohio. Obama sta lottando per fare altrettanto
"Sta incrementando il suo impegno sui temi del cambiamento, in modo che la gente veda che il suo primo pensiero è di ricostruire le basi industriali e l'economia domestica" ha detto uno stratega Democratico che ha chiesto l'anonimato.
Secondo Stern, Obama deve parlare di più della sua esperienza come organizzatore di una comunità a Chicago, quando lavorò con operai cassaintegrati dalle acciaierie e le loro famiglie.
"Deve presentarsi non solo nel senso più ampio di agente del cambiamento, ma come uno che ha vissuto con un genitore single, che ha chiesto prestiti per andare al college e che ha vissuto a Chicago con operai che avevano perso il lavoro" ha detto Stern "Ha credenziali incredibili, si è messo tante vole nei panni degli operai. Ma è fondamentale che si sappia accreditare".
E infatti Axelrod ha spiegato che i temi della campagna elettorale passeranno dai grandi argomenti a quelli riguardanti la vita delle persone.
James P. Hoffa, presidente del sindacato Teamsters, ha detto che Obama dovrebbe ottenere risultati migliori con gli operai della Pennsylvania, anche perchè, rispetto all'Ohio, ha più tempo per fare campagna elettorale.

L'altro problema è se Obama potrà conquistare i voti dei bianchi della classe operaia nelle elezioni presidenziali. Gli strateghi Repubblicani sono abbastanza convinti che non ce la farà, ma Stern sottolinea che c'è differenza tra correre contro la Clinton e contro McCain.
"Nelle primarie affronti un candidato che ha delle esperienze nella cura e nella difesa delle classi operaie. Ma John McCain ha un curriculum molto diverso."

lunedì 17 marzo 2008

Soluzione vicina per Michigan e Florida?

Sembra che la pausa forzata di 40 giorni prima della prossima tornata elettorale stia favorendo un riavvicinamento tra gli staff di Hillary Clinton e Barack Obama, almeno per quanto riguarda la situazione di Michigan e Florida.
Obama ha preso atto che due stati così importanti devono poter essere rappresentati alla convention di Denver, mentre la Clinton ha preso atto che non è possibile convalidare i risultati del voto di gennaio. Dal canto suo, il partito si è mostrato aperto a nuove soluzioni, pur senza tirare fuori un dollaro per eventuale nuovo voto.
Ogni giorno che passa, l'ipotesi di una ripetizione del voto si fa più improbabile, sia per motivi economici (anche se alcuni sostenitori della Clinton si sono offerti di raccogliere fondi) sia per motivi di tempo (le primarie dovrebbero tenersi obbligatoriamente entro i primi di giugno). D'altronde le ipotesi di caucus per il Michigan e di voto postale per la Florida non hanno mai davvero preso piede, sia per motivi organizzativi sia per dubbi riguardo l'attendibilità dei risultati (questo dubbio riguarda soprattutto il voto via posta). Tuttavia, tra i due stati, il Michigan è quello in cui una ripetizione del voto è più probabile.

Ecco dunque le ipotesi sul tavolo:
I rappresentanti Democratici del Michigan hanno chiesto alle autorità dello stato di autorizzare nuove primarie, valide e con tutti i crismi, finanziate privatamente e da tenersi i primi di giugno. Pare che, se dovessero trovarsi i fondi, le autorità daranno il loro assenso, a patto però che Obama dia il suo incondizionato appoggio. "Valuteremo nei dettagli tutte le proposte e accetteremo ogni soluzione equa" ha fatto sapere il portavoce del senatore.
Il Michigan conterebbe 128 delegati elettivi e 28 superdelegati, nelle primarie di gennaio la Clinton era l'unica candidata principale presente sulla scheda, e ha preso il 55% dei voti. Il 40% ha votato "Uncommitted". Secondo quei risultati, alla Clinton sarebbero andati 73 delegati.

Anche in Florida la situazione si potrebbe sbloccare, grazie anche all'impegno di alcuni sostenitori di Obama tra i dirigenti del partito nello stato. Allan Katz, superdelegato e sostenitore di Obama, ha detto che il senatore potrebbe accettare qualche piccolo sacrificio pur di risolvere la querelle.
Oggi scadrà il termine per decidere se iniziare ad organizzare il voto via posta, e sembra proprio che questa ipotesi salterà.
La soluzione potrebbe arrivare sulla base di una proposta del senatore Bill Nelson, sostenitore della Clinton, che ha proposto un tentativo di accordo:
I 185 delegati elettivi dello stato verrebbero assegnati sulla base del risultato di gennaio (105 alla Clinton, 67 a Obama e 13 a Edwards), ma il valore di ognuno sarebbe dimezzato. In questo modo la Clinton otterrebbe un vantaggio di soli 18 o 19 delegati, non abbastanza per superare Obama. Inoltre i due candidati potrebbero puntare a spartirsi i 13 (e quindi 6,5) delegati di John Edwards.
Il piano prevede due varianti: il 15% dei 185 delegati verrebbe assegnato sulla base del risultato di gennaio (49,80% alla Clinton, 33% a Obama, 14% a Edwards), mentre i restanti verrebbero divisi a metà tra i due candidati ancora in gara. Oppure i 185 delegati ptorebbero essere divisi a metà tra i due candidati e i 25 superdelegati sarebbero invece liberi di supportare chi vogliono, e secondo le stime questo darebbe alla Clinton 4 o 5 voti di vantaggio.
Obama avrebbe già dato un sostegno ufficioso e di massima a questo piano, mentre si attende la risposta della Clinton, che non sarebbe contenta di perdere il consistente vantaggio di delegati conquistato in Florida e starebbe ancora tentando in tutti i modi di far convalidare i risultati di gennaio.
Sullo sfondo c'è lo spettro di un ricorso dello stato, che potrà essere esaminato solo in estate appena prima della convention, e che si baserebbe su presupposti legali abbastanza solidi, ovvero sul fatto che il DNC non potrebbe impedire ai superdelegati della Florida la partecipazione alla convention di Denver.
Aggiornamento: la presidenza del DNC della Florida ha pubblicato un comunicato in cui si annuncia ufficialmente che non ci saranno nuove primarie nello stato, perchè tutte le soluzioni prospettate per una ripetizione del voto sono state rifiutate. Resta comunque ancora in piedi la possibilità di un accordo sulla base del voto di gennaio.

Assegnati i delegati dell'Iowa

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L'Iowa, primo stato a votare in queste primarie, è anche il primoa tenere la convention e quindi a sbrigare la pratica dell'assegnazione dei delegati.
Negli stati in cui si sono tenuti i caucus, come è il caso dell'Iowa, l'assegnazione finale può presentare delle differenze rispetto a quella stimata in un primo momento, per via dell'assegnazione proporzionale a partire dai delegati statali per arrivare poi al computo di quelli nazionali, tenendo anche conto dei candidati che nel frattempo si sono ritirati: in Iowa infatti, Obama ha ottenuto più della metà dei delegati che inizialmente erano assegnati a Edwards.
Mentre i risultati dei caucus davano Obama con 16 delegati, la Clinton con 15 e Edwards con 14, l'assegnazione finale è

Barack Obama: 25 delegati
Hillary Clinton: 14 delegati
John Edwards: 6 delegati

Dei 12 superdelegati, finora 4 hanno fatto endorsement per Obama e 3 per la Clinton

Cosa deve fare adesso Obama

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di John Nichols (The Nation)


Se Barack Obama avesse vinto in Ohio e Texas, si sarebbe assicurato la nomination al pari di John McCain. Ma le primarie presidenziali del 2008 hanno preso una svolta imprevista, portando Hillary Clinton ad una grande vittoria in Ohio e ad una maggioranza di voti in Texas, e ricordando a Obama la realtà di base di questo formidabile anno elettorale: l'America sta prendendo queste elezioni molto seriamente.
E, anche se i media non riescono a capirlo, le politiche commerciali sono la punta di diamante dei programmi economici del 2008, un anno in cui l'economia è salita in cima alle preoccupazioni degli americani.

In Wisconsin, Obama ha dominato la discussione sui temi politici esprimendosi in maniera estremamente critica nei confronti del trattato Nafta. La Clinton non è riuscita a stargli dietro, e anche se ci ha provato ha dovuto affrontare una dura realtà, e cuioè che per una enorme maggioranza di elettori il suo nome viene associato al Nafta: Risultato, un trionfo per Obama.

In Ohio la Clinton si è fatta furba. Non ha mai discusso di politiche commerciali con Obama. Piuttosto, ha espresso dubbi sulla sincerità del supporto dato dal senatore dell'Illinois ai lavoratori. Quando sono spuntate domande sul fatto che i collaboratori di Obama avessero confidato sottobanco al Canada di non prendere sul serio le critiche al Nafta, il candidato e i suoi assistenti hanno sbagliato tutto.
Hanno negato cose che non dovevano essere negate. Sono inciampati. Hanno fatto la figura degli ipocriti o peggio. E hanno perso, male.
Adesso però è il momento di fare tesoro di queste settimane di pausa e andare avanti.
Obama deve licenziare quel consigliere, Austan Goolsbee, che ha parlato con i canadesi. In realtà il senatore deve disfarsi di molti dei suoi consiglieri economici, visto che non sono d'accordo con le sue posizioni su Nafta, commerci con la Cina e altri argomenti simili. La verità è che il team economico di Obama ha un approccio più clintoniano di quello della Clinton. E' ora di coinvolgere i sindacalisti che sostengono Obama, soprattuttto quelli di Unite-Here e Teamsters.
Poi, Obama deve andare a Pittsburgh in Pennsylvania e tenere un discorso molto dettagliato in cui spieghi per filo e per segno che lui è l'unico candidato rimasto che si oppone all'attuale sistema commerciale statunitense, e che se verrà eletto si impegna a cambiarlo nel più breve tempo possibile. Questo discorso dovrebbe tenersi nel centro cittadino, al quartier generale del sindacato dei lavoratori delle acciaierie.

Questi sono i passi pratici da fare, ma ce n'è anche uno mentale.
Obama e i suoi devono capire che la Clinton non ha vinto in Ohio perchè gli elettori si sono fidati del suo programma. La Clinton ha vinto in Ohio perchè ha convinto gli elettori a diffidare del programma di Obama. Obama può vincere la nomination con relativa facilità, ma non ce la farà se non si libererà dei consiglieri che lo hanno fatto sbagliare - e che potrebbero continuare a farlo sbagliare in vista del 22 aprile - e se non renderà chiaro ancora una volta che è davvero il candidato del cambiamento.

domenica 16 marzo 2008

Il consigliere di Obama mette in dubbio l'esperienza della Clinton

Greg Craig, famoso avvocato di Washington, già collaboratore di Ted Kennedy, consigliere del segretario di Stato Madeleine Albright dal 1997, assistente speciale del Presidente Clinton dal 1998 e difensore di quest'ultimo durante la causa di impeachment è oggi consigliere per la politica estera di Barack Obama.
Ha pubblicato una nota intitolata "Le dichiarazioni della senatrice Clinton sulla sua esperienza in politica estera: solo parole?"
Eccone gli estratti più significativi:


"Quando la tua campagna elettorale si basa sulla esperienza, è importante che tu abbia delle prove a sostegno. L'argomentazione della Clinton sul fatto di aver 'superato il test da comandante in capo', semplicemente non è supportato dai fatti.
Non c'è dubbio che Hillary Clinton abbia giocato un ruolo importante in politica interna da First Lady. Non c'è però nessun motivo per credere che sia stata altrettanto importante in politica estera. Non ha partecipato alle riunioni del Consiglio di Sicurezza. Non ha ricoperto ruoli, non conosce la burocrazia delle agenzie per la sicurezza e non ha uno staff per la sicurezza nazionale. Non ha mai affrontato crisi e non ha partecipato a negoziati rilevanti. E sicuramente la senatrice Clinton non si è mai trovata a dover prendere decisioni su argomenti di sicurezza nazionale - nè alle 3 del mattino nè in qualsiasi altra ora del giorno.


La Senatrice Clinton ha citato alcuni scenari internazionali in cui dice di aver giocato un ruolochiave. Ma un'analisi obiettiva di queste dichiarazioni evidenzia che queste parole sono quantomeno esagerate.


- Irlanda del Nord
La Clinton ha detto "Ho aiutato a portare la pace in Irlanda del Nord", E' una madornale esagerazione. E' stata in Irlanda del Nord, è vero. Le First Lady vanno sempre nei luoghi cruciali per la politica estera degli USA. Ma in nessun caso ha partecipato ai negoziati cruciali per la pace. Riguardo al fatto che avrebbe spinto le donne irlandesi a fare fronte comune, lei partecipò ad un incontro con le donne del luogo, ma come ha detto l'ex Senatore George Mitchell "fu una delle tante persone che incoraggiarono il coinvolgimento delle donne, non certo l'unica".
La Clinton ha anche detto di aver partecipato ad un importante meeting a Belfast: in realtà lei è stata a Belfast solo per accendere le luci dell'albero di Natale, e partecipò ad un incontro di 50 minuti.


- Bosnia
La Senatrice Clinton ha parlato di un viaggio in Bosnia nel marzo 1996 come prova del suo coinvolgimento in zone rischiose. Ha detto di aver evitato i cecchini. Il New York Times del 26 marzo 1996 riporta che "Hillary Rodham Clinton ha affascinato le truppe americane durante uno show ad esse dedicato, con la partecipazione della cantante Sheryl Crow e del comico Sinbad"


- Kossovo
La Senatrice Clinton ha detto "Ho negoziato l'apertura delle frontiere per mettere in salvo i rifugiati". E' vero che, da First Lady, è stata in Macedonia e ha visitato un campo profughi, ed ha anche incontrato i rappresentanti del governo locale, come fanno spesso le First Lady. Ma non è vero che ha partecipato a negoziati. Il suo viaggio in Macedonia ebbe luogo il 14 maggio 1999, le frontiere vennero aperte il 13 maggio, il giorno prima.
I negoziati vennero condotti dalle persone che solitamente si occupano di queste cose - i diplomatici. L'inviato dell'amministrazione Clinton nei Balcani, l'Ambasciatore Robert Gelbard, ha detto "Non ricordo nessun coinvolgimento di Hillary Clinton".


- Rwanda
L'anno scorso l'ex Presidente Clinton ha raccontato che sua moglie lo spinse ad inviare truppe per fermare il genocidio in Rwanda. La Senatrice Clinton ha confermato. Tuttavia non ci sono prove che questo sia avvenuto, nessuno ricorda un intervento della Clinton in merito, e basandosi sulle delibere della Sicurezza Nazionale, non ci sono prove che l'intervento americano sia mai stato discusso. Prima di questa campagna elettorale, non è mai stato citato questo episodio, che non è presente nè nell'autobiografia della Senatrice nè in quella del marito.
Hillary Clinton visitò il Rwanda nel 1998, e in quell'occasione suo marito si scusò per il fallimento dell'America nel prevenire il genocidio.


- Cina
La Senatrice Clinton fa spesso riferimento a un discorso tenuto a Pechino nel 1995 come prova della sua abilità nel rispondere alle situazioni di crisi. E' strano che basi la propria esperienza su un discorso di oltre 10 anni fa, proprio lei che sminuisce gli interventi di Barack Obama contro la guerra in iraq risalenti ad appena 6 anni fa.
Non ci sono dubbi, quello di Pechino fu un grande discorso e lei sostenne i diritti delle donne. Ma l'opposizione del Senatore Obama alla guerra in Iraq nel 2002 è rilevante per dire che lui, da comandante in capo, sarà in grado di prendere decisioni sagge sull'uso della forza. Lo stesso non si può dire del discorso della Clinton a Pechino.
Il discorso di Obama del 2002 mostra indipendenza e coraggio, oltre che capacità di giudizio. In quel discorso disse cose profetiche e se i suoi consigli fossero stati seguiti, avremmo evitato una delle politiche estere più disastrose della nostra storia.


Conclusioni
Le argomentazioni della Clinton sono solo mere asserzioni drammatizzate da uno spot ansiogeno con un telefono che suona nel cuore della notte.
Sul più critico argomento di politica estera di questa generazione - la guerra in Iraq - la Senatrice Clinton votò in favore della risoluzione intitolata "Risoluzione comune per autorizzare l'uso della forza militare US contro l'Iraq". In quell'occasione dichiarò "E' probabilmente la decisione più difficile che abbia mai preso, ma appoggio con decisione questa risoluzione".
L'Amministrazione Bush continua a citare l'appoggio ottenuto da quella risoluzione come autorizzazione per andare avanti indefinitamente.
Le cose sono semplici: sul più importante test da comandante in capo di questa generazione, Barack Obama ha fatto la cosa giusta, Hillary Clinton quella sbagliata. In verità, Barack Obama ha molta più esperienza in politica estera di quanta ne avessero Ronald Reagan e Bill Clinton al momento della loro elezione.
E Barack Obama non usa false accuse e dichiarazioni esagerate per giocare con la sicurezza nazionale"

Greg Craig

Il reverendo Wright mette nei guai Obama

Il Reverendo Jeremiah Wright, colui che ha iniziato Obama al culto cristiano unitarista, che ha unito in matrimonio Barack e Michelle, che ha ispirato il titolo del libro "The audacity of hope", ha ufficialmente lasciato la campagna elettorale del senatore dell'Illinois.
Wright, personaggio discusso e controverso, ha rappresentato sin da subito un peso per la credibilità di Obama a causa delle sue posizioni estremiste e vicine alla "teologia della liberazione nera", un movimento di pensiero che usa la religione per sostenere le istanze di separatismo degli afro-americani.
I sermoni provocatori di Wright negli ultimi mesi sono stati al centro delle polemiche proprio per la vicinanza con Obama: il reverendo, nell'ordine, ha accusato l'America di aver creato il virus dell'AIDS, di istruire killer professionisti e di aver creato una società razzista. Wright ha anche sostenuto che la guerra contro l'Iraq porterà l'ira di Dio a scatenarsi contro l'America. Ira dovuta anche al trattamento riservato, a suo dire, ai giovani neri.
"Il governo dà loro la droga, costruisce carceri più grandi, allunga il periodo di detenzione e poi pretende che cantiamo "God Bless America". No, no, no, Dio piuttosto maledica l'America perché uccide gente innocente. Dio maledica l'America perché tratta i suoi cittadini da meno di esseri umani. Dio maledica l'America finché opera come se fosse Dio e come se fosse un essere supremo".

Ma soprattutto Wright è un oppositore del sionismo, accusato di essere "razzismo bianco" e di aver causato gli attacchi dell'11 settembre. Wright è anche amico di Louis Farrakhan, il discusso capo di "Nation of Islam", e con lui nel 1984 ha fatto visita a Gheddafi.
La vicinanza con un tale personaggio ha costretto Obama a continue prese di distanza ma soprattutto gli ha alienato il sostegno delle potenti lobby ebraiche.
Il 14 marzo Obama è stato costretto a scrivere un articolo per il blog Huffington Post in cui ribadisce il suo disaccordo con le frasi controverse di Wright, sottolineando però di non essere mai stato presente a nessuno di questi discorsi.
A seguito di questo Wright ha lasciato la campagna elettorale di Obama e il ruolo all'interno del comitato religioso afro-americano.