sabato 21 giugno 2008

Chi è Jim Webb

di Joe Klein (TIME)

Probabilmente starete pensando che questo articolo sia in appoggio all'idea, sempre più popolare, che il Senatore della Virginia Jim Webb debba essere il vice di Obama. E invece no. Questo tipo di speculazioni sono di solito una perdita di tempo.
C'è una cosa più importante che riguarda Webb.
Ha scritto un libro, Tempo di combattere, che può essere il migliore esempio dello stile e della filosofia del Partito Democratico nel 21° secolo. Webb infatti dà un addio non proprio nostalgico a quei Democratici del 20° secolo più interessati ai gruppi di interesse che all'economia del ceto medio, e soprattutto all'esercito.

Webb è un provocatore nato e una sorta di veggente. 30 anni fa predisse che la classe operaia bianca sarebbe passata ai Repubblicani, e nel 2006 fu il primo importante Repubblicano - è stato Segretario alla Marina sotto Reagan - a passare ai Democratici e a candidarsi al Senato, vincendo. E' anche un prolifico scrittore. Il suo penultimo libro, sulle sue ascendenze scozzesi e irlandesi, si intitolava Nato combattendo, e penso che se ci sarà un seguito a Tempo di combattere, si chiamerà Il combattimento continua, seguito da un libro di memorie In pensione ma ancora combattivo.
In mezzo a questa bellicosità, ha trovato anche il tempo di fare il politico. Dalla sua elezione in Senato, Webb ha fatto due cose che non credevo possibili. Nel 2007 ha tenuto un discorso in risposta a quello sullo Stato dell'Unione, che non solo è stato molto interessante, ma anche di gran lunga migliore di quello di Bush. E adesso ha scritto un libro veramente bello, un atto di coraggio senza precedenti per un politico in carica.

Nel libro Webb accusa la politica estera neo-conservatrice di Bush, e non c'è da meravigliarsi visto che già nel 2002 si oppose alla guerra in Iraq. Ma il meglio viene quando passa agli argomenti che gli stanno più a cuore, come i militari "La questione più importante" scrive a proposito del rapporto tra Democratici ed esercito "è questa: quando guardi un veterano, cosa vedi? Vedi un individuo forte che ha superato le sfide più difficili che un essere umano può affrontare, o vedi una vittima?" Ma se i Democratici tendono a provare pietà, i Repubblicani "continuamente provano a politicizzare il servizio militare per i propri fini, strumentalizzando i sacrifici dei soldati come scudo contro le critiche alle loro politiche fallimentari. E in questo senso, adesso sono i Repubblicani a non capire il vero senso del servizio militare".
Anche se i militari continuano a diffidare dei Democratici, l'incompetenza dell'amministrazione Bush nel gestire le truppe in Iraq ha causato un persistente senso di disgusto tra i ranghi, ed è per questo, scrive Webb, che la maggior parte dei veterani nel 2006 si è candidata con i Democratici.
Nel 2008 ci sono grandi possibilità di conquistare la fiducia e il sostegno dei militari e delle loro famiglie, ma solo se i Democratici si sforzeranno di celebrare il compito delle forze armate. Webb ha proposto recentemente una riforma del servizio di reclutamento che molti Repubblicani - incluso McCain - hanno osteggiato ritenendola troppo generosa. Obama dovrebbe cogliere la palla al balzo lanciando una campagna per incoraggiare i giovani, soprattutto quelli che escono dal college, ad entrare nell'esercito.

Webb è l'icona del neo populismo Democratico, e questo può essere un pericolo. Il populismo spesso deraglia nella demagogia, nell'isolazionismo, nel protezionismo. Ma abbiamo visto un inedito accumulo di ricchezza nel nostro paese, e Webb è convincente quando accusa l'avidità di aver rovinato la nostra società "Non è lotta di classe dire che ci sono iniquità economiche. E' vero il contrario: è lotta di classe dall'alto pensare che queste iniquità non siano importanti".
Il mondo di Webb è eclettico - attacca i Repubblicani da destra per conquistare il sostegno dei militari, passa a sinistra per riequilibrare il sistema economico, torna al centro sostituendo la politica estera ideologica con il pragmatismo. Sono intuizioni importanti - e forse anche troppo acute - per essere vicepresidente.

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venerdì 20 giugno 2008

Obama rinuncia al finanziamento pubblico

Nei mesi scorsi Barack Obama aveva detto di voler basare la sua campagna presidenziale sui fondi pubblici (sistema che lui appoggia), a patto che McCain facesse lo stesso e che si trovasse un accordo sul modo in cui utilizzare questi finanziamenti.
Dopo vari tentativi di conciliazione tra le due parti, ieri Obama ha rotto le trattative annunciando che, seppure a malincuore, rinuncerà ai fondi pubblici basandosi unicamente sui finanziamenti privati. E' la prima volta dai tempi del Watergate che succede, come prontamente lo staff di McCain ha fatto notare.

I fondi pubblici a disposizione per i candidati ammontano a 84 milioni di dollari, ma accettandoli bisogna rinunciare alle raccolte fondi private, che sono la maggiore fonte di introito per Obama.
McCain invece può contare sui soldi delle lobby e di particolari gruppi di interesse, che possono fare donazioni senza limiti
"Non è una decisione facile, in particolare perché io appoggio un robusto sistema di finanziamento pubblico alle elezioni", ha detto Obama "Ma il sistema di finanziamento pubblico per le elezioni presidenziali oggi si è deteriorato e affrontiamo dei rivali che sono diventati degli esperti nel giocare sulle disfunzioni del sistema. Invece di costringerci a dipendere dai milioni (di dollari) dei lobbysti di Washington e da particolari interessi, avete alimentato questa campagna con donazioni di 5, 10, 20 dollari, con qualsiasi cifra vi siate potuti permettere", ha continuato Obama. "E proprio per aver fatto questo, abbiamo costruito un movimento di base formato da oltre 1 milione e mezzo di americani".

La campagna di McCain ha replicato affermando che la decisione di Obama indebolisce il sistema di finanziamento pubblico, ricordando che nei mesi scorsi il democratico aveva invece detto che avrebbe accettato i fondi pubblici se lo facevano i repubblicani. "Obama ha violato la parola data" ha dichiarato Charlie Black, uno dei consiglieri di McCain.
"'Oggi, Barack Obama ha rivelato di non essere altro che il classico politico che dice e fa solo i suoi interessi'. 'Il vero test per un candidato presidente - ha detto Jill Hazelbaker, direttore della Comunicazione per McCain - è rispettare i suoi valori e mantenere la parola data agli americani".

Sondaggi: Obama in testa in Florida, Ohio e Pennsylvania

L'ultimo sondaggio della Quinnipiac University su tre "stati in bilico" che potrebbero risultare decisivi nelle elezioni di novembre, come lo sono stati anche nelle presidenziali degli ultimi decenni, vede Obama nettamente avvantaggiato sul suo rivale John McCain. E' la prima volta che Obama è in testa contemporaneamente in Florida, Ohio e Pennsylvania. In tutti e tre gli stati Obama è in testa tra le donne con un distacco dai 10 ai 23 punti, mentre tra gli uomini c'è quasi parità tra i due. Obama è in svantaggio tra i bianchi in Florida e Ohio, ma ottiene il 90% tra i neri e ha un vantaggio superiore al 105 tra i giovani.

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La Florida (27 Grandi Elettori) è lo stato in cui il divario sembra meno accentuato, 47% a 43% con un margine di errore di 2,5 punti. Tra le donne Obama guida per 50% a 40%, mentre tra gli uomini è in testa McCain per 47 a 44. Il 50% dei bianchi preferisce McCain contro il 40% per Obama, mentre tra i neri il distacco è 95 a 4 per Obama. Il 13% di coloro che nel 2004 ha votato per Bush adesso è intenzionato a votare Obama. L'indice di gradimento di Obama è di 48% (pareri positivi) contro 33% (pareri negativi), McCain è invece a 47% contro 35%.
Il 57% dei Democratici della Florida vorrebbero la Clinton vicepresidente, mentre sono di parere opposto i Repubblicani (59%) e gli indipendenti (46% contro 37% che la vorrebbe).

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In Ohio (20 Grandi elettori) Obama è in vantaggio per 48% a 42%. Tra le donne il vantaggio di Obama è di 51% a 39%, mentre gli uomini sono divisi equanimamente, 45% per Obama e 46% per McCain. Il 47% dei bianchi preferisce McCain, il 44% Obama, mentre tra i neri il vantaggio per il Democratico è di 90 a 6.
Anche qui, il 13% di chi ha votato Bush ora sostiene Obama, mentre è piuttosto elevata (25%) la percentuale di sostenitori della Clinton che sarebbero propensi a votare McCain.
L'indice di gradimento di Obama è di 52% contro 29%, quello di McCain 46% contro 33%. Il 58% dei Democratici vorrebbe la Clinton nel ticket presidenziale, al contrario del 60% dei Repubblicani e del 47% degli indipendenti.

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In Pennsylvania (21 Grandi elettori) Obama ha un netto vantaggio di 52% a 40%. Tra le donne, il 57% sostiene Obama, mentre il 47% degli uomini sostiene McCain contro il 45% per Obama.
Obama conduce per 61 a 33 tra gli elettori dai 18 ai 34 anni, per 51% a 41% tra gli elettori dai 35 ai 54 anni e per 48% a 43% al di sopra dei 55 anni. Obama è in testa sia pure di poco - 47 a 44 - tra i bianchi, mentre tra i neri il vantaggio è di 95 a 1.
Il 19% degli elettori di Bush nel 2004 sostiene Obama, il 24% degli elettori della Clinton nelle primarie sostiene Obama.
Il 60% dei Democratici vorrebbe la Clinton nel ticket, ma è molto quotato come vicepresidente anche il Governatore Ed Rendell (25%). Il 63% dei Repubblicani e il 49% degli indipendenti è contrario all'ipotesi vicepresidenza per la Clinton.
Qui i risultati completi del sondaggio.

giovedì 19 giugno 2008

Toto-vicepresidenti: Tim Pawlenty (R)

Nato 47 anni fa a St. Paul, Tim Pawlenty è Governatore del Minnesota dal 2003 ed è anche uno nomi che più insistentemente vengono fatti per la carica di vice di John McCain.
In effetti il profilo di Pawlenty corrisponde quasi perfettamente a quello del partner ideale del candidato Repubblicano. E' giovane ma affidabile avendo una lunga esperienza politica a livello locale, è ben visto dai conservatori a causa delle sue posizioni su temi sociali ed etici (è stato definito il più Governatore più conservatore del Minnesota dagli anni '20), ma allo stesso tempo si è spesso distanziato dall'amministrazione Bush invitando il partito ad aprire una nuova era.
Cattolico praticante, Pawlenty ha rivoluzionato il sistema scolastico del suo Stato cambiando i requisiti di ammissione al college, secondo il principio della selezione alla fonte, e incoraggiando le scuole private.
Nel riformare il sistema sanitario del Minnesota, Pawlenty ha fortemente avversato l'aborto, anche se una sua stretta collaboratrice è stata costretta alle dimissioni dopo aver affermato che l'aborto può avere un ruolo nell'insorgenza del cancro al seno.
Pawlenty è uno dei pochi Repubblicani attivi nella tutela dell'ambiente, ed ha promosso una riforma energetica molto apprezzata da McCain. A proposito dell'immagine elitaria del suo partito, una volta ha detto "Il Gop deve essere il club dello zio Sam, non il country club.
Dopo la rielezione, nel 2006, a Pawlenty è stato spesso suggerito di presentarsi alle primarie presidenziali Repubblicane, ma lui ha detto di voler portare a termine il suo mandato. Di fronte ad una proposta di McCain potrebbe venire meno al suo impegno.

Pro: compensa quasi tutti i punti deboli di McCain; piace alla classe operaia e agli indipendenti; la vicepresidenza rappresenterebbe un trampolino di lancio per un futuro brillante.
Contro: è poco conosciuto a livello nazionale; non ha esperienza in politica estera e sicurezza nazionale; i conservatori del partito, pur apprezzandolo, potrebbero preferire altre soluzioni.

Imparare ad essere Michelle Obama

di Sally Jacobs (The Boston Globe)

Quando Catherine Donnelly salì le scale del dormitorio della Princeton University circa un quarto di secolo fa, la matricola della Louisiana si sentiva pronta a tutto. Ma poi incontrò Michelle.
Il suo nome completo era Michelle LaVaughn Robinson. Era così alta che la sua testa quasi toccava il soffitto della piccola stanza al quarto piano. Ed era nera.
Cresciuta nel South Dakota, Donnelly era andata a scuola con dei ragazzi neri, ma viverci insieme era un'altra cosa. Fece subito amicizia con Michelle e con il suo senso dell'umorismo, ma aveva paura che sua madre, che Donnelly sapeva essere cresciuta in una famiglia razzista, non avrebbe reagito bene. E aveva ragione.
Quando la madre di Catherine, che ora ha 71 anni, seppe la razza della compagna di stanza della figlia, andò fuori di sè. La mattina dopo, fece irruzione negli uffici amministrativi chiedendo che alla figlia venisse cambiata stanza, e minacciando di ritirarla dalla scuola.
Per la 17enne Michelle - oggi Michelle Obama, la prima donna afro-americana ad affrontare la reale possibilità di diventare first lady - questo avvenimento fu solo l'inizio di un capitolo formativo della sua vita. Era il momento in cui stava formando la sua visione sulla razza e la cultura americana - visione che l'ha resa una figura così importante in questa campagna elettorale, ma a volte anche scomoda. La settimana scorsa è stata diffusa la notizia, rivelatasi falsa, di dichiarazioni in cui Michelle insultava i bianchi.
Quando la Obama entrò a Princeton, nel 1981, il campus era nettamente, anche se non ufficialmente, diviso in base alla razza. Allora come oggi, Michelle si trovò a pensare a come superare le differenze razziali piuttosto che evidenziarle. E questa è una lezione di speranza, dal momento che la madre di Catherine Donnelly oggi considera seriamente l'ipotesi di votare per Obama.

Michelle Obama è spesso definita la metà più risoluta della famiglia Obama quando si tratta di questioni razziali, ma nei suoi anni a Princeton non era un'attivista. Cercava invece modi più diplomatici, caratteristici della sua natura pratica. Nel tentativo di aiutare gli studenti neri, questa ragazza con tanti capelli e un filo di perle partecipava alle riunioni sugli afro-americani e lavorava per facilitare la vita dei suoi compagni di colore.
A detta di tutti, gli anni a Princeton sono stati un crocevia fondamentale per la coscienza civile di Michelle, culminata con una tesi di laurea sull'identità razziale.
Nonostante il parere della madre, Catherine Donnelly rimase ancora per diverso tempo in stanza con Michelle, salvo poi trasferirsi quando si liberò una camera più grande. "Princeton era un luogo di segregazione, all'epoca" racconta la Donnelly, che oggi è avvocato "e quando Michelle iniziò a frequentare gli studenti neri, per noi fu più difficile continuare ad essere amiche. Avrei dovuto impegnarmi di più, ma per lo stesso motivo anche lei si allontanò da me".

Uno degli argomenti su cui gli studenti neri dibattevano in quegli anni riguardava il modo in cui poter fare carriera in un mondo dominato dai bianchi ma rimanere allo stesso tempo legati alla comunità nera. La stessa Michelle, andando a Princeton, varcò una soglia, ma era perplessa sul fatto di iscriversi alla scuola di legge.
A Princeton frequentava lezioni di piano, ma era anche una figura molto nota nei circoli neri, come il Third World Center.
In quegli anni a Princeton c'erano molte manifestazioni sulle questioni razziali, con frequente partecipazione del Reverendo Jesse Jackson, ma Michelle ne restava spesso fuori. Anche chi si sentiva d'accordo con le proteste, non voleva correre il rischio di essere arrestato.
Nell'ultimo anno a Princeton, Michelle condusse un'indagine sulle attitudini di un campione di studenti neri. Ciò che scoprì la sorprese. Durante gli anni universitari, i ragazzi si identificavano fortemente con la comunità nera, ma una volta finiti gli studi l'identificazione con i bianchi aumentava.
Questo risultato fu probabilmente importante per la sua decisione di frequentare la scuola di legge ad Harvard. "Michelle trovò il modo di risolvere il suo dilemma rimanendo se stessa" racconta Charles Ogletree, insegnante di Michelle oggi nello staff di Obama "Andò ad Harvard senza ambiguità sulla sua identità di razza e genere. Lei potrà affrontare l'America delle corporazioni ma non dimenticherà mai i valori della famiglia da cui proviene".

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mercoledì 18 giugno 2008

Toto-vicepresidenti: Tom Daschle (D)

Senatore del South Dakota dal 1987 al 2005, leader della maggioranza al Senato dal 2001 al 2003, 60 anni, Tom Daschle è stato uno dei primi esponenti di spicco dei Democratici ad appoggiare Obama, già a febbraio del 2007 appena Obama lanciò la candidatura per la nomination.
Cresciuto in una famiglia cattolica, ha servito per tre anni nell'intelligence del Comando Strategico delle Forze Armate Usa prima di intraprendere una lunga carriera politica.
Nonostante sia cattolico praticante, ha votato in alcuni casi per la libertà di scelta sull'aborto, cosa che gli è costato un duro conflitto con il vescovo Carlson, che lo invitò a non definirsi più cattolico. Daschle attaccò Carlson accusandolo di "identificarsi maggiormente con l'estrema destra che non con le gerarchie ecclesiastiche".
Daschle ha perso il seggio in Senato nel 2004 per pochissimi voti contro il Repubblicano John Tune.

In questa campagna elettorale Daschle, in quanto esponente di spicco del partito, ha fatto da ambasciatore per Obama presso i superdelegati, ed ha fatto un buon lavoro considerati i risultati. Fin dall'inizio delle primarie ha rappresentato una voce critica nei confronti degli attacchi di Hillary e Bill Clinton contro Obama, scagliandosi in particolar modo contro l'ex Presidente "Il comportamento di Bill Clinton non è presidenziale" disse dopo le frasi di Clinton su Obama in South Carolina "non si sta comportanto in linea con il ruolo di ex Presidente".

Pro: sarebbe un contraltare quasi perfetto di Obama, esperto ma non un "vecchio politicante di Washington", conosciuto e apprezzato da tutti i Democratici, popolare nelle zone rurali e conservatrici in cui Obama - maggiormente orientato sulle aree urbane - fatica a maturare consensi. La sua grinta gli permetterebbe di assolvere anche al ruolo di "cane d'assalto" solitamente affidato ai candidati vicepresidenti in campagna elettorale.
Contro: la sua esperienza nelle forze armate non si è tradotta in una grande esperienza in politica estera; sua moglie è una nota lobbysta e questo potrebbe diventare un'arma per i Repubblicani in campagna elettorale. L'influenza di Daschle negli ambienti di Washington potrebbe renderlo un vicepresidente più potente di quanto Obama vorrebbe.

Sondaggi: sentimenti contrastanti sul dream ticket

Molti Democratici amano Hillary Clinton, ma tantissimi indipendenti e Repubblicani non la sopportano, suggerendo possibili effetti collaterali per Barack Obama se decidesse di sceglierla come vice.
Un sondaggio della Associated Press-Yahoo News dimostra che il "dream ticket" potrebbe fare breccia fra le elettrici, ma impedirebbe ad Obama di vincere tra quegli indipendenti che possono risultare decisivi per la vittoria finale, e che il Senatore dell'Illinois sarebbe vicino a conquistare senza la Clinton.
Inoltre la presenza della Clinton nel ticket potrebbe portare molti conservatori a coalizzarsi contro i Democratici - e a raccogliere fondi per il GOP - pur non amando particolarmente McCain.
Dal sondaggio emerge che il 32% degli indipendenti non apprezza la Clinton, il 10% in più di quelli che non amano Obama. Gli indipendenti rappresentano un quarto degli elettori registrati nelle elezioni del 2004.
Il 67% dei Repubblicani ha un'opinione molto negativa della Clinton, il 24% in più di quelli che hanno la stessa opinione su Obama. Tra i conservatori il divario è simile: il 58% ha un'opinione molto negativa della Clinton, il 40% ce l'ha di Obama.

Un altro gruppo con sentimenti piuttosto negativi verso la Clinton è quello dei maschi bianchi al di sotto dei 30 anni e che hanno frequentato il college e di classe economica alta, ovvero i sostenitori più accaniti di Obama in queste primarie, assieme ai neri.
Tuttavia la Clinton è molto popolare dai bianchi più anziani, dai cattolici e dagli ispanici, tutti gruppi che guardano ancora con sospetto Obama.
Il gradimento dei due è invece molto simile nella classe operaia bianca, che pure nelle primarie ha votato in stragrande maggioranza per la Clinton.

Secondo il sondaggista Repubblicano Whit Ayres, la Clinton potrebbe danneggiare Obama, ma solo in quegli stati che i Democratici perderebbero comunque. Ma la storia dimostra che la scelta del vice presidente non porta sempre gli effetti sperati.
Nel 1984, quando Walter Mondale scelse Geraldine Ferraro come candidata vice, il 50% degli elettori interpellati in un sondaggio disse quella scelta li incoraggiava a votare per il Democratico. A ottobre, quando il marito della Ferraro fu coinvolto in una indagine del fisco, la maggioranza degli elettori disse che la sua candidatura li aveva allontanati da Mondale.
Quattro anni dopo, quando George H. Bush scelse come vice il giovane e semi-sconosciuto Dan Quayle puntando sulla sua immagine fresca, non pensava che di lì a un mese sarebbero scoppiate polemiche sulla carriera militare di Quayle.

martedì 17 giugno 2008

Al Gore scende in campo per Obama

Ormai mancava solo lui all'appello dei leader Democratici che si sono messi a disposizione di Obama. L'ex vicepresidente americano fa il suo debutto nella campagna presidenziale introducendo il candidato Democratico in un comizio a Detroit, offrendogli il suo pieno sostegno.
Ieri, poche ore prima del comizio, Al Gore aveva espresso l'endorsement a Obama con un post sul suo blog personale, in cui ha scritto tra l'altro
"Da adesso fino al giorno delle elezioni, intendo fare tutto il possibile affinchè Barack Obama diventi Presidente. Nei prossimi quattro anni dovremo affrontare molte sfide difficili - come riportare a casa le nostre truppe dall'Iraq, sistemare l'economia e risolvere la crisi ambientale. Barack Obama è chiaramente il candidato più abile a risolvere questi problemi e a portare il cambiamento".

Presentando Obama a Detroit davanti a 20.000 persone, Gore ha detto "Guardando agli ultimi otto anni, posso dirvi che abbiamo imparato una cosa importante dalle elezioni del 2000. Fatevelo dire da me, le elezioni sono importanti", ed è degno di nota, perchè dal 2000 Gore parla molto raramente di quelle elezioni, in cui ottenne la maggioranza dei voti ma non la Presidenza.
Gore ha elogiato McCain, ma ha detto che è tempo di cambiare, soprattutto in politica estera "Queste elezioni sono più le più importanti che abbiamo mai avuto. Dopo otto anni dei peggiori errori possibili in politica estera, abbiamo bisogno di cambiamento. Perchè l'America possa guidare il mondo attraverso i pericoli che dovremo affrontare, per cogliere le opportunità, abbiamo bisogno di una nuova leadership. Non solo un nuovo presidente, ma nuove politiche. Non solo un nuovo capo di stato, ma una nuova visione per il futuro dell'America".
Gore, parlando a proposito della giovane età di Obama, ha citato una risposta che John F. Kennedy diede a un avversario politico che lo accusava di non avere abbastanza esperienza "Escludere dalle posizioni di responsabilità e comando tutte le persone al di sotto dei 44 anni avrebbe impedito a Jefferson di firmare la Dichiarazione di Indipendenza, a Washington di comandare la Continental Army, a Madison di scrivere la Costituzione e a Cristoforo Colombo di scoprire l'America".

Obama ha così ringraziato Al Gore per il suo endorsement "Al mondo ci sono poche persone più ferrate di lui sui temi e sulle sfide che dovremo affrontare. Al Gore ha fatto più di chiunque altro per educare il mondo sul problema dei cambiamenti climatici e dell'energia".

Nel Gop sentimenti contrastanti sulle possibilità di McCain

Nel partito Repubblicano è il momento di un'analisi sulle reali possibilità di vittoria a novembre. L'anno è iniziato con le speranze ridotte al lumicino per il Gop, trascinato ai minimi storici nei sondaggi dal gradimento sempre più basso del Presidente Bush. La vittoria a sorpresa di Obama tra i Democratici e di John McCain tra i Repubblicani ha però modificato la situazione, perchè McCain ha saputo distanziare la propria immagine da quella del Presidente in carica, e perchè Obama viene ancora oggi considerato un candidato "vulnerabile" agli attacchi di cui il Gop è maestro. Questo ribaltamento della situazione ha causato un certo caos nel partito, diviso senza vie di mezzo tra chi vede vicina la disfatta - anche sull'onda dei risultati delle elezioni suppletive - e chi invece prevede una netta vittoria basandosi sul trend positivo dei sondaggi.

Secondo Politico, alcuni importanti strateghi Repubblicani McCain non solo riuscirà a sconfiggere Obama, ma addirittura potrebbe vincere con un margine superiore rispetto a quello raggiunto da George W. Bush nelle elezioni del 2004. Nonostante la raccolta fondi vada a rilento e i sondaggi lo vedano ancora dietro, facendo una proiezione sui possibili risultati stato per stato, questi strateghi sono arrivati a prevedere che McCain sconfiggerà Obama con un distacco di più di 50 Grandi elettori (nel 2004 Bush sconfisse Kerry per 35 Grandi elettori).
"Stiamo andando molto bene in diversi stati" ha spiegato a Politico uno stratega che ha chiesto di rimanere anonimo "Ci sono molti scenari positivi per McCain. Certamente non dobbiamo lasciarci trascinare dall'entusiasmo, da qui a novembre c'è un'eternità, ma McCain sembra nettamente più forte.
"Il clima politico chiaramente favorisce i Democratici" spiega Whit Ayers, sondaggista del Gop "ma un'analisi stato per stato evidenzia che McCain ha un leggero margine di vantaggio per quanto riguarda i Grandi elettori".
Uno scenario probabile, secondo il Gop, è quello di un Obama che conquisterà la maggioranza nel voto popolare ma non nei collegi elettorali. Ad esempio negli stati del sud potrebbe fare il pieno di voti dei neri, ma senza conquistare gli stati tradizionalmente Repubblicani. Inoltre va ricordata la forza di McCain tra gli indipendenti "Senza nulla togliere agli altri candidati" ha detto il sondaggista Glen Bolger "se chiunhque altro avesse ottenuto la nomination, a novembre saremmo stati spacciati".
Gli strateghi Repubblicani contano sul fatto che, a parte Iowa e, forse, Colorado, McCain conquisterà gli stessi stati vinti da Bush nel 2004, più Michigan e New Hampshire. In questo modo McCain otterrebbe 291 Grandi Elettori contro 246 di Obama. Se poi Obama perdesse il Colorado e McCain vincesse in Pennsylvania il margine sarebbe 300 a 237.

Dal lato opposto, a preoccupare il partito c'è soprattutto la disorganizzazione nello staff di McCain, causata ed evidenziata dal fatto che lo stesso candidato non presta particolare attenzione agli aspetti organizzativi della campagna. Dimissioni tra i consiglieri di McCain, accusati di legami con le lobby, la lentezza nel prepararsi alla campagna per le presidenziali, indecisione sui temi forti da cavalcare: sono questi gli aspetti che fanno tremare molti leader del partito.
"L'immagine di McCain si basa sul fatto di essere un riformatore, ma i legami con le lobby sono un problema" spiega Terry Nelson, che ha guidato lo staff del Senatore fino allo scorso autunno "se Obama riuscirà a farlo passare per il solito politicante di Washington, lo danneggerà irrimediabilmente."
La disorganizzazione della campagna elettorale, neanche lontanamente paragonabile alla macchina da guerra di Bush-Cheney, ha dilapidato il vantaggio di poter cominciare a guardare a novembre con 3 mesi di anticipo rispetto ai Democratici. Ora che Obama ha conquistato la nomination e può unire il partito, partirà ben presto con spot contro McCain, che dovrà guardare ai mesi trascorsi come ad un'opportunità mancata.
In alcuni stati importanti come la West Virginia, i comitati non hanno ancora presidenti.
Inoltre la necessità di rivolgersi sia ai moderati che ai conservatori ha fatto sì che McCain si sia trovato a lanciare messaggi contraddittori. Recentemente ha parlato per tre giorni di riscaldamento globale, un tema che lo distanzia nettamente da Bush, ma ha concluso la settimana alla National Rifle Association, il sindacato dei possessori di armi da fuoco.
Terry Nelson, che guidò anche la vittoriosa campagna di Bush nel 2004, aggiunge "Ci sono due cose che McCain deve fare se vuole vincere. Punto primo, trovare un messaggio convincente per i Repubblicani. Punto secondo, convincere gli elettori ad andare a votare. Per quel che vedo, sotto tutti e due i punti di vista c'è molta strada da fare".

lunedì 16 giugno 2008

Obama punta sull'economia: tasse ai petrolieri e difesa dei salari

L'economia americana, e di conseguenza anche le altre, sta attraversando una crisi recessiva con pochi precedenti nella storia recente. Da un lato l'aumento esponenziale del prezzo del petrolio ha messo in crisi non solo i trasporti ma tutto il settore industriale, costretto a diminuire le forniture e i posti di lavoro, dall'altro lato la crisi dei mutui e del sistema bancario statunitense ha costretto molte famiglie a indebitarsi e a perdere potere d'acquisto. Una morsa da cui sembra difficile uscire.
Non c'è da meravigliarsi che il tema dell'economia in campagna elettorale sia diventato più importante della politica estera, della guerra in Iraq, della lotta alla criminalità e del miglioramento del sistema sanitario.
Obama ha iniziato lunedì scorso un tour elettorale di due settimane in aree in difficoltà, nel sud e nel Midwest degli Stati Uniti e anche molte roccaforti repubblicane. Il tour comprende anche Pennsylvania e in Ohio, considerati stati in bilico, conquistati dalla sua ex avversaria Hillary Clinton alle primarie democratiche e che potrebbero risultare decisivi il 4 novembre. L'iniziativa ricorda molto quella di Bill Clinton del 1992, quando con lo slogan "It's the economy, stupid" sconfisse Bush sr. Inoltre, obbligare McCain a fare campagna in Stati che lui considera acquisiti, potrebbe metterlo in difficoltà economica e sottrargli mezzi finanziari in Stati chiave (e indecisi) come Florida o Ohio.
Partito dalla North Carolina, l'economy tour è arrivato al giro di boa, ed ecco un riassunto delle proposte partite dal candidato Democratico.
La prima, e che ha avuto una notevole eco anche da noi per una iniziativa analoga del governo italiano, è quella di tassare i profitti inattesi delle società petrolifere. Nel mirino società come la Exxon, a cui il candidato democratico propone di far pagare "sugli extra-profitti provocati dal rialzo del prezzo del petrolio, per aiutare le famiglie a pagare le bollette dell'energia salite a livelli astronomici e altri conti della spesa". Una misura che serve anche a scoraggiare il caro-benzina, e che non è una novità per gli Usa: già introdotta nel 1980, all'epoca del secondo shock petrolifero, era stata in seguito abolita nel 1988 da Ronald Reagan. Secondo alcuni dati forniti dalla campagna di Obama, il progetto prevede la tassazione di ogni barile che supera gli ottanta dollari: un'imposta non irrilevante se si considera che oggi un barile di petrolio è quotato oltre 135 dollari.
Altre proposte: aumentare le tasse agli americani che hanno un reddito alto, accelerare i tempi per offrire un rimborso che porti centinaia di dollari nelle tasche delle famiglie meno abbienti, in modo da controbilanciare alcuni degli aumenti durante l'estate e l'autunno, in considerazione del prezzo globale del petrolio.
Il candidato democratico ha fatto riferimento alla difficile situazione dei lavoratori in Indiana, Ohio, Pennsylvania e Wisconsin. Non è necessario – ha affermato Obama – “guardare l’andatura della borsa o scorrere i titoli delle sezioni finanziarie dei giornali per comprendere la gravità della situazione”. Basta andare in Pennsylvania – ha proseguito - e “ascoltare la storia dell’uomo che ha perso il proprio lavoro e che non può permettersi la benzina per andare in giro a cercarne un altro".

McCain, che sul tema economico è visto come meno affidabile secondo tutti i sondaggi, ha replicato evidenziando il fatto che il piano di Obama si absa sostanzialmente sull'aumento delle tasse: "Obama è stato in Senato solo tre anni e ha già votato 94 volte per alzare le tasse. È lui che non capisce niente di economia e questo è un tipo di cambiamento che non ci possiamo permettere".
Si ripropone anche in questo caso una situazione simile al 1992, quando Clinton salì al potere e fu costretto ad aumentare le tasse per riparare il deficit lasciato da Bush. E ci riuscì.

La regola di Lincoln: l'organizzazione prima di tutto

di Karl Rove (Wall Street Journal)

La politica è diventata tecnologica con sofisticati database, Internet, gli spot in tv, focus group e sondaggi.
Ma un allampanato avvocato dell'Illinois nel 1840 spiegò i compiti essenziali della politica in una lettera al comitato elettorale del suo partito Whig. Fate una lista degli elettori, scrisse, accertatevi per chi voteranno, fate parlare gli indecisi con qualcuno con cui siano in confidenza, e, nel giorno delle elezioni, portate tutti gli elettori Whig a votare.
Abraham Lincoln è stato un grande Presidente, ma anche un grandissimo politico. E John McCain e Barack Obama dovrebbero seguire il suo consiglio: in un'elezione dal risultato in bilico, l'organizzazione è importantissima.

L'esperienza di Obama come responsabile di comunità lo rende particolarmente portato all'organizzazione. I suoi sostenitori dimostrano grande energia ed entusiasmo, molti sono esperti di Internet e possono comunicare facilmente ed economicamente. Le lunghe primarie hanno dato tempo al team di Obama per crescere, affrontare prove ed imparare. Gruppi progresssisti come l'Association of Community Organizations for Reform Now (Acorn) e i sindacati stanno già attivamente registrando nuovi Democratici negli stati chiave. E adesso i Democratici hanno un unico database degli elettori, anche se ci sono arrivati con dieci anni di ritardo rispetto al Gop.
Tuttavia Obama potrebbe ripetere il grave errore fatto da Howard Dean nel 2004, quando gli studenti di college erano incaricati di parlare con elettori con cui non avevano nulla in comune. Così violò la regola di Lincoln.

Obama ha seri problemi con alcuni tradizionali elettori Democratici. Ha perso in modo netto tra le famiglie bianche della classe operaia, un recente sondaggio Pew lo vede in calo di otto punti tra le donne bianche e di sette tra gli elettori con istruzione inferiore al college. Il sostegno di Obama tra i latini è stato attorno al 34%, e ha conquistato la maggioranza degli ispanici solo in Illinois, il suo stato di elezione, per 50% a 49%.
Obama inoltre non può contare su tutti gli elettori registrati. Acorn e il sindacato infatti pagano una percentuale per ogni iscritto, perciò i loro impiegati spesso registrano persone che non esistono o che sono già registrate.

La forza di McCain deriva dal fatto di andare forte tra gli indipendenti e i Democratici. I Democratici che si dicono disposti a votare McCain sono il triplo dei Repubblicani disposti a votare Obama, e McCain ha anche un sostegno attorno al 41% tra gli ispanici. Non va altrettanto bene tra la classe operaia (sopratutto cattolica) e le donne bianche anziane, ma sta migliorando.
McCain può inoltre contare su uno strumento potente: il Voctory Committee del Gop, con il suo programma "72 Hours" che grazie al vasto uso di volontari porta a compimento l'insegnamento di Lincoln. Nel 2004 il Victory Committee provò il suo valore quando i Democratici superono il Gop per soldi raccolti, ma non per affluenza. Grazie al denaro di George Soros, il gruppo Democratic 527, il DNC e John Kerry spesero 121 milioni di $ più dei Repubblicani, ma il Gop registrò più elettori e individuò più famiglie da convincere, portando alle urne 12 milioni di elettori di Bush in più rispetto al 2000.
D'altro canto, McCain storicamente non fa molta attenzione all'organizzazione, ritenendola superflua, ed ha un deficit di entusiasmo da parte dei volontari. A parte la NRA e la Right to Life, McCain non ha associazioni equivalenti a quelle dei Democratici, e deve ancora costituire gruppi di veterani, cattolici, latini, piccoli imprenditori, evangelici e donne negli stati chiave.

C'è tempo, ma non molto, per entrambi i candidati di costruire organizzazioni efficienti. A che punto sono? In 12 stati importanti in cui ho condotto una piccola ricerca, Obama ha quattro stati con un presidente di comitato e otto ancora senza. McCain ha nove stati con un presidente e tre senza. Un comitato con un presidente non assicura un'organizzazione efficace ma è un primo passo.
McCain ha molti ostacoli da superare, primo tra tutti il clima favorevole ai Democratici. Obama ha rischiato di inciampare sulla linea d'arrivo delle primarie e deve adesso unire il partito. L'organizzazione potrà fare la differenza in autunno.

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domenica 15 giugno 2008

Le elezioni che hanno fatto storia: 1964

Le elezioni presidenziali del 1964 si tennero in una America ancora sotto shock per l'assassinio di John F. Kennedy, avvenuto il 22 novembre 1963. Come da Costituzione, il posto di Comandante in Capo era stato occupato dal vice di Kennedy, Lyndon Johnson, che aveva scelto di non nominare un vicepresidente fino alle successive elezioni.

Johnson, che era stato sconfitto nelle precedenti primarie, annunciò che si sarebbe presentato alle elezioni del 1964, e nonostante la sua nomination sembrasse scontata, altri esponenti importanti del partito Democratico si fecero avanti alle primarie (che ancora si tenevano solo in alcuni stati). Tra questi vanno segnalati il Governatore della California Pat Brown e il Governatore dell'Alabama George C. Wallace. Vincendo nel suo stato di elezione, Brown conquistò la maggioranza nel voto popolare, ma non fu mai in partita nel numero complessivo di delegati. Fu Wallace, segregazionista e contrario alle proposte di Johnson sui diritti civili, a dare filo da torcere al Presidente sfidandolo in alcuni stati del nord e ottenendo buoni risultati in Maryland, Indiana e Wisconsin.
Alla convention, Johnson dovette affrontare l'avversione di Robert Kennedy, all'epoca capo del Dipartimento di Giustizia, che intendeva usare l'influenza del suo nome per costringere Johnson a sceglierlo come vicepresidente. Johnson riuscì a posticipare il discorso di Kennedy all'ultimo giorno della convention, quando ormai il vice sarebbe già stato votato. La scelta ricadde su Hubert Humphrey, liberale e attivista dei diritti civili. Poco dopo, Bob Kennedy lasciò l'incarico di governo per candidarsi al Senato.


Il partito Repubblicano nel 1964 era in piena crisi di identità, aggravata dal fatto che l'assassinio di JFK aveva portato di fatto ad una sospensione dell'opposizione per motivi di opportunità. Richard Nixon, l'unico in grado di unire l'ala moderata e quella e conservatrice, dopo la sconfitta nelle presidenziali del 1960 e anche nelle elezioni per il Governatore della California del 1962, decise di non presentarsi.
Si candidarono invece il Senatore Barry Goldwater dell'Arizona, il Governatore di New York Nelson Rockefeller, il Governatore dell'Ohio James A. Rhodes e l'ex candidato vicepresidente del 1960 Henry Cabot Lodge.
Nelle prime tornate, Cabot Lodge conseguì alcuni successi a sorpresa accreditandosi come front-runner, ma i grandi stati premiarono Goldwater e Rockefeller che conquistarono quasi lo stesso numero di voti. Decisive furono le primarie in California, a cui Rockefeller arrivò fresco di divorzio e di un nuovo matrimonio con una divorziata. Questo indispettì la base conservatrice del Gop che si schierò per Goldwater.
La convention fu una delle più combattute della storia Repubblicana: Rockefeller venne apertamente contestato quando salì sul palco, mentre i moderati tentarono di presentare il Governatore della Pennsylvania Scranton per fermare i conservatori. Goldwater ottenne comunque la nomination al primo voto.


Le divisioni nel Gop impedirono a Goldwater di allargare il consenso ai moderati del partito, che arrivarono apertamente a boicottarlo ricordando le sue passate battaglie contro i provvedimenti progressisti portati avanti dall'amministrazione Eisenhower, che evitò di dare il suo supporto al candidato. I Democratici, dal canto loro, dipinsero Goldwater come un razzista guerrafondaio, che avrebbe distrutto lo stato sociale e avrebbe precipitato il paese in una guerra nucleare con la Russia. Poco prima delle elezioni, Goldwater aveva infatti votato contro il Civil Rights Act promulgato da Johnson. Il candidato Repubblicano fu inoltre attaccato per alcune sue frasi sprezzanti sulle politiche sociali e l'economia liberale ("Certe volte penso che la nostra nazione sarebbe migliore se la Costa Est si staccasse" aveva detto nel 1961).
Goldwater si rese anche protagonista di alcune gaffe in campagna elettorale, come quando disse che l'esercito USA avrebbe dovuto buttare una bomba atomica nel bagno degli uomini del Cremlino. Per questo e altri motivi, molti importanti Repubblicani tra cui Eisenhower (Goldwater aveva anche detto a proposito di una possibile candidatura di Milton Eisenhower, fratello dell'ex presidente "Un Eisenhower in una generazione è abbastanza"), Rockefeller e il Governatore del Michigan George Romney (padre di Mitt) rifiutarono di sostenerlo.
L'attore hollywoodiano Roland Reagan si schierò invece per Goldwater con un apprezzato discorso televisivo: fu l'inizio della sua carriera politica, che lo portò solo due anni dopo ad essere eletto Governatore della California.

Le elezioni si tennero il 3 novembre e sono ricordate come una delle più nette vittorie Democratiche. Johnson annientò l'avversario ottenendo il 61% del voto popolare, la più ampia percentuale dal 1824. Johnson e Humphrey conquistarono 44 stati + DC e 486 Grandi Elettori, lasciando a Goldwater 6 stati e 52 Grandi Elettori.
La disfatta Repubblicana portò i Democratici a conquistare una vasta maggioranza anche al Congresso.
Ciononostante, l'esperienza di Goldwater (che a seguito della sconfitta lasciò la politica) è stata fortemente rivalutata negli anni successivi dai politici conservatori, che hanno eletto Goldwater a loro icona, rivalutazione culminata nell'era Reagan. Molti politici americani oggi in attività, anche Democratici, sono scesi in politica proprio per appoggiare la campagna di Goldwater, che faceva grande affidamento alle iniziative spontanee dei sostenitori. Tra loro, una giovanissima Hillary Clinton, che a 17 anni, provenendo da famiglia conservatrice, fece volontariato per Goldwater.