sabato 14 giugno 2008

Tra moglie e marito non mettere il partito

Discutere di politica con tua moglie durante una cena tra amici è una cosa. Farlo di fronte a 38 milioni di persone è un'altra, soprattutto se sei il Governatore della California.
La politica ha infatti diviso la "first couple" del Golden State, Arnold Schwarzenegger e Maria Shriver. Se l'ex Terminator ha già da tempo espresso il suo pieno sostegno al collega di partito John McCain, la Shriver, che è la nipote di John F. Kennedy e Democratica di lungo corso, appoggia Barack Obama.
Entrando nella residenza californiana della famiglia Schwarzenegger, Villa Bella Vista, si possono notare sia i cartelli di Obama che quelli di McCain. Anche i quattro figli della coppia sono divisi sull'argomento, ma solo la più grande (18 anni) potrà votare a novembre. E voterà Obama.
Tutto ciò ha raggiunto picchi involontariamente comici durante il Super Tuesday, quando Schwarzy si è trovato a proclamare il suo sostegno a McCain mentre il suo giardino di casa era cosparso di cartelli pro-Obama. Allora il Governatore ha ordinato di trovare un egual numero di cartelli pro-McCain, ma è stata un'impresa improba visto che McCain era comunque il favorito e si era preferito concentrare la campagna elettorale altrove.
Il dibattito familiare è diventato ancora più pubblico con la fine delle primarie: Maria Shriver, che ha già fatto campagna elettorale per Obama mentre il marito la faceva per McCain, è la favorita per ricoprire il ruolo di presidente del comitato californiano di Obama, come confermato da Bill Burton, portavoce del candidato "Maria Shriver è una grande sostenitrice di Obama, saremmo entusiasti di averla con noi in campagna elettorale quando vorrà".
Dal canto suo Schwarzenegger, che attualmente deve anche fronteggiare una delicata crisi economica, farà il possibile per raccogliere fondi per McCain, pur sapendo che le possibilità che il Repubblicano conquisti lo stato sono piuttosto scarse: è dal 1992 che la California vota per i Democratici, e tutti i sondaggi dicono che quest'anno non ci saranno eccezioni.

La coppia non solo non fa mistero delle divergenze di opinioni (è così dal 2003, quando Schwarzy è diventato Governatore), ma spesso la cosa è motivo di battute in pubblico "Quando ho deciso di partecipare alla campagna di Obama" ha detto la Shriver "ho avvertito mio marito chiedendogli se per lui era un problema". "Le ho detto 'Fallo! Devi farlo" ha raccontato Arnold.
La Shriver ha così definito Obama "Se Obama fosse uno stato, sarebbe la California. Diverso, aperto, indipendente, intelligente, innovativo, sognatore".
Schwarzenegger ha scherzato su questa definizione "Ormai la gente lo sa che mia moglie non la pensa come me, anche quando è seduta con me alla convention Repubblicana".

(Fonte: New York Times)

Sondaggi: Obama in vantaggio in Wisconsin e New Jersey

Cominciano ad arrivare i primi sondaggi relativi ai singoli stati, utili sia per avere una panoramica più precisa sul possibile andamento delle elezioni (il sistema elettorale basato sui Grandi Elettori non garantisce la vittoria a chi prende più voti in assoluto) sia per capire quali possono essere gli scenari negli stati vinti da Hillary Clinton.

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Il Wisconsin (che conta 10 Grandi Elettori), stato "in bilico" e caratterizzato da una consistente presenza di bianchi appartenenti alla classe operaia, sembra saldamente nelle mani di Obama. Il candidato Democratico, che è tornato la scorsa settimana nello stato in cui a febbraio ha vinto nettamente, avrebbe il 50% dei consensi secondo un sondaggio condotto da Madison e University of Wisconsin, che accredita a McCain il 37% dei voti. I precedenti sondaggi, risalenti a quando Hillary Clinton era ancora in corsa, davano Obama e McCain appaiati.
L'indice di gradimento di Obama nello stato è del 64%, mentre il 32% ha un'opinione negativa di lui. Per McCain gli indici sono 53% contro 44%.
Secondo il sondaggio l'argomento più importante per gli abitanti del Wisconsin è l'economia e l'occupazione (37%), la politica estera (11%), il sistema sanitario (10%). Il 38% degli intervistati si è dichiarato Democratico, il 29% indipendente e il 24% Repubblicano. Tra gli indipendenti, Obama è in vantaggio per 46% a 37%.

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Anche in New Jersey (15 Grandi Elettori) Obama ha un considerevole vantaggio, secondo un sondaggio condotto dalla Quinnipiac University che vede un distacco di 45 a 39 su McCain. Obama risulta particolarmente forte nell'elettorato femminile (46 a 35), mentre tra gli uomini i due candidati sono appaiati al 44%. Tra gli indipendenti, McCain è in vantaggio per 42% a 40%.
L'indice di gradimento di Obama è al 56% contro il 32% di pareri negativi, McCain è al 51% contro il 36%. Il 56% degli elettori del New Jersey non vuole Hillary Clinton come vicepresidente, ma tra i Democratici il 51% la vuole nel ticket.
Obama è visto vicino ai problemi della gente dal 64% degli intervistati, mentre McCain è al 52%.
Il 46% ritiene che l'economia sia la priorità del momento, il 23% pensa sia la guerra in Iraq e l'11% il servizio sanitario.
Il 76% ritiene che l'età non danneggerà l'eleggibilità di McCain, l'88% non ritiene che la razza dannegerà l'eleggibilità di Obama.

venerdì 13 giugno 2008

Ron Paul chiude la campagna elettorale, ma guarda al futuro

Tra l'indifferenza dei grandi media, concentrati solo sul vincitore annunciato McCain, il Repubblicano libertario Ron Paul ha continuato la sua campagna elettorale fino alla fine delle primarie, presentandosi in tutti gli stati e ottenendo in alcuni casi risultati a doppia cifra e qualdche delegato residuale.
Paul ha concluso ufficialmente la sua campagna con un comizio fuori dalla convention Repubblicana nel "suo" Texas, e ha annunciato che i soldi raccolti e non ancora spesi, 4,7 milioni di $, saranno utilizzati per finanziare un nuovo gruppo, The Campaign for Liberty. Questa nuova entità verrà usata per sostenere i candidati di corrente libertaria al Congresso nelle elezioni di novembre, e in quell'occasione lo stesso Paul cercherà la rielezione alla Camera.
Paul, che ha raccolto in tutto 35 delegati (molti dei quali dopo che McCain ha raggiunto la nomination), è l'unico dei candidati presidenziali del Gop a non aver fatto endorsement per McCain, e anche per questo motivo non ha ancora ottenuto il diritto di parlare alla convention Repubblicana di settembre a Minneapolis.
Anche recentemente Paul ha ribadito di non voler appoggiare McCain, con cui ha avuto aspri scontri in tema di politica estera nei primi dibattiti delle primarie (quando Paul aveva raccolto più fondi del rivale).

Il fatto che gli organizzatori della convention Repubblicana non abbiano ancora deciso se Paul potrà parlare, il 73enne texano ha già pronte le contromisure. Ha infatti affittato la Williams Arena nell'Università del Minnesota, a poca distanza dal luogo in cui si terrà la convention, e qui si terrà il primo evento sponsorizzato dalla Liberty Campaign.
Anche se non dovesse parlare alla convention, Paul sta incoraggiando i suoi delegati a far sentire la propria presenza influenzando la "piattaforma", ovvero il programma del partito che verrà fatto proprio dal candidato alla presidenza.
Nelle ultime primarie, Paul ha conquistato 15 delegati tra Idaho, Oregon e North Carolina, e ha superato il 15% in stati come il New Mexico, il South Dakota e la Pennsylvania dove tuttavia non ha vinto delegati a causa del sistema winner-take-all.

(Fonte: Abc News)

Come scegliere un vicepresidente

di Karen Tumulty (TIME)

Ecco una delle più strane ironie della Costituzione americana: più di 50 milioni di persone hanno appena finito di scegliere i candidati presidenti dei due partiti in una estenuante e lunghissima campagna elettorale, ma quando è la volta di scegliere i nominati alla vicepresidenza, solo due persone hanno diritto di voto: John McCain e Barack Obama. Tra un'esplosione di democrazia in primavera e una ancora più grande esplosione di auto-determinazione in autunno c'è un breve interludio di, beh, qualcosa che probabilmente piacerebbe a Vladimir Putin.
Tutti sanno che la principale qualità richiesta a un vicepresidente è quella di essere pronto, all'occorrenza, a prendere in mano il più potente posto di lavoro al mondo. Ma ciò che rende adatti a fare quel lavoro, e ciò che rende adatti ad avere quel lavoro, sono cose diverse.
La scelta del vice ci dirà qualcosa dei due candidati presidenziali e di come intendono governare. Ci sono molti modi di scegliere un vicepresidente, ognuno con i suoi rischi. Ecco i cinque modi più affidabili:

1. Giocare con i tuoi punti di forza
Il modo più veloce di far capire chi sei, è scegliere qualcuno che sembri proprio come te. Nel 1992, Bill Clinton scelse un altro giovane del sud con fama da moderato e un sacco di capelli in testa. Scegliendo Gore, Clinton rafforzò la propria ambizione di rappresentare una nuova generazione di Democratici, lontana dal passato.
Se McCain seguisse un simile approccio, dovrebbe scegliere un n°2 esperto in sicurezza nazionale o lontano dalle etichette di partito - uno come Joe Lieberman. Allo stesso modo, Obama potrebbe scegliere un partner giovane e carismatico e anche rompere una barriera storica di sesso o razza - scegliendo ad esempio la Governatrice del Kansas Kathleen Sebelius - o trascendere gli schemi politici scegliendo il Repubblicano Chuck Hagel.

2. Guardare alla geografia
Un atlante è una buona guida Michelin per scegliere un vicepresidente. La scelta giusta può permettere di bilanciare un nominato troppo radicato in un certo territorio. Gli ultimi due a fare una scelta basata prevalentemente su questo criterio sono stati John Kennedy nel 1960 e Mike Dukakis nel 1988. Entrambi del Massachusetts, scelsero tutti e due un partner del Texas - Lyndon Johnson e Lloyd Bentsen.
Più prosaicamente, si può scegliere un vice per assicurarsi uno stati cruciale per l'elezione, anche se non si può mai sapere. Kennedy grazie a Johnson vinse in Texas con uno scarto di appena 46.000 voti, ma Dukakis perse perchè la popolarità pure considerevole di Bentsen non era nulla in confronto alla possibilità di avere un texano doc come Bush sr. nello Studio Ovale.
Quest'anno, visti gli scarti ridotti, sia Obama che McCain terranno d'occhio la mappa elettorale. Obama prenderà in considerazione il Governatore dell'Ohio Strickland (che però si è detto indisponibile) o tre nomi della Virginia: il Governatore Tim Kaine, l'ex Governatore Mark Warner o il Senatore Jim Webb. O forse il Governatore del Montana Brian Schweitzer. McCain potrebbe trarre beneficio dal Governatore del Minnesota Tim Pawlenty, l'ex Governatore della Pennsylvania Tom Ridge o Mitt Romney, che ha radici in Michigan.

3. Coprire i punti deboli
D'altro canto, un candidato può voler compensare le proprie vulnerabilità. George W. Bush scelse per questo motivo Dick Cheney, un esperto politico con ottime credenziali in politica estera. E Gore, sempre nel 2000, sapeva che scegliendo Lieberman, uno dei maggiori critici di Clinton durante l'affare Lewinsky, avrebbe preso le distanze dal suo predecessore.
Nel caso di McCain, ogni dubbio degli elettori nel votare un 72enne potrebbe essere alleviato da un vice molto più giovane. E in un anno in cui le crisi finanziarie hanno conquistato le prime pagine dei giornali, non sarebbe male cercare qualcuno più a suo agio con le materie economiche. In questo senso tornerebbero utili i nomi di Pawlenty o Romney, ma anche quello di Rob Portman, economista coinvolto nell'Amministrazione Bush.
Obama invece potrebbe voler alleviare i dubbi sulla propria inesperienza scegliendo un partner più anziano e con credenziali in sicurezza nazionale. I nomi più quotati sono quelli del presidente della Commissione Esteri del Senato Joe Biden, o l'ex presidente della Commissione Difesa Sam Nunn. Anche il Governatore della Pennsylvania Ed Rendell o l'ex Senatore del South Dakota Tom Daschle farebbero al caso suo.

4. Abbraccia il tuo rivale
Anche dopo una lunga e dura battaglia, il vincitore deve considerare l'idea di chiamare lo sconfitto a bordo. E' quello che fecero Ronald Reagan nel 1980 con George H. Bush e John Kerry nel 2004 con John Edwards. A volte è l'unico modo di garantire l'unità del partito.
Ovviamente ci sarà sempre il sospetto che l'ex rivale nutra ancora rancore, e gli avversari non mancheranno di farlo notare, ma sono preoccupazioni spesso superate, basti pensare a come si sono scongelati i rapporti tra McCain e Mitt Romney - che si è reso protagonista di una formidabile raccolta fondi - e al fatto che i sostenitori della Clinton, Bill in testa, si aspettano che Obama prenda in considerazione l'ipotesi.

5. Puntare all'eccitazione
A volte un nominato si trova obbligato a suscitare emozioni. Ecco spiegato perchè Walter Mondale, nel 1984, scelse come vice Geraldine Ferraro, la prima donna in un ticket presidenziale. Visti i loro continui dissidi, nessuno si sarebbe aspettato che Bob Dole nel 1996 scegliesse come vice Jack Kemp - e Kemp meno di tutti. Dole aveva bisogno di ossigeno e novità, ma poi Kemp si rivelò un partner molto più complicato del previsto.
Chi potrebbe essere l'outsider di quest'anno? McCain potrebbe scegliere l'ex Segretario di Stato Colin Powell. Obama non ha bisogno di suscitare altre emozioni, ma potrebbe scegliere una donna come la Sebelius o la Governatrice dell'Arizona Janet Napolitano.

Ma se ci si spinge troppo in là, gli elettori potrebbero rimanere perplessi - e alla fine anche gli stessi Presidenti. Nel 1988 sembrò che George H. Bush si fosse affidato ad uno di quei programmi delle agenzie matrimoniali, cercando uno con radici opposte alle sue, giovane quanto lui era anziano, conservatore quanto lui era moderato, e trovò Dan Quayle. Il ticket si rivelò vincente, ma nel 1992 Bush cercò di cambiare vice, inutilmente. E questo porta all'ultima regola da ricordare: è difficile trovare un buon partner, ma è ancora più difficile disfarsi di un cattivo partner.

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giovedì 12 giugno 2008

McCain e i problemi con YouTube

Il video si intitola "McCain's YouTube Problem Just Became a Nightmare", e già parla da solo.



Dura poco più di 3 minuti, nel corso dei quali l'anonimo creatore del filmato ha inserito tutti i principali motivi di imbarazzo del candidato Repubblicano, tra cui il suo cambio di opinione sulla politica fiscale di Bush, la sua confusione tra Iran e Al-Qaeda (con Lieberman che lo interrompe per correggerlo), l'ammissione di dover imparare molte cose sull'economia.
Il video ha rapidamente scalato le classifiche di YouTube collezionando quasi due milioni di contatti in meno di un mese.
Il video è sicuramente di parte, ma indubbiamente vero, nel senso che si basa solo sulle dichiarazioni di John McCain, anche se decontestualizzate.
I commenti al video, come è normale, non sono benevoli, e nella colonna dei video correlati ve ne sono molti altri simili. Inoltre, digitando come chiave di ricerca "John McCain" ne appaiono altri analoghi, che di certo non fanno bene alla sua reputazione: c'è McCain che fraintende una domanda in un dibattito, c'è una sua frase messa ironicamente a confronto con quella di una concorrente di Miss Teen USA che fa un errore di geografia, c'è McCain in imbarazzo quando la conduttrice Ellen DeGeneres gli fa una domanda sulle lesbiche. Sei dei primi dieci video che appaiono facendo una ricerca su McCain lo mostrano incoerente, estremista o ignorante. O tutte e tre le cose insieme. Facendo una ricerca su Barack Obama si trovano invece solo video positivi, dal video "Yes we can" in giù.

Il gap di McCain con la "YouTube generation", che preoccupa non poco i Repubblicani, è visibile anche da un altro elemento. I video prodotti e inseriti nel canale di John McCain hanno totalizzato meno contatti dello spot che vedeva Mike Huckabee con Chuck Norris, e che è stato visionato da oltre 2 milioni di utenti.

Johnson lascia il team di Obama

A pochi giorni dall'inizio ufficiale dei "colloqui" per la selezione del vicepresidente, Jim Johnson, che Obama aveva scelto come guida del team è stato costretto a dimettersi.
L'ex amministratore delegato della multinazionale Fanny Mae è stato accusato da McCain e dal suo staff di avere legami troppo stretti con la finanziaria Countrywide, legami che lo rendevano inadatto a ricoprire un ruolo ufficiale così delicato a causa del conflitto di interessi. Inoltre il Washington Post ha ricordato che i vertici della Fanny Mae sono stati recentemente coinvolti in un'inchiesta giudiziaria per falso in bilancio, e anche se Johnson non è mai stato toccato dalle indagini aveva comunque tratto dei benefici dalla situazione.
Johnson ha quindi spontaneamente rassegnato le dimissioni nonostante da Obama e dal suo staff fosse arrivata una strenua difesa "Voglio evitare possibili ricadute negative per il Senatore Obama, ma le mie dimissioni non significano che abbia fatto niente di sbagliato nè che accetti le accuse proditoriamente false e costruite. Non voglio essere causa di distrazione per questo momento storico, e credo che la candidatura di Barack Obama sia il momento più importante della mia vita".

Le dimissioni di Johnson sono state accolte dalle critiche di McCain, che tramite il suo portavoce ha messo in discussione le capacità di giudizio di Obama "Le dimissioni di Jim Johnson fanno nascere serie domande su Barack Obama. La selezione del vicepresidente è la decisione più importante per un candidato alla presidenza, e Obama stesso ha detto che questo sarà un segnale di come vorrà operare da Presidente. Affidando questa selezione a un uomo che adesso è stato costretto a dimettersi per le sue discutibili attività, gli americani hanno motivo di chiedersi le capacità di giudizio di un candidato che ha dimostrato di non essere in grado di scegliere le persone giuste. L'America non può permettersi un presidente che ondeggia sulle questioni importanti nel giro di 24 ore".
La risposta del portavoce di Obama "Non abbiamo bisogno di lezioni da chi ha aspettato quindici mesi per escludere i lobbysti dal proprio staff, e lo hanno fatto solo per quello che hanno definito un 'problema di percezione'. Peccato che il loro staff sia ancora pieno di influenze lobbyste e non si vede un simile 'problema di percezione' per l'uomo che attualmente si occupa della selezione del loro vicepresidente, un importante lobbysta di Washington il cui studio legale ha rappresentato la compagnia petrolifera Exxon e un dirigente della Enron, o il consigliere economico di McCain Carly Fiorina".

Per il momento, la selezione del vicepresidente Democratico passa nella mani di Eric Holder e Caroline Kennedy.

mercoledì 11 giugno 2008

I sostenitori della Clinton diffidano ancora di Obama

Nonostante la conclusione della corsa di Hillary Clinton, e il suo endorsement al grido di "Yes, we can", i supporter della Senatrice, almeno in Ohio, non sembrano ancora disposti a mettersi alle spalle l'avversità nei confronti di Barack Obama. Lo dimostrerebbe un'inchiesta condotta da The Columbus Dispatch il 9 giugno.
Soprattutto nel sud dell'Ohio, uno degli stati in bilico che potrebbero decidere l'assegnazione della Casa Bianca, è ancora forte l'eco di quelle frasi di Obama sulla provincia americana "incattivita e aggrappata alla religione e alle armi".
Alla diffidenza verso Obama fa da contraltare la paura che McCain proseguirebbe la politica di Bush, che ha portato l'Ohio in una gravissima recessione economica, aggravata dall'alto tasso di disoccupazione e dal prezzo dell'energia, particolarmente sentito in una regione industriale come questa. L'Ohio, negli ultimi 16 anni, ha votato con percentuali altissime per Bill Clinton nel 1992 e nel 1996 e per George W. Bush nel 2000 (nel 2004 fu oggetto di una disputa ma alla fine la spuntò Bush per pochi voti, che furono però decisivi per la rielezione).

L'Ohio è solo una spia del disagio dei clintoniani, disagio che comincia a preoccupare il partito, soprattutto dal momento che McCain sembra voler puntare decisamente a questa fetta di elettorato. Mentre la Clinton, nel suo discorso di sabato scorso, invitava i suoi supporter a "impegnarsi per Barack Obama come avreste fatto per me", suo suo sito web in molti chiarivano che non avrebbero mai votato per Obama, mentre si facevano vivi anche sostenitori di McCain che invitavano a visitare il sito del Repubblicano.
A maggio, quando i leader Democratici hanno deciso di dimezzare le delegazionid i Florida e Michigan, i numerosi sostenitori della Clinton radunatisi a Washington per chiedere una riammissione totale dei due stati urlavano "Let's go, McCain".
Dagli ultimi sondaggi risulta che se Obama non scegliesse la Clinton come vice, un 22% dei suoi supporter non voterebbe per lui, e il 17% voterebbe McCain.
Questi numeri non sono passati inosservati nello staff di McCain, che ha iniziato a corteggiare l'elettorato della senatrice, specialmente le donne e la classe operaia bianca.
Poche ore dopo il discorso di congedo di Hillary, uno dei consiglieri di McCain, Michael Goldfarb, scriveva sul blog ufficiale della campagna elettorale che "nel quartier generale di McCain c'è un sincero affetto per la Clinton, è stata una candidata formidabile che ha ispirato una generazione di donne, ma è caduta vittima di una cospirazione di sinistra che si è risentita per le sue posizioni moderate in politica estera".

I Democratici conoscono bene questo sentimento, e i sondaggi dicono che l'affezione per le persone sta diventando sempre maggiore rispetto a quella per il partito. Nel 2004 i sostenitori di Howard Dean, delusi per il fallimento del loro beniamino, non seguirono John Kerry, ma solo l'8% arrivò a sostenere Bush.
Lo staff di Obama lascia trasparire ottimismo, ritenendo che la passione derivata da queste lunghe primarie comincerà a svanire presto cedendo il campo ad una maggiore razionalità, che permetterà agli elettori della Clinton di comprendere che le posizioni di McCain su praticamente tutti i temi sono agli antipodi di quelli della Senatrice.

Obama comincia la ricerca del vice

Molto discretamente, Barack Obama ha dato ufficialmente il via al processo di selezione dei possibili "compagni di ticket" alle presidenziali di novembre.
Anche se non è stato rilasciata nessuna comunicazione ufficiale, è ormai certo che da una settimana il candidato Democratico ha assunto per il delicato compito di selezionatore l'ex Amministratore Delegato del colosso finanziaro Fannie Mae, Jim Johnson (nella foto). Oltre ad affidarsi ad una persona di sicura esperienze, Obama ha dimostrato di non essere scaramantico: Johnson infatti aveva ricoperto lo stesso ruolo nelle sfortunate campagne presidenziali di Walter Mondale nel 1984 e di John Kerry nel 2004.

Kerry iniziò la ricerca del vice già a marzo, e fu Johnson a curare la scrematura del candidato fino ad arrivare a John Edwards.
Nel 1984, invece, alla vigilia della convention Mondale era intenzionato a scegliere la Senatrice Dianne Feinstein della California, ma emersero ben presto dei conflitti di interessi a causa degli affari condotti dal marito della senatrice, Richard Blum. Perciò Johnson dirottò la scelta su Geraldine Ferraro. Per ironia della sorte, nel corso della campagna elettorale per le presidenziali la Ferraro finì nell'occhio del ciclone a causa di suo marito, imprenditore nel ramo immobiliare.
Johnson ha detto in seguito che l'esperienza del 1984 gli ha insegnato a iniziare la selezione molto prima e ad essere molto più scrupoloso.

Il processo di selezione sarà gestito da un ristretto numero di collaboratori del senatore, a cui è stata chiesta la massima riservatezza. Di questo gruppo farà parte anche Caroline Kennedy. Tuttavia si sa che l'agenda di Johnson e dei suoi collaboratori prevede una serie di incontri già nei prossimi giorni, dei veri e propri colloqui di lavoro che si concentreranno su argomenti caldi della politica ma anche su possibili debolezze personali che potrebbero diventare fonti di imbarazzo in campagna elettorale - dal mancato pagamento dei contributi a impiegati e collaboratori, all'uso di droghe o alcool risalente anche alla prima giovinezza - e i potenziali candidati devono concedere un accesso completo alle loro dichiarazioni dei redditi.
Lunedì scorso Johnson ha incontrato una delegazione degli esponenti Democratici e Camera e Senato, per raccogliere impressioni e suggerimenti. Il leader della maggioranza alla Camera Steny Hoyer ha detto che c'è stata "lunga e approfondita discussione in cui sono stati fatti un sacco di nomi".
Naturalmente su tutto il processo incombe l'ombra di Hillary Clinton. In molti all'interno del partito stanno facendo pressioni affinchè Obama prenda in considerazione l'ipotesi di proporle la vicepresidenza non appena avrà messo al sicuro la nomination. Ma oltre a tutti i pro e i contro di un ticket Obama-Clinton, non è affatto detto che la senatrice sia disposta ad accettare il posto di n° 2, e per Obama sarebbe uno smacco offrirle la vicepresidenza ed ottenere in cambio un rifiuto.
D'altronde se scegliesse la Clinton, o un altro "vecchio" del partito come Chris Dodd o Joe Biden, toglierebbe valore al suo messaggio di cambiamento, ma se scegliesse un giovane con scarsa esperienza di comando renderebbe il ticket soggetto ad ogni tipo di critica. Se scegliesse un Democratico troppo liberal perderebbe appeal tra gli indipendenti, ma se scegliesse un conservatore o un Democratico con posizioni "di destra" su temi quali l'aborto, si alienerebbe il sostegno delle donne e della base del partito.

Non è dato sapere quanto sia lunga la lista di Obama e Johnson, ma di sicuro tra i vari nomi di sono quelli di Jim Webb (ex segretario alla Marina sotto Reagan), Sam Nunn, il Governatore della Virginia Tim Kaine, l'ex leader della maggioranza al Senato Tom Daschle (che fa anche parte del gruppo di consiglieri di Obama), Bill Richardson, John Edwards, il Repubblicano Chuck Hagel, le Governatrici Kathleen Sebelius del Kansas e Janet Napolitano dell'Arizona, Bob Casey, Joe Biden e Chris Dodd, e due sostenitori della Clinton come il Governatore dell'Ohio Ted Strickland e il senatore dell'Indiana Evan Bayh.

martedì 10 giugno 2008

I Repubblicani puntano sulla lotta al crimine

Il nome di Floyd Brown, da noi un illustre sconosciuto, provoca brividi sulla schiena dei Democratici americani. Brown, fondatore dell'asociazione conservatrice Citizens United, è insieme a Lee Atwater l'autore della campagna di discredito che nel 1988 costò a Mike Dukakis la Presidenza degli USA. Con il famigerato spot su Willie Horton - un condannato a morte del Massachusetts che commise una rapina e uno stupro mentre usufruiva di un permesso premio nell'ambito di un progetto di riabilitazione sponsorizzato da Dukakis - Brown diede un colpo fatale all'immagine, già deteriorata, del candidato Democratico spianando la strada all'elezione di George H. Bush. Quattro anni dopo Brown ci riprovò puntando sulla relazione extraconiugale di Bill Clinton con Gennifer Flowers, in questo caso con minore fortuna.

Oggi Brown torna all'assalto, con il sito ExposeObama.Com, attraverso cui intende raccogliere fondi per produrre una serie di spot in cui ha intenzione di dimostrare che Obama non è in grado di fronteggiare una delle principali preoccupazioni degli elettori: il crimine.
Su Internet già circola il primo di questi spot, in cui si accusa Obama di aver votato contro una legge che avrebbe esteso la pena di morte ai membri di una gang in caso di omicidio, quando era legislatore dell'Illinois.
"Quando il gioco di fa duro, Obama ha scelto di essere debole. Un uomo così debole nella lotta alle gang può essere credibile nella lotta al terrore?" è lo slogan.

Anche se la lotta al crimine non è mai stato un tema preminente di questa campagna elettorale - e non è neanche in cima alle priorità degli elettori, stando ai sondaggi - molti Repubblicani ritengono che questo sia l'argomento su cui Obama potrebbe essere più vulnerabile. C'è da notare che il curriculum politico relativamente breve mette Obama al riparo, almeno in parte, da attacchi basati sulle leggi votate o proposte, e costringe quindi gli avversari a cercare più a fondo appigli per campagne denigratorie.
Tuttavia l'uso del tema della sicurezza in campagna elettorale - non solo in USA, come sappiamo bene - riesce sempre a sfruttare le paure dei cittadini e i loro pregiudizi. L'impegno di Richard Nixon nel 1968 di ripristinare "la legge e l'ordine" fu visto come un sottile appello al pregiudizio razziale dei bianchi, ma funzionò, così come lo spot sul condannato a morte nero Will Horton. E il fatto che i Presidenti abbiano poca voce in capitolo nella lotta al crimine - che semmai è compito di Governatori e sindaci - ha evidentemente poca importanza per una parte dell'elettorato, e Brown punta su questo
"Ci sono moltissime decisioni prese da Obama quando era nel Senato dell'Illinois che mostrano che è assolutamente inadeguato nell'affrontare il crimine violento. E se pensa che sia un argomento insignificante, ne parli con Mike Dukakis" ha detto Brown alla presentazione del suo sito.

I portavoce di Obama hanno replicato spiegando che il voto a cui si riferisce lo spot di Brown era su una proposta simbolica, poichè i mebri delle gang potevano già essere condannati a morte secondo la legge vigente nello stato.
McCain tuttavia sembra deciso a sfruttare in campagna elettorale il suo personale programma di lotta al crimine, portato avanti da 25 anni, basato su condanne più dure e maggiore attenzione alle vittime. Obama dal canto suo sembra maggiormente concentrato ad agire sulle cause del crimine, anche a costo di ridurre le pene previste, ad esempio nel caso dei condannati per droga.
Inoltre Obama sostiene una legislazione molto più restrittiva per il porto e l'uso di armi da fuoco, al contrario di McCain, che tuttavia è stato in passato molto criticato dalla NRA (la potente lobby dei possessori di armi da fuoco) per aver sostenuto maggiori controlli per chi richiede un porto d'armi.

15 cose che McCain sottovaluta


di Mark Halperin (TIME)

1. Lo sbalorditivo entusiasmo che Obama ispira nei suoi sostenitori - e quanto questo contrasti con il rispetto, ma non la passione, di cui McCain gode da parte dei suoi supporter (e l'entità dei sostenitori di Obama).

2. La differenza di categoria tra l'organizzazione di Obama e la sua

3. La difficoltà di correre contro due avversari in un colpo solo. Mccain dovrà 1) esplicitamente criticare l'attuale Presidente Repubblicano davanti agli elettori Repubblicani e 2) cercare di impedire l'evento storico dell'elezione del primo Presidente afro-americano che molti nel paese (e nei media) desiderano.

4. L'onnipresente pericolo di ricordare Bob Dole o una delle gaffe alla Bob Dole (cadere dal palco, sembrare un fossile di Washington, o apparire arrabbiato e fuori sincrono)

5. Quanto poco agli americani interessi la politica estera (ad eccezione della guerra in Iraq) quando l'economia è in crisi.

6. Quanti elettori (anche fedelissimi Repubblicani) temano l'idea di un virtuale terzo mandato di Bush.

7. Quanti esponenti dei media temano l'idea di dover coprire un virtuale terzo mandato di Bush (e quanto credano al fatto che McCain sia il proseguimento di Bush-Cheney).

8. Il modo in cui le enormi carenze di McCain in economia possano far sembrare Obama (che pure non è ferratissimo sul tema) una specie di unione tra Bob Rubin, Bill Clinton e Lou Dobbs.

9. Che molti nel suo partito credono ai sondaggi secondo cui le sue possibilità di vittoria non superano il 30% (e quanto questo influenzi le loro apparizioni televisive).

10. Che spesso nell'America di oggi la percezione e lo stile battono la realtà e la sostanza.

11. Che l'età è solo un numero finchè non è un numero molto alto - in quel caso diventa un difetto.
12. Quanto sembri vecchio quando si sforza di apparire "presidenziale2 - e quanto renda incongruente il suo messaggio di cambiamento.

13. Quanto saranno difficili i dibattiti quando il supposto inesperto Obama dal supposto discutibile raziocinio andrà ad affrontare McCain faccia a faccia anche su temi come la sicurezza nazionale.

14. Quanto Obama faccia sentire importanti i suoi elettori ("noi siamo il cambiamento che stavamo cercando") mentre McCain istruisce e tiene lezioni ai sostenitori.

15. Con quanta irruenza Obama adesso si proporrà come il candidato di tutti, in grado di celebrare sia il cambiamento che la grandezza dell'America.

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lunedì 9 giugno 2008

Sondaggi: per la CBS Obama a +6

Secondo un sondaggio di CBS News successivo alla conclusione delle primarie, Barack Obama ha un vantaggio di 6 punti sul suo rivale Repubblicano John McCain, 48% contro 42%, con il 6% di indecisi.
Il sondaggio presenta tuttavia alcuni motivi di preoccupazione per il Democratico, soprattutto riguardo la capacità di unire il partito. A causa della lunga battaglia con Hillary Clinton, il 12% degli elettori Democratici interpellati dichiara di voler votare John McCain, percentuale che raggiunge il 22% tra gli elettori della Senatrice (il sondaggio è precedente all'endorsement di Hillary Clinton per Obama).

Tra gli indipendenti, McCain sopravanza Obama di 8 punti, 46% contro 38%, con l'11% di indecisi.
Il 63% del totale degli intervistat ritiene che il protrarsi della battaglia in casa Democratica abbia danneggiato Obama, mentre il 27% ritiene lo abbia favorito. Due terzi dei Democratici si sono detti favorevoli ad una riforma delle primarie, con un solo giorno di votazioni in tutto il paese. Il 59% dei Democratici ritiene che Obama dovrebbe offrire alla Clinton la candidatura alla vicepresidenza. Sono soprattutto i supporter della Clinton a volerlo, mentre quelli di Obama sono divisi quasi esattamente a metà.

McCain è ritenuto il Comandante in capo più credibile dal 39% degli elettori, contro il 25% di Obama, che però è ritenuto più affidabile nel prendersi cura dei problemi della gente (38% contro il 22% di McCain). Obama ha un indice di gradimento del 41% (in clo di tre punti dal mese scorso) e un indice negativo del 31%. McCain ha un gradimento del 34% (+ 2 dal mese scorso) e un indice negativo al 37%.
Quattro elettori su dieci ritengono che McCain porterebbe avanti le stesse politiche di Bush, il cui gradimento è al 25% (solo Nixon e Truman hanno fatto peggio).

Per il 34% degli americani, la principale preoccupazione è l'economia, seguita dal prezzo del petrolio (16%), dalla guerra in iraq (15%) e dal servizio sanitario (4%).
Il 70% ritiene che l'economia stia peggiorando, e per l'83% il paese ha intrapreso la strada sbagliata, ma c'è più ottimismo rispetto a maggio, anche se i pareri pessimisti sul futuro sono in netta maggioranza.
Gli americani sono invece più pessimisti riguardo una soluzione per la crisi in iraq. Per il 61% l'Iraq non diventerà mai una democrazia stabile, e quelli che invece pensano che lo diventerà ritengono comunque che ci vorranno più di due anni. Il 42% vuole che le truppe rientrino nel giro di un anno o meno, il 21% vuole che le truppe rimangano per non più di uno o due anni, il 30% ritiene che debbano rimanere più di due anni.

Qui il risultato completo del sondaggio.

Perchè la Clinton ha fallito

di Rebecca Sinderbrand (CNN)

In politica, come nella vita, non esistono scommesse vinte in partenza. Ma Hillary Clinton ci è andata vicino.
L'annuncio ufficiale di volersi candidare alle primarie era una formalità in vista di una nomination che sembrava talmente sicura che i Repubblicani già nel 2007 dibattevano su chi fosse il miglior candidato da contrapporre alla Senatrice di New York.
La Clinton aveva una lista quasi interminabile di punti a proprio favore, ma erano tre quelli più importanti.
Il primo era suo marito Bill, l'ex Presidente che è tuttora in cima alla lista dei capi di stato più amati e dei Democratici più influenti.
Un altro era il fatto che da decenni la Clinton è un personaggio pubblico, contando anche i due mandati da First Lady, e questo era l'ideale per rassicurare gli elettori più dubbiosi.
Infine, la sua candidatura era definita sin dall'inizio "inevitabile", scoraggiando buona parte dei possibili avversari più pericolosi.

Ma una volta cominciata la corsa, questi vantaggi si sono trasformati in debolezze croniche e irrimediabili. La sua immagine di leader esperta l'ha esposta ad attacchi su due fronti: da parte di chi metteva in discussione la portata di questa esperienza, e da parte di chi chiedeva un volto nuovo.
Il pensiero di una Clinton che succede a un Bush, che è seguito a un Clinton che era seguito a un Bush non si è adattato all'umore del paese. Il suo voto a favore dell'uso della forza in Iraq sembrava una mossa prudente nel momento in cui il suo obiettivo era conquistare il supporto degli indipendenti, ma nel 2007 il sentimento degli elettori - e della base del partito- si è spostato decisamente contro la guerra in iraq.
Gli sforzi della Clinton di proporsi come lottatrice, hanno riesumato ricordi sepolti nella memoria collettiva: prima di queste primarie, gli anni '90 erano ricordati come un'era di benessere, di crollo della criminalità e di grandi opportunità. La retorica della Clinton ha riportato alla luce l'altra faccia della medaglia, le guerre interne al partito e la battaglia più grande di tutte: il tentato impeachment del marito per la relazione con una stagista della Casa Bianca.
Bill Clinton è sembrato lontano dal sentimento nazionale, parlando come un politico che non ha niente da perdere e alienandosi il sostegno degli indecisi. Ha rubato spesso la scena alla moglie sollevando preoccupazioni sulla sua influenza e contribuendo all'impressione che votare Hillary avrebbe significato di fatto un terzo mandato di Bill.
Quando poi Barack Obama ha cominciato a mietere successi, il consenso di Hillar fra i neri si è rposciugato.

Tutte queste difficoltà si sarebbero potute superare, se l'organizzazione che la Clinton aveva messo in piedi non avesse fallito praticamente in tutto.
Si è lasciata sfuggire nomi importanti - come Steve Hildebrand, oggi vice capo dello staff di Obama - in favore di vecchi amici con esperienza decisamente minore, come Patti Solis Doyle e il discusso stratega Mark Penn.
Il tipo di comunicazione messo in piedi da Pennsi è rivelato un fallimento, rovinando la popolarità della Clinton, e la Solis Doyle ha fatto evaporare gli ingenti fondi raccolti.
Le lotte intestine allo staff, e la decisione di candidarsi nei caucus dell'Iowa anche se molti le avevano consigliato di partire direttamente dal New Hampshire, le sono stati fatali.
La sconfitta in Iowa ha dissolto istantaneamente l'aura di inevitabilità e ha spedito la campagna elettorale in una crisi da cui non si è mai pienamente ripresa.
Una campagna costruita per chiudersi la prima settimana di febbraio si è trasformata in una maratona ad ostacoli. Ogni volta che lo staff si preparava a coprire gli stati successivi al Super Tuesday, trovava già il territorio occupato dalla macchina organizzativa di Obama.
Lo staff si è trovato con un deficit di diversi milioni di dollari, e alla fine della campagna Obama aveva il doppio o il triplo degli operativi della Clinton.

La prima donna ad avere una seria possibilità di arrivare alla Presidenza ha dovuto poi fronteggiare sfide inedite: esprimere emozioni senza apparire emotiva, dimostrare forza ma anche ammettere errori senza apparire debole.
I suoi attacchi ad Obama le sono costati attacchi, ma quando si è lasciata andare - come alla vigilia del voto in new Hampshire - è stata ugualmente criticata.
alcune sue dichiarazioni le sono costate l'ostracismo dei leader del partito. Icone Democratiche come John Edwards ed ex amici della senatrice come Bill Richardson sono passati dalla parte di Obama.
Nel frattempo i ruoli politici si sono capovolti, e i Democratici si sono trovati costretti a cercare un candidato da contrapporre a John McCain.

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domenica 8 giugno 2008

Le elezioni che hanno fatto storia: 1960

Le elezioni presidenziali del 1960 segnarono la fine dell'era politica del Repubblicano Dwight Eisenhower, il primo Comandante in Capo a dover sottostare al 22°emendamento, che stabiliva un massimo di due mandati per il Presidente USA.

Per la selezione del candidato Repubblicano non ci fu partita. Eisenhower appoggiò incondizionatamente il suo vice, Richard Nixon. Il Governatore di New York Nelson Rockfeller, il leader dell'ala moderata e "di sinistra" del GOP nel 1959 aveva annunciato l'intenzione di candidarsi, ma dopo un tour elettorale decise di non presentarsi perchè il paese era schierato in grande maggioranza per Nixon. Non si tennero vere e proprie primarie, e Nixon alla convention ottenne la quasi totalità dei delegati - dopo che anche Barry Goldwater si fece da parte - e scelse Henry Cabot Lodge come vice.


Molto più combattuta fu la partita in casa Democratica. Ai nastri di partenza si presentarono Lyndon Johnson (leader del partito), Adlai Stevenson (sconfitto da Eisenhower nelle presidenziali del 1952 e del 1956), Hubert Humphrey, Stuart Symington (uomo d'affari ed ex ministro dell'aviazione), Pat Brown, e il giovane senatore cattolico John Fitzgerald Kennedy.
Johnson, presidente del partito dal 1953, era il naturale favorito ed aveva alle spalle tutto l'establishment del DNC. La certezza della nomination lo portò a decidere di non presentarsi alle primarie (che fino a quel momento si tenevano solo in 14 stati) ma di attendere direttaemente la convention, sicuro di avere la maggioranza dei delegati.
La sfida nelle primarie fu quindi da Kennedy e Humphrey, gli unici due candidati a poter aspirare alla vittoria. Kennedy dovette affrontare due diversi pregiudizi, il primo sull'età (non aveva ancora 43 anni, e fino a quel momento non c'era ancora stato un Presidente USA nato nel XX secolo) e il secondo sulla religione (non c'era ancora stato un Presidente cattolico). In particolare quest'ultimo causava perplessità nel partito, memore della sconfitta del cattolico Al Smith nel 1928. Kennedy sfidò Humphrey prima nel Wisconsin, dove vinse grazie ai voti dei cattolici, e poi nella West Virginia, stato a maggioranza protestante e pervaso da un profondo sentimento anti-papista. Qui Kennedy ottenne il 60% dei consensi, anche grazie alla perfetta macchina organizzativa della sua campagna elettorale, e costrinse Humphrey a ritirarsi.
Pur perdendo la California (in cui stravinse il Governatore Pat Brown), Kennedy conquistò 10 stati e quasi due milioni di voti, girando per gli USA e convincendo i delegati degli altri stati a sostenerlo alla convention.

La convention Democratica si tenne a Los Angeles all'inizio del mese di luglio, e Johnson aveva ancora un numero di delegati superiore a quello di Kennedy. Il leader del partito sfidò il giovane rivale in un pubblico dibattito, in cui però fu Kennedy ad avere la meglio. Grazie ad uno staff guidato dal fratello Robert, Kennedy conquistò altri delegati indecisi mentre Johnson non riuscì ad espandere il suo consenso negli stati del Sud. Durante la convention, alcuni supporter di Johnson misero in giro la voce che Kennedy avesse il morbo di Addison, una disfunzione ghiandolare, ma la notizia si rivelò falsa.
I delegati votarono, e Kennedy vinse al primo colpo, conquistando 806 voti contro i 409 di Lyndon Johnson. Subito dopo, con una mossa che stupì molti, JFK offrì al rivale la vicepresidenza.
Sono diverse le versioni su questo punto della storia. Alcuni storici ritengono che Kennedy abbia offerto la vicepresidenza a Johnson solo come atto di cortesia, mentre il suo vero obiettivo era Symington, e che fu molto sorpreso da vedere accettata l'offerta. Secondo altri, Johnson sarebbe stato dubbioso sul da farsi, ma dopo che Robert Kennedy lo affrontò a muso duro chiedendogli di stare fuori dal ticket, il leader del partito chiese un chiarimento a JFK, che gli ribadì la sua stima. A questo punto Johnson accettò.
Comunque siano andate le cose, la mossa si rivelò azzeccata, perchè la presenza di Johnson nel ticket portò a Kennedy i voti di cui aveva bisogno.


Sia Kennedy che Nixon condussero una campagna elettorale accompagnata da una folla entusiasta. Ad agosto i sondaggi davano Nixon leggermente in vantaggio, ma il vice-presidente incontrò diversi intoppi, anche dal suo stesso partito. In una conferenza stampa, al Presidente Eisenhower fu chiesto di citare un consiglio di Nixon che gli era risultato particolarmente utile; il Presidente, di cui era nota l'antipatia verso il suo n° 2, rispose con la famosa battuta "Se mi date una settimana di tempo posso farmene venire in mente uno". I Democratici utilizzarono la frase come slogan per danneggiare la reputazione di Nixon. Ad agosto Nixon si ferì al ginocchio, e a causa di un'infezione fu costretto ad interrompere la campagna elettorale. Poichè aveva promesso di visitare tutti gli stati, quando venne dimesso dall'ospedale decise di mantenere la promessa perdendo così tempo prezioso in stati inutili ai fini della vittoria.
Ma tutti gli analisti vedono il punto di svolta della campagna elettorale nei 4 dibattiti tra Kennedy e Nixon. Il primo dibattito si tenne a pochi giorni dall'uscita dall'ospedale di Nixon, e il Repubblicano insistette per fare campagna elettorale fino a poche ore prima della diretta televisiva, rifiutando inoltre il make-up prima di andare in onda. Davanti a 80 milioni di spettatori, Nixon apparve stanco, sottopeso, sciupato e sofferente, mentre Kennedy era riposato, disteso e perfettamente a suo agio. Si racconta che subito dopo il dibattito, Nixon venne chiamato al telefono dalla madre che gli chiese se fosse malato. Nei tre dibattiti seguenti Nixon fece tesoro degli errori, ma il numero di spettatori non fu paragonabile a quello del primo.
Kennedy tenne un importante discorso davanti ai pastori protestanti del Texas, assicurando che da Presidente avrebbe tenuto separata la Chiesa dallo stato, e non avrebbe permesso nè al Papa nè al clero cattolico di dettargli il programma politico.
Negli ultimi dieci giorni della campagna elettorale, Eisenhower scese finalmente in campo a favore di Nixon, contribuendo a riportare in equilibrio i sondaggi.


Le elezioni si tennero l'8 novembre. I primi risultati provenienti dai grandi stati diedero a Kenney una larga leadership, che si andò però assottigliando man mano che giungevano i risultati del Midwest e delle zone rurali. Solo nel pomeriggio del 9 novembre Nixon si decise ad ammettere la vittoria di Kennedy, che fu comunque una delle più risicate fino a quel momento: 34.220.984 elettori per il Democratico, pari al 49,7% e a 303 Grandi Elettori, e 34.108.157 elettori per Nixon, pari al 49,5% e a 219 Grandi Elettori, con 26 stati vinti contro i 22 di Kennedy. Alcuni storici ritengono tuttavia che in Texas ed Illinois il voto non sia stato regolare, e che Nixon avesse in realtà vinto quegli stati, che gli avrebbero consentito di diventare Presidente. Molti si sono spinti ad accusare la macchina organizzativa di Johnson di aver fatto brogli elettorali. I Repubblicani cercarono di spingere Nixon a chiedere un riconteggio, ma lui si rifiutò. John F. Kennedy diventò quindi il 35° Presidente degli Stati Uniti, il più giovane eletto (Theodore Roosevelt era di qualche mese più giovane ma diventò Presidente subentrando a McKinley che fu assassinato) e il primo (e finora unico) cattolico.