sabato 1 novembre 2008

Finale di partita: 1 novembre

Post in aggiornamento
Calendario di sabato:
McCain ha in programma due comizi a Newport News e a Springfield, in Virginia, mentre nel pomeriggio arriverà a Perkasie, in Pennsylvania.
Obama parteciperà a tre eventi in tre stati diversi: Nevada, Colorado e Missouri. Domani approferà in Ohio.
Sarah Palin passerà buona parte della giornata in Florida, per poi spostarsi in North Carolina e Virginia.
Biden sarà invece in Indiana e Ohio.

I sondaggi di oggi:
Nazionali: Obama 52, McCain 41 (Gallup, elettori registrati), Obama 52 McCain 42 (Gallup, probabili votanti), Obama 52, McCain 42 (Gallup, elettori tradizionali)
Obama 51, McCain 46 (Rasmussen)
Obama 49,1 McCain 44,1 (Zogby)
Obama 51, McCain 44 (Diego/Hotline)

Pennsylvania: Obama 51, McCain 47 (Rasmussen) Obama 52, McCain 44 (Morning call)
North Carolina: Obama 50, McCain 48 (Rasmussen)
Oregon: Obama 54, McCain 42 (Rasmussen)
Iowa: Obama 53, McCain 39 (Research 2000)
Wisconsin: Obama 52, McCain 52 ((niversity of Wisconsin)

Diario della giornata:
David Axelrod chiarisce cosa intende Obama quando dice che nella sua amministrazione non ci sarà spazio per i lobbysti "Il nostro obiettivo è impedire che certe persone lascino un'industria per entrare nella nostra amministrazione, lavorare su temi collegati alla loro industria e poi tornare in quella industria. Questo non significa che chiunque abbia fatto il lobbysta nella sua vita sarà escluso dall'amministrazione".

Un'impiegata statale dell'Ohio ha rivelato di aver ricevuto dai suoi superiori l'ordine di esaminare i documenti relativi a "Joe l'idraulico" il giorno dopo il terzo dibattito presidenziale. Il Governatore Democratico Strickland nega di essere l'autore della richiesta.

Associated Press ha scoperto che la sorella del padre di Obama vive come clandestina a Boston. Quattro anni fa aveva provato ad ottenere il permesso di soggiorno ma le era stato dato il foglio di via. Obama ha dichiarato di non essere a conoscenza della condizione di sua zia e ha restituito le donazioni che la donna gli aveva fatto.

Zogby ha annunciato che nelle rilevazioni relative alla giornata di venerdì, per la prima volta da settimane McCain ha superato Obama di un punto.

Gli scheletri nell'armadio: McCain e il Vietnam

Il Vietnam è un buco nero che irrimediabilmente inghiotte le reputazioni di chi ci ha avuto a che fare. John Kerry, decorato con la Purple Hearts, è stato accusato dai suoi ex commilitoni di aver "gonfiato" i resoconti sulle sue azioni militari. Colin Powell è stato accusato di aver fatto carriera nell'esercito per essersi impegnato a coprire la verità sul massacro di civili avvenuto a My Lai, e su cui era incaricato di indagare.
La storia di John McCain è diversa, lui ha passato cinque anni e mezzo da prigioniero di guerra, e ne porta ancora i segni. Ciononostante, le opinioni su quanto gli è accaduto non sono unanimi.
L'aereo di McCain fu abbattuto in Vietnam nel 1967, e già su questo evento ci sono diverse versioni: alcuni commilitoni ricordano che McCain era un pilota eccessivamente spericolato e "spaccone", altri al contrario ricordano che in quei mesi del luglio 1967, a fronte dei numerosi aerei militari abbattuti dai Vietcong, McCain era partciolarmente spaventato tanto da non rispettare le disposizioni dei superiori.
Fatto sta che l'aereo venne colpito, McCain azionò il meccanismo di espulsione del seggiolino ma perse i sensi nell'impatto con l'aria. Precipitò e nell'impatto si fratturò la gamba sinistra in più punti ed entrambe le braccia. Venne recuperato da alcuni civili vietnamiti che lo picchiarono, gli fracassarono una spalla con il calcio di un fucile e gli trafissero il piede con una baionetta, prima di consegnarlo ai soldati. I quali lo avrebbero lasciato morire se non avessero scoperto che era il figlio dell'Ammiraglio McCain, in procinto di assumere il comando della flotta americana nel Pacifico.
A quel punto, secondo la versione ufficiale, McCain sarebbe diventato una preziosa merce di scambio, sarebbe stato curato ma, al suo rifiuto di collaborare, sarebbe stato sottoposto ad anni di prigione dura e torture.
Alcuni compagni di prigionia raccontano però versioni diverse. Sarebbe stato proprio McCain, in fin di vita, a rivelare la sua identità ai carcerieri chiedendo di essere curato, e contravvenendo alle regole previste dall'esercito americano per i soldati fatti prigionieri.
Secondo i detrattori, McCain avrebbe collaborato con i militari vietnamiti fornendo informazioni. Un compagno di prigionia ricorda di averlo sentito fornire ai vietnamiti un elenco di obiettivi che gli americani volevano colpire. Anche sulle torture, McCain avrebbe mentito: dopo essere stato curato, non avrebbe più subito maltrattamenti, e i segni che porta tuttora sarebbero conseguenza delle ferite procuratesi nella caduta dell'aereo, e non delle torture. Uno dei carcerieri, che McCain ha poi incontrato e perdonato, ha recentemente confermato che l'americano non sarebbe mai stato torturato.

Ad avvalorare i dubbi dei detrattori di McCain, c'è il fatto che una volta terminata la prigionia e divenuto membro del Congresso, il Repubblicano avrebbe usato l'influenza sua e della sua famiglia per far secretare tutti i documenti relativi ai cinque anni nelle mani dei vietnamiti, che tuttora sono permanentemente sotto segreto di stato.
Un'altra questione relativa al Vietnam è quella che riguarda gli americani MIA (Missing In Action). Nonostante il Vietnam abbia sempre sostenuto di avere restituito tutti i prigionieri, infatti, sono ancora molti a credere che ne fossero rimasti indietro una notevole quantità. Sono cosi nate delle associazioni che hanno ripetutamente chiesto al Pentagono di rendere pubblica la documentazione sui MIA, ma non sono mai state ascoltate. La Camera approvò però una legge che obbligava gli ufficiali a rivelare tutto quello di cui erano a conoscenza sui MIA, ma la legge fu respinta dal Senato. Tra i più strenui oppositori della legge, c'è stato John McCain. Le associazioni dei familiari e dei veterani chiesero e ottennero allora la nomina di una commissione di inchiesta sui prigionieri e i MIA. McCain riuscì a ottenere la presidenza della commissione e usò ogni mezzo per respingere tutte le richieste di apertura degli archivi riservati relativi al Vietnam. Una volta respinto l’ennesimo attacco dei familiari, McCain pensò bene di presentare lui stesso una legge – poi approvata – che di fatto poneva talmente tanti lacciuoli a una qualunque richiesta di documentazione da scoraggiare anche il più tenace degli attivisti.
Da allora, un piccolo ma agguerrito gruppo di veterani del Vietnam conduce una dura campagna contro McCain. Un piccolo assaggio è sul sito Vietnam Veterans Against McCain in cui McCain è definito "The real Manchurian Candidate", e in cui la foto in cui abbraccia il suo aguzzino vietnamita è accompagnata dall'accusa di aver tradito i suoi commilitoni rimasti indietro.

venerdì 31 ottobre 2008

Finale di partita: 31 ottobre

Post in aggiornamento
Il calendario di venerdì:
Obama attraverserà in giornata l'Iowa e l'Indiana per poi fare ritorno a Chicago. Biden partirà dal suo Delaware per un comizio in Ohio.
McCain passerà l'intera giornata in Ohio per quattro eventi in quattro diverse località. Sara Palin parteciperà a due comizi in Pennsylvania.
Al Gore e sua moglie Tipper terranno invece dei comizi per Obama in Florida, proprio lo Stato che costò la presidenza a Gore nel 2000.
Il governatore della California Arnold Schwarzenegger interverrà al comizio di McCain a Columbus, in Ohio.

I sondaggi di venerdì:
Nazionali: Obama 50, McCain 42 (Gallup, elettori registrati), Obama 51, McCain 44 (Gallup, probabili votanti), Obama 50, McCain 45 (Gallup, elettori tradizionali).
Obama 51%, McCain 46% (Rasmussen)
Obama 50,1%, McCain 43,1% (Zogby)
Obama 52, McCain 41 (CBS, New York Times)
Obama 50, McCain 43 (Marist College)

Michigan: Obama 53, McCain 43 (Rasmussen)
North Carolina: Obama 48, McCain 48 (Politico, Insider Adv)
Missouri: McCain 50, Obama 47 (Politico, Insider Adv)

Diario della giornata:
Obama e McCain vengono intervistati da USA Today.
La campagna di Obama annuncia di aver comprato nuovi spazi televisivi in stati Repubblicani come la Georgia, il North Dakota e l'Arizona.
Lo staff di Obama fa scendere dall'aereo della campagna tre giornalisti appartenenti a testate che hanno fatto endorsement per McCain

AP e Yahoo hanno condotto un sondaggio tra gli indecisi, che rappresenterebbero il 14% dell'elettorato. In maggioranza sono bianchi e moderati, molti di loro erano sostenitori della Clinton, in maggioranza hanno un'opinione positiva della Palin. I 2/3 di questi elettori esprimono frustrazione e rabbia rispetto alla campagna elettorale e disaffezione verso la politica.
Tra gli indecisi, il numero di chi tende maggiormente verso Obama è pari a quello di chi preferisce McCain.

giovedì 30 ottobre 2008

Il megaspot di Obama approda in tv

I fuochi artificiali (mediatici) del rush finale della campagna di Obama sono cominciati ieri sera. Mentre il candidato Democratico appariva per la prima volta in pubblico a fianco di Bill Clinton, in Florida, la CBS, la NBC e la Fox (e le tv via cavo Univision, BET, Tv One e MSNBC) hanno mandato in onda un programma di mezz'ora pagato dalla campagna di Obama. Un "infomercial" con cui Obama si è rivolto agli elettori indecisi, e ha investito i milioni di dollari ancora nelle sue casse. Il megaspot ha riepilogato la vita e il programma di Obama, e si è concluso con un messaggio del Senatore dal suo studio, arredato a immagine e somiglianza dello Studio Ovale, in modo da dargli il più possibile un'aria presidenziale. Nei 27 minuti di spot, Obama compare vicino a pensionati, lavoratori, donne, e risponde alle loro domande. Compare anche Ted Strickland, Governatore dell'Ohio, che spiega in cosa consiste la politica fiscale di Obama.

Un fatto del genere ha pochi precedenti, solo Ross Perot nel 1992 aveva provato ad acquistare dei grandi spazi televisivi, ma i suoi spot sono unicamente ricordati per essere mortalmente noiosi. Lo spot di Obama, girato da Davis Guggenheim, il regista del documentario di Al Gore "An Inconventient Truth", sembra invece un breve film, ed è infatti risultato il programma più seguito nella fascia oraria delle 20.00, totalizzando 7.920.000 di spettatori su Fox, 8,650.000 sulla CBS e 9.850.000 sulla NBC. L'unico dei grandi network a non trasmettere lo spot, la ABC, nella stessa fascia oraria si è dovuta accontentare di 6.640.000 spettatori per un episodio della serie "Pushing Daisies". In totale, lo spot è stato visto dal 21,7% degli americani, una share che sale al 29% in Pennsylvania.
Ecco lo spot

Si prepara il passaggio di consegne

Anche se la scaramanzia vieta di parlarne in pubblico, gli staff dei due candidati stanno mettendo a punto il programma per l'insediamento alla Casa Bianca, che avverrà ufficialmente a gennaio ma che prevede una serie di passaggi obbligati nei 77 giorni a partire dalle elezioni. E soprattutto, molti preparativi devono partire già dalle settimane precedenti l'Election Day, visto anche che questa è la prima transizione in tempo di guerra da 40 anni a questa parte.
Barack Obama ha affidato l'organizzazione del possibile insediamento a John D. Podesta, già capo dello staff di Bill Clinton. Per McCain, la transizione sarà invece curata da William E. Timmons, un lobbysta vicino alla Freddie Mac che, in caso di vittoria, potrebbe essere affiancato da John Lehman, Segretario alla Marina nell'amministrazione Reagan. I rappresentanti dei due candidati hanno già avuto incontri con l'organizzazione della Casa Bianca.
Un aspetto di prima importanza nella fase di transizione, è la scelta dei membri dell'Amministrazione, a partire dai ruoli chiave del Segretario di Stato e del Segretario al Tesoro.
In questi giorni, i consiglieri dei candidati stanno valutando i pro e i contro dei molti nomi papabili per le posizioni. E' un'operazione più delicata per Obama, mentre McCain dovrebbe voler portare con sè i colleghi e i collaboratori di lunga data.
Il New York Times ha provato a stilare una lista per il "toto-gabinetto" dei due nominati.
Per quanto riguarda Obama, non a caso, è ancora in alto mare la decisione riguardante il Segretario di Stato, e i nomi che si fanno sono ancora estremamente ipotetici: si parla di Richard Lugar (che ha la particolarità di essere Repubblicano), l'ex candidato presidenziale John Kerry o l'ex Ambasciatore Usa all'ONU dell'amministrazione Clinton, Richard Holbrooke.
Per quanto riguarda il posto di Capo dello staff (il vero braccio destro del Presidente), si fanno insistenti le voci riguardanti Tom Daschle, ex leader della maggioranza al Senato, e in seconda battuta l'ex Segretario al Commercio William Daley o lo stesso Podesta. Per quanto riguarda il delicato posto di Segretario al Tesoro, Obama vedrebbe con favore Timothy F. Geithner, presidente della Federal Reserve Bank di New York. Per il ruolo di consigliere per la Sicurezza Nazionale, altro ruolo delicatissimo, si fanno i nomi di James Steinberg o di Susan Rice, entrambi consiglieri sotto la presidenza di Bill Clinton. I "guru" della campagna elettorale, Plouffe e Axelrod, entrerebbero come consiglieri o addetti alle comunicazioni. Nell'ottica di uno sforzo bipartisan, Obama potrebbe chiedere all'attuale Segretario alla Difesa, Robert M. Gates, di rimanere al proprio posto, come aveva annunciato nei mesi passati.
Anche McCain potrebbe chiedere a Gates di rimanere al suo posto, o potrebbe anche lui guardare al partito avversario (più o meno) affidando l'incarico al Senatore Democratico Joe Lieberman, che comunque dovrebbe entrare a far parte dell'amministrazione in ogni caso, forse addirittura come Segretario di Stato. Per il posto di Segretario al Tesoro, McCain potrebbe rivolgersi all'amministratore della banca Merril Lynch John A. Tain o al presidente della World Bank Robert B. Zoellick. McCain porterebbe con sè anche buona parte del suo attuale gruppo di collaboratori più stretti, e quindi il ruolo di Capo dello staff potrebbe andare a Lehman, o a Rick Davis, Mark Salter o Randy Scheunemann, tutti nomi che comunque entreranno alla Casa Bianca come consiglieri.

Fonte: New York Times

mercoledì 29 ottobre 2008

Vademecum: il sistema elettorale americano

Per eleggere il Presidente, la Costituzione degli Stati Uniti prevede un sistema ibrido che è rimasto invariato sin dai tempi di George Washington. All'indomani dell'Indipendenza, gli Stati dell'Unione si trovarono davanti alla necessità di dare vita ad un sistema legislativo e politico che tenesse conto dei diritti e dell'autonomia dei singoli stati ma che avesse una forma unitaria. Basandosi sulla divisione dei poteri teorizzata da Montesquieu, la Costituente delegò il potere legislativo al Congresso, formato dalla Camera dei Rappresentanti - espressione del popolo - e dal Senato - espressione degli Stati, il potere giudiziario ai tribunali, controllati dalla Corte Suprema, e il potere esecutivo al Presidente.
Il metodo con cui eleggere il Presidente fu però motivo di grande perplessità. L'ipotesi di farlo eleggere dal Congresso fu scartata quasi subito, in quanto privava il Presidente dell'approvazione diretta del popolo, lo rendeva troppo legato al Congresso e presentava rischi di corruzione dei membri del Parlamento da parte di potenze straniere.
L'ipotesi di farlo eleggere direttamente dal popolo, pur supportata da illustri rappresentanti, presentava il rischio che gli elettori votassero i candidati provenienti dal proprio Stato, senza contare che all'epoca era difficile per un candidato farsi conoscere ovunque, e che nella maggior parte degli Stati l'elezione diretta non era prevista neppure per i Governatori.
Si arrivò così alla soluzione di compromesso dei Grandi Elettori. Questi sarebbero stati eletti dal popolo su base statale e a loro sarebbe stato demandato il compito di eleggere il Presidente. Il sistema per l'elezione dei Grandi Elettori sarebbe stato regolato dalla legislazione di ogni stato ma avrebbe dovuto rispettare una serie di criteri dettati a livello federale per tutti gli Stati. Ciascuno Stato nelle presidenziali ha diritto a tanti delegati quanti sono i suoi congressisti nazionali (senatori più rappresentanti e, considerato che questi ultimi sono in proporzione al numero degli abitanti, più lo Stato è popolato maggiore è il numero dei suoi rappresentanti e, quindi, dei delegati da eleggere). Anche il Distretto di Columbia ha diritto a un voto elettorale.
Da Stato a Stato cambia anche il tipo di formulazione della scheda: nei due terzi degli Stati la scheda presenta solo i nomi dei candidati alla presidenza e alla vicepresidenza. In 14 Stati sulla scheda c'è anche il nome dei rispettivi Grandi Elettori, mentre in uno Stato ci sono solo i nomi dei Grandi Elettori. Il sistema di allocazione dei Grandi Elettori è quello del "winner-take-all".
I Grandi Elettori vengono scelti dai partiti tra le persone che si sono distinte per l'attività politica, ma non possono essere rappresentanti del Congresso. Una volta eletti, i Grandi Elettori si riuniscono, ognuno nel proprio Stato, 41 giorni dopo l'Election Day per ufficializzare il proprio voto. La Costituzione non prevede che i Grandi Elettori siano vincolati al risultato elettorale, ma alcuni Stati lo specificano. Per diventare Presidente, un candidato deve ricevere almeno 270 dei 538 voti elettorali disponibili. In caso questo quorum non venga raggiunto, spetta alla Camera dei Rappresentanti scegliere tra i tre candidati con il maggior numero di voti. La procedura prevede che in ambedue le Camere ogni Stato abbia diritto a un voto e che il quorum necessario venga raggiunto con il voto di due terzi degli Stati; la maggioranza (26) dei voti degli Stati e' necessaria per l'elezione del Presidente. Nell'ipotesi in cui la delegazione di uno Stato sia divisa a meta' circa il candidato da votare, quello Stato perde la possibilita' di esprimere il suo voto. Per cio' che riguarda invece il Senato, ogni senatore ha un voto e il quorum viene raggiunto con i due terzi dell'intero numero di senatori, che e' di cento. Il Presidente viene eletto con il voto della maggioranza dei componenti del Senato (51). Qualora si arrivi al giorno dell'Inaugurazione senza aver raggiunto il quorum, il Vice presidente (se eletto) farà funzioni di Presidente fino all'elezione. Se non sarà stato raggiunto il quorum neppure per il Vice presidente, il compito di facente funzioni spetterà allo Speaker della Camera. La Camera ha dovuto eleggere il Presidente solo due volte: nel 1800 (Thomas Jefferson) e nel 1824 (John Quincy Adams). La legge elettorale non prevede deroghe, e infatti si è votato regolamente anche in periodi di guerra. Negli ultimi decenni si è invece diffusa la pratica del voto anticipato, per posta o in apposite "voting machine".
Tra i vari problemi presenti in questo sistema elettorale - che più volte si è proposto di riformare - il più intuibile è che può accadere che un Presidente raggiunga la maggioranza dei Grandi Elettori pur non avendo ottenuto la maggioranza nel voto popolare. E' quanto successo nel 2000, con George Bush che è diventato Presidente nonostante Al Gore avesse ottenuto più voti di lui. In precedenza era successo a John Quincy Adams nel 1824, a Rutherford Hayes nel 1876 e a Benjamin Harrison nel 1888.

martedì 28 ottobre 2008

Il cammino di McCain è in salita, ma può ancora vincere

di Adam Nagourney (New York Times)

Il Senatore McCain si sveglia ogni mattina con quello che è diventato un normale saluto in queste ultime settimane. Un mucchio di sondaggi che lo danno indietro. Post-mortem alla sua candidatura. Anche i Repubblicani parlano di lui al passato.
Ma è davvero finita?
Nel rush finale, i suoi consiglieri vedono ancora qualche possibilità di vittoria. "McCain è grossomodo nella posizione in cui era Al Gore una settimana prima delle elezioni del 2000" ha detto Steve Schmidt, stratega di McCain "Abbiamo della strada da fare, ma siamo fiduciosi".
Anche il più sfegatato sostenitore di McCain sa che non sarà facile, e ci sono molti Repubblicani che dicono che ormai la questione è chiusa. A questo punto, le chances di vittoria di McCain sono riposte in eventi che lui non può controllare. Tuttavia, ci sono talmente tanti punti interrogativi da rimandare per McCain il viaggio di ritorno in Arizona.
Ecco cos'è che i consiglieri di McCain guardano fiduciosamente (e quelli di Obama con preoccupazione) nei giorni finali.

Stati
I consiglieri di McCain spiegano che le chances di vittoria stanno nel recuperare gli stati Repubblicani in cui Obama è in vantaggio: la Florida, dove McCain è stato la settimana scorsa, l'Indiana, il Missouri, la North Carolina, l'Ohio e la Virginia. Riconquistando tutti questi stati, e mantenendo quelli in cui è in vantaggio, si porterebbe a 260 dei 270 Grandi elettori necessari per vincere. Per vincere, dovrebbe sottrarre la Pennsylvania ai Democratici, oppure conquistare una qualche combinazione di Colorado, Nevada, New Hampshire e New Mexico.
E' la Virginia a dare più preoccupazioni, mentre c'è fiducia sul fatto che il recupero in Pennsylvania possa voler dire vincere anche in Ohio e Florida. Difficile ma non impossibile.

Temi
Due temi sono venuti a galla negli ultimi giorni, colpa di alcune frasi inopportune di Obama e di Joe Biden. Entrambi hanno parlato troppo, ed è presto per dire se la cosa avrà l'effetto che i Repubblicani sperano.
Obama, rispondendo all'idraulico che in Ohio gli chiedeva spiegazioni riguardo la sua proposta di aumentare le tasse, ha detto di voler "distribuire la ricchezza". Questo ha dato l'opportunità a McCain di tornare alla carica sull'argomento dell'aumento di tasse, che storicamente fa grande presa in stati come Iowa, Florida e New Hampshire. "Crediamo che il tema delle tasse ci darà slancio" confessa Charlie Black, consigliere di McCain.
Non è un caso che Obama nei comizi in Florida spenda più di dieci minuti a spiegare che non aumenterà le tasse al ceto medio.
Joe Biden si è invece lasciato sfuggire che una crisi internazionale testerà la preparazione di Obama nei primi mesi di presidenza. Questa frase va al cuore della tesi di McCain per cui il prossimo Presidente debba avere la capacità di gestire situazioni delicate. Nessuno nella campagna di Obama nega il danno procurato dalle affermazioni di Biden, ma sperano che l'endorsement di Colin Powell serva a controbilanciarle.

Sondaggi
I sondaggisti sostengono che non c'è mai stata un'elezione in cui le analisi siano state più problematiche, vista l'incertezza su chi andrà a votare. Se a livello nazionale il distacco di Obama è ampio, in molti stati Obama e McCain sono testa a testa. Anche il più piccolo errore statistico potrebbe assegnare alcuni stati chiave a McCain rendendo possibile la sua vittoria.
L'altra questione è se ci sia resistenza da parte degli elettori bianchi a votare un afro-americano, fattore potenzialmente problematico in Ohio e Pennsylvania.

Affluenza
Obama ha enormemente ampliato il numero di elettori, soprattutto tra i giovani e gli afro-americani, che solitamente non vanno a votare in grandi percentuali. La questione è però se questi giovani che dovrebbero votare per la prima volta andranno davvero a votare.
La campagna di McCain confida nel fatto che chi si registra per votare (cosa che può avvenire anche porta a porta) non va automaticamente a votare. Tuttavia in Florida, dove le operazioni di voto sono iniziate nella parte sud, sembra che l'affluenza sia quella che i Democratici si aspettavano.
Ma sono ugualmente un po' preoccupati.
"Siamo molto preoccupati dall'autocompiacimento" confessa David Axelrod, stratega-capo di Obama. "Abbiamo paura che qualcuno pensi che abbiamo già vinto e che perciò non occorre andare a votare. Non è così, e se i nostri elettori credono questo per noi sarà un problema".

Copyright 2008 The New York Times Company

lunedì 27 ottobre 2008

Cresce la tensione tra McCain e la Palin

A poco più di una settimana dall'Election Day, la tensione latente tra John McCain e Sarah Palin, o meglio tra i rispettivi staff, è in procinto di esplodere, tanto che gli assistenti di McCain non si trattengono dal riferire alla CNN che la Palin ha "preso la sua strada".
Il fatto che i due candidati Repubblicani, dopo l'iniziale concordia, abbiano condotto quelle che sembravano due campagne elettorali separate e per certi versi contraddittorie, aveva già dato adito a voci sui dissidi interni, ma adesso sembra l'ora di una anticipata resa dei conti. E anche gli assistenti della Palin non esitano ad esporsi, accusando lo staff di McCain di essersi intromesso troppo nella campagna della Palin cercando di manipolarla e farla apparire diversa da com'è.
Il sospetto che sottende al comportamento dello staff della Palin è che il campo di McCain voglia addebitare alla Governatrice dell'Alaska la colpa di una possibile sconfitta elettorale.
In effetti, dopo l'iniziale boom nei sondaggi, seguente alla scelta della Palin come vicepresidente, il consenso verso il ticket Repubblicano è andato costantemente in discesa, e non solo a causa della crisi economica. E se McCain sembra essere ancora in corsa secondo molti sondaggi, il consenso per la Palin, soprattutto tra le donne, è molto basso.
Se in un primo momento la Palin era sulle prime pagine per la sua storia personale e il suo carattere originale, quando ha iniziato a comparire nelle interviste televisive, sono passate in primo piano le sue affermazioni avventate sulla politica estera (la frase riguardo il fatto che da casa sua in Alaska vede la Russia è entrata negli annali delle gaffe elettorali) e sulla Costituzione (la sua definizione delle funzioni del vicepresidente, che a suo avviso si occupa anche della fase legislativa, ha fatto saltare sulla sedia i legislatori e ha fatto eblla mostra di sè nei telegiornali e nei programmi di approfondimento).

Ai primi di ottobre, alcuni Repubblicani avevano chiesto alla Governatrice di farsi da parte, ma questo sarebbe stato un colpo troppo duro per la campagna elettorale, oltre a suscitare i malumori dei conservatori.
Per correre ai ripari, lo staff di McCain ha iniziato a controllare più strettamente la campagna della Palin, istruendola su cosa dire, facendole un lungo training prima del dibattito di Biden e intervenendo sui testi dei suoi discorsi. Ma dopo pochi giorni la Palin si è ribellata, alcuni suoi sponsor conservatori hanno protestato invitando McCain a lasciare che "la Palin facesse la Palin", e lei è ritornata quella di sempre, all'attacco contro Obama e anche contro una parte del paese, definita anti-americana.
La settimana scorsa, sulla campagna elettorale si è abbattuto lo scandalo riguardante i soldi spesi dalla Palin per il proprio guardaroba e per far viaggiare la sua famiglia, il tutto a spese dei contribuenti. Da parte del campo di McCain non è arrivata nessuna difesa, se non un comunicato di circostanza, e la Palin deve essersi sentita "scaricata".
Allo staff di McCain non è andato bene che la Palin abbia pubblicamente criticato la scelta di abbandonare il Michigan. "Fa la diva, non accetta consigli da nessuno e non ha rapporti di fiducia con nessuno di noi" spiega un consigliere di McCain alla CNN "Inoltre pensa solo a se stessa e al suo futuro, probabilmente si vede come il prossimo leader del partito".
Da parte del campo della Palin giungono ovviamente difese a spada tratta della candidata, minimizzando i dissidi con McCain, anche se si riconoscono alcuni errori "Sappiamo che in alcuni casi si sarebbe potuta comportare diversamente" ammette un consigliere della Palin "ma non ci sembra giusto processarla per questo". Intanto la portavoce della Palin, Tracey Schmitt, le ha vietato di tenere conferenze stampa improvvisate, come quella svoltasi la settimana scorsa in Colorado.
Le tensioni tra un candidato e il suo vice non sono insolite. Quattro anni fa John Edwards e il suo staff misero pubblicamente in discussione le strategie decise da Kerry e dai suoi assistenti, i quali d'altronde accusarono Edwards di pensare più al suo futuro che a quello del ticket. Nel 1996 ci fu una vera e propria rottura tra lo staff di Jack Kemp e quello di Bob Dole, e non mancarono tensioni neppure tra Gore e Clinton e tra Quayle e Bush sr.
Ovviamente, in una situazione di svantaggio secondo tutti i sondaggi, è normale che sia già iniziata la ricerca del capro espiatorio da una parte, e l'organizzazione del proprio futuro dall'altra "La Palin non sta più correndo per il 2008, sta correndo per il 2012" spiega il sondaggista Democratico Peter Hart.

domenica 26 ottobre 2008

Le elezioni che hanno fatto storia: 2004

Dopo aver ottenuto la presidenza solo in virtù della decisione della Corte Suprema della Florida riguardo il risultato delle elezioni del 2000, George W. Bush si trovò ben presto a diventare un "Presidente di guerra" a causa degli attacchi dell'11 settembre 2001. Il suo indice di gradimento schizzò al 90% subito dopo gli attacchi, ma i consensi non durarono. La reazione agli attacchi, l'incapacità di catturare Bin Laden, l'invasione dell'Iraq e, in politica interna, l'aumento della disoccupazione e del deficit incrinarono la fiducia nel Presidente. Il 1 maggio 2003, dopo poco più di un mese e mezzo dall'invasione dell'Iraq, Bush annunciò la vittoria, riportando i consensi al 66%. La ripresa dei combattimenti e la perdita di molte vite umane nei mesi successivi fecero di nuovo crollare il gradimento, e non bastò neppure la cattura di Saddam Hussein a dicembre per recuperare seriamente.
Ciononostante, Bush e Cheney ottennero la nomination per un secondo mandato senza dover affrontare rivali. Il Senatore Lincoln Chafee, l'unico Senatore Repubblicano a opporsi alla guerra in Iraq, annunciò di volersi candidare contro Bush ma rinunciò prima dell'inizio delle primarie.


In casa Democratica, i bassi rating di Bush e la volontà di rivalsa dopo le elezioni scippate nel 2000 suscitavano entusiasmo e ottimismo. Dopo il rifiuto di Al Gore di ricandidarsi, il front runner divenne già dall'estate del 2003 l'ex Governatore del Vermon Howard Dean, che mise in piedi una imponente organizzazione "dal basso" raccogliendo cifre record grazie alle donazioni su Internet. Dean si presentò con un programma fortemente orientato a sinistra, populista e incentrato sul ritiro delle truppe americane dall'Iraq, conquistando la leadership in tutti i sondaggi. Joe Lieberman, candidato vicepresidente nel 2000 e ai margini del partito dopo aver appoggiato la guerra in Iraq, provò senza successo ad accreditarsi come il candidato dell'ala moderata. Il veterano del Vietnam John Kerry, Senatore del Massachusetts, aveva annunciato la candidatura già alla fine del 2002 conquistando l'endorsement di Ted Kennedy. John Edwards della North Carolina era in candidato degli stati del Sud. L'ex generale Wesley Clark decise di candidarsi solo a settembre del 2003, troppo tardi per recuperare il distacco dagli altri.
Nei caucus dell'Iowa, il favoritissimo Howard Dean arrivò inaspettatamente terzo dopo Kerry ed Edwards, e iniziò a perdere terreno nei sondaggi. Kery vinse anche in New Hampshire e negli stati del "mini-Tuesday". Dean si ritirò dopo aver perso anche in Wisconsin, lasciando Edwards come unico competitor di Kerry, che intanto aveva conquistato il primo posto nei sondaggi. Dopo che Kerry vinse il Super Tuesday, anche Edwards si ritirò, come avveano già fatto Lieberman e Clark. Dopo aver (a quanto pare) chiesto inutilmente a John McCain di passare nel DNC e diventare il suo vice, Kerry scelse John Edwards come candidato alla vicepresidenza.

Tra i candidati minori, si presentò di nuovo Ralph Nader dopo l'exploit di quattro anni prima.


La campagna elettorale si concentrò principalmente sulla politica estera e la sicurezza nazionale. Bush si accreditò come il Presidente che aveva fronteggiato la più grande minaccia della storia americana, mentre Kerry provò a far valere la propria storia personale di reduce dal Vietnam. Tuttavia il suo originario appoggio alla guerra in Iraq, e la posizione incerta sul ritiro delle truppe gli costarono molto in termini di credibilità e di appoggio da parte dell'ala più liberal del suo stesso partito. Durante l'estate, entrambi i candidati finirono nel mirino a proposito del loro passato militare. Bush fu accusato di non aver portato a termine il suo servizio nella Guardia Nazionale del Texas, ma si difese presentando una documentazione che attestava il contrario, ma sulla cui autenticità sussistevano molti dubbi. Alla vigilia della convention Democratica, Kerry finì nel mirino del gruppo "Veterans for Truth", composto da suoi ex commilitoni del Vietnam che lo accusavano di aver mentito ed esagerato a proposito del suo ruolo in quella guerra e di aver deliberatamente falsificato il racconto del suo impegno nella Marina. L'immagine di Kerry fu irrimediabilmente danneggiata e i Repubblicani ebbero buon gioco nel dipingerlo come un candidato senza polso nè capacità di leadership.
Dopo le convention, Bush guadagnò per la prima volta la testa dei sondaggi arrivando a distaccare Kerry di 14 punti.
Kerry recuperò parzialmente terreno grazie ai dibattiti, in cui provò a mettere Bush sotto accusa per la sua politica estera, e venne generalmente considerato il vincitore, specialmente nel primo dei tre incontri.

Le elezioni si tennero il 2 novembre, e pur non persentando l'esito drammatico di 4 anni prima, non mancarono le controversie. Se in questo caso la vittoria di Bush in Florida fu incontrastata, il risultato in Ohio costrinse a rimandare l'assegnazione della vittoria finale.
Bush ottenne la maggioranza nel voto popolare, con il 50,7% di voti contro il 48,3% di Kerry. In quanto a collegi elettorali, però, una vittoria in Ohio avrebbe consentito al Democratico di superare di due voti il quorum necessario per essere eletto. I Democratici sostennero che le operazioni di voto in Ohio non erano state condotte correttamente, anche basandosi sul fatto che tutti i sondaggi assegnavano la vittoria a Kerry. Il partito e Kerry, tuttavia, decisero di non fare ricorso e il 3 novembre concessero la vittoria a Bush, che con i 20 Grandi elettori dell'Ohio superò il quorum.
Rispetto a 4 anni prima, Bush conquistò New Mexico e Iowa, perdendo il New Hampshire. Il margine di distacco nel voto popolare è stato il più basso mai raggiunto nella vittoria di un Presidente in carica. Uno dei Grandi elettori del Minnesota, al momento di votare per il Presidente, scrisse erroneamente "John Edwards" invece di Kerry.