sabato 7 giugno 2008

Il discorso di congedo di Hillary Clinton


Al National Building Museum di Washington si consuma in questi minuti l'ultimo atto della campagna elettorale di Hillary Clinton, che annuncia il suo ritiro dalla corsa e la sua volontà di sostenere pienamente la candidatura di Obama.

"Questa non è esattamente la festa che avevo in mente, ma sicuramente mi piace questa compagnia e oggi voglio iniziare dicendo quanto sia grata a tutti voi, e in particolare a tutte quelle donne di 80 e 90 anni, nate prima che le donne avessero il diritto di voto, e che quest'anno hanno voluto sostenermi. Continuerò a lottare con voi, i sogni che abbiamo condiviso meritano di essere portati avanti. Il mio impegno verso di voi e verso il progresso che cerchiamo è indissolubile.
Il modo di continuare la nostra battaglia ora, di raggiungere gli obiettivi per cui abbiamo lottato, è prendere le nostre energie, la nostra passione, la nostra forza e fare tutto ciò che possiamo affinchè Barack Obama sia il prossimo Presidente degli Stati Uniti.
Oggi sospendo la mia campagna elettorale, mi congratulo con lui per la sua vittoria e per la sua straordinaria corsa. Lo appoggio e gli dò il mio pieno supporto, e chiedo a tutti voi di unirvi a me nel lavorare duro per Barack Obama come avete fatto per me.
Tutti noi sappiamo che è stata una dura lotta, ma il partito Democratico è una famiglia, è adetto è tempo di rafforzare i legami che ci tengono assieme e di radunarci attorno agli ideali che condividiamo, ai valori che abbiamo a cuore, al paese che amiamo. Possiamo aver percorso strade diverse, ma oggi ci incontriamo.
Alle donne dico, non pensate a quello che sarebbe potuto accadere. Ogni momento che sprecate guardandovi indietro ci impedisce di andare avanti. La vita è troppo breve, il tempo è troppo prezioso e la posta in palio è troppo alta per struggerci su quello che poteva essere. Obama può essere il primo presidente afroamericano. Io potevo essere la prima presidentre donna.. Anch'io mi sono candidata per superare i pregiudizi, nei confronti delle donne. Mi sono candidata come madre pensando a sua figlia
Un giorno vivremo in un'America dove tutti avranno un'assicurazione sanitaria. Per questo dobbiamo lottare perchè Obama venga eletto. Sarà un'America più forte in cui tutti avranno più dignità. Per questo dobbiamo aiutare Barak Obama a essere eletto. Per questo ora dico con lui Yes we can"

Il team di McCain è pronto per le elezioni presidenziali?

di Michael Scherer (TIME)

John McCain sa come vincere con poco. Nessun candidato lo sa fare meglio: dategli un microfono e un pullman a noleggio e conquisterà uno stato con personalità e sincerità, qualche battuta e un po’ di confidenze. Quando ha conquistato la nomination a marzo, il suo team era composto da 90 persone. Un po’ come i Bad News Bears che vincono il campionato nazionale.

Ma la grinta e la fortuna ti portano solo fino a un certo punto. La campagna elettorale autunnale per le presidenziali richiede un’organizzazione massiccia. In più, McCain dovrà fronteggiare il più grande e agguerrito team su piazza. Barack Obama già da sei mesi conduce l’equivalente di una campagna elettorale nazionale, in un mese spende il doppio di quanto McCain riesce a raccogliere nello stesso periodo, ha finora 700 collaboratori e copre già alcuni dei maggiori swing states.
McCain invece sta ancora cercando gli argomenti principali per la campagna elettorale e non ha ancora formato un team. E sta anche provando a creare una campagna elettorale per vincere su larga scala, e i precedenti non lo aiutano: il suo tentativo di presentarsi come il candidato ufficiale del GOP nello scorso luglio si concluse con uno spettacolare fallimento che compromise in maniera quasi irrimediabile la sua corsa nelle primarie.
Tuttavia McCain ostenta fiducia “Sono contento di come sta andando la campagna elettorale” ha detto prima del Memorial Day “stiamo andando molto bene”. Ma anche mentre parlava i problemi spuntavano da tutte le parti.

Quello stesso pomeriggio, McCain è stato costretto ad annunciare il rifiuto dell’endorsement di due discussi pastori evangelici, John Hagee del Texas e Rod Parsley dell’Ohio, il cui appoggio era stato in precedenza cercato, difeso e celebrato come una pietra miliare dell’accordo con la base conservatrice cristiana del partito. Il giorno dopo, la moglie Cindy ha reso pubblica la sua dichiarazione dei redditi dopo aver ribadito per molte settimane di non volerlo fare. Cinque consiglieri di McCain, compreso l’ex rappresentante al Congresso Tom Loeffler, sono stati sollevati dall’incarico per legami con le lobby, e altri probabilmente li seguiranno.
Lo staff sembra in cerca di stabilità. A metà maggio, McCain ha chiesto l’aiuto dell’ex consigliere Mike Murphy, che tra le altre cose ha suggerito di ammorbidire i toni nei confronti di Obama. Inoltre lo staff è stato costretto a indire una conferenza stampa per rassicurare i finanziatori dopo la fuoriuscita di Loeffler.
E le preoccupazioni sono molteplici anche nel partito, in particolare sulla capacità di McCain di reggere quando il gioco si farà duro, e di fronteggiare l’umore del paese, che sicuramente non migliorerà nei prossimi mesi.

Uno dei problemi di McCain sarà trovare l’equilibrio rispetto a George Bush: da un lato deve assicurarsi il consenso dei conservatori lodando la strategia del Presidente in Iraq, ma contemporaneamente deve condannare i risultati di quella strategia. Ora appoggia la politica fiscale del Presidente, che prima osteggiava. Quando Bush, la scorsa settimana, è volato a Phoenix per raccogliere fondi per McCain, i due si sono incontrati lontano dalle telecamere per non essere immortalati insieme.
A questo vanno aggiunti altri scandali minori, come quello riguardante due assistenti di McCain che in passato hanno lavorato per la giunta militare della Birmania. E ci sono perplessità riguardo la strategia adottata da McCain con la stampa. Il Repubblicano è solito invitare i giornalisti dovunque vada, rispondendo a tutte le domande, ma questo lo espone al rischio di commettere qualche gaffe "McCain è l'unica persona che pensa di poter vincere le elezioni in questo modo. Obama tiene la stampa a distanza. Perchè? Perchè vuole vincere" ha detto un consigliere di McCain.
Ma già in passato McCain ha sfidato le convenzioni e vinto. I suoi indici di gradimento tra indipendenti e Repubblicani sono alti, e nei sondaggi è appaiato ad Obama. Un consigliere di un ex rivale di McCain nelle primarie ha così sintetizzato "Senza raccogliere fondi, senza eccitazione nella base, con la tossica eredità di Bush, McCain sembra in grado di vincere. Sarebbe tipico di John McCain".

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venerdì 6 giugno 2008

Faccia a faccia tra Obama e Hillary Clinton

Contrariamente alle voci secondo cui i due ex-rivali Democratici si sarebbero incontrati solo nelle prossime settimane, il meeting si è tenuto la notte scorsa a Washington, a casa della Senatrice Dianne Feinstein, distante solo pochi chilometri da Whitehaven, la residenza dei Clinton.
Top secret il contenuto dell'incontro, anche perchè è probabile che non si siano toccati i temi più spinosi della trattativa tra i due, vicepresidenza in testa.

Il portavoce di Obama si è limitato a dire che nell'incontro i due Democratici hanno cercato il modo di unire il partito. Dopo il meeting è stato diramato un comunicato congiunto e laconico "La Senatrice Clinton e il Senatore Obama hanno avuto una proficua discussione sull'importante lavoro che va fatto per vincere a novembre".
Il New York Times aggiunge pochi dettagli all'evento: sarebbe stata la Clinton a sollecitare l'incontro, e Obama, che nel corso della giornata aveva fatto campagna elettorale in Virginia, per incontrare l'ex rivale ha rimandato a stamattina il ritorno a Chicago, inizialmente fissato per la notte tra giovedì e venerdì. L'invito della Clinton è arrivato mentre il Senatore era sulla via per l'aeroporto, e il suo mancato arrivo ha messo in allarme i numerosi reporter che si erano radunati al terminal. Un primo comunicato non spiegava il motivo del cambiamento di programma, e l'annuncio dell'incontro tra i due candidati si è avuto solo quando questo era già iniziato.
E' seguito un "giallo" sul luogo dell'incontro, con centinaia di cronisti che si sono precipitati a Whitehaven, e altri che invece scommettevano su Campidoglio.

Secondo la Associated Press, la Clinton avrebbe già avanzato una richiesta ad Obama, quella di aiutarla a saldare i debiti contratti in campagna elettorale, che al momento ammontano a più di 30 milioni di euro, di cui 11 provenienti dal patrimonio personale della Senatrice. In cambio lei raccoglierebbe fondi per Obama per le presidenziali, e si stima che potrebbe accumulare dai 50 ai 100 milioni di dollari.

Intanto, mentre John Edwards ha ribadito di non essere interessato alla vicepresidenza, dopo Jimmy Carter un altro dei big del partito ha abbandonato la neutralità: il leader della maggioranza al Senato Harry Reid ha ufficialmente espresso il suo sostegno ad Obama, dicendo di "non poter essere più eccitato per il fatto che il Senatore Obama condurrà il partito alla vittoria di novembre".

La Clinton parlerà sabato. Per dire cosa?

Lo staff di Hillary Clinton ha annunciato che la ex First Lady tornerà a parlare in pubblico sabato, a Washington. In quell'occasione è ormai certo che si farà da parte riconoscendo la vittoria di Obama e rinunciando quindi alla possibilità di ricorrere contro la sentenza sul Michigan e tentando di far cambiare idea ai superdelegati fino alla convention: la Clinton ha detto ai suoi collaboratori di non presentarsi al lavoro venerdì: la campagna elettorale è finita. La Clinton però dovrebbe mantenere il controllo sui propri delegati, evitando di "cederli" ad Obama come ha invece fatto Edwards.
Quello che invece è ancora incerto è il tono di questo evento. La scelta delle parole e del tipo di congedo sarà infatti molto indicativa delle intenzioni della senatrice, davanti cui si aprono tre possibili strade: la vicepresidenza, l'incarico di leader della maggioranza al Senato, o la candidatura a governatrice di New York.
Per quanto una candidatura alla vicepresidenza sia sgradita a Obama (ieri ha detto "Non credo che la Clinton voglia la vicepresidenza") e senza dubbio stia stretta alla Clinton, se Hillary dovesse far capire di essere disposta ad accettarla, difficilmente il neo-nominato Democratico potrebbe ignorarla. D'altro canto, se la Clinton sabato assicurasse ugualmente il proprio pieno sostegno ad Obama senza chiedere nulla in cambio, i rumors sulle trattative tra i due potrebbero finire anzitempo. A quel punto le trattative tra i due si concentrerebbero su altri due punti: i soldi e il programma. Per quanto riguarda il primo punto, non ci saranno intoppi: tramite il partito, Obama ripagherà i debiti di Hillary. Più problematico è il secondo punto, poichè la Clinton vorrà dire la sua sulla "piattaforma" di Obama, ovvero il programma condiviso dal partito, soprattutto su riforma sanitaria e politica estera, e in questo senso va letta la decisione di trattenere i propri delegati. In ogni caso, le persone a lei vicine dicono che Hillary, pur accettando la sconfitta, si sente legata ai 18 milioni di americani che la hanno votata, e questo potrebbe spingerla ad accettare un posto, quello di vicepresidente, che non sente adatto a sè, soprattutto perchè non ritiene Obama la persona giusta per guidare il paese.

Nel comunicato rilasciato oggi, non si fa cenno a cosa dirà Hillary, che dice solo di essere "onorata e commossa per l'incredibile dedizione e spirito di sacrificio" di chi ha lavorato per lei, in questi ultimi sedici mesi; e sottolinea come le differenze di visioni e programmi politici tra lei e Obama sono "piccole", rispetto a quelle che la dividono dal candidato replicclicano John McCain. Segue la promessa: "non smetterò mai di battermi per i valori che convido con i miei sostenitori".

giovedì 5 giugno 2008

Sondaggi: Obama davanti a McCain, ma perde consensi

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Un nuovo sondaggio di Pew Center Research svolto su base nazionale tra il 21 e il 25 maggio dà a Obama il 47% della preferenze contro il 44% di John McCain.
Rispetto ad analoghi sondaggi precedenti, Obama pur mantenendo la leadership accusa un notevole calo soprattutto in determinati segmenti della popolazione. Il suo gradimento cala di otto punti e scende al 51%, il più basso dall'inizio delle primarie. Le opinioni negative sono invece al 42%. Chi ha espresso un'opinione negativa sostiene di non apprezzare il credo politico di Obama, il 32% invece cita la sua personalità. In particolare tra la classe operaia bianca è basso il gradimento per la personalità di Obama.

Il gradimento di McCain è invece al 48%, contro un 45% di opinioni negative. Tra chi ha espresso opinioni negative, il 73% cita come motivo le posizioni politiche di McCain, mentre solo il 18% cita la personalità.
Anche tra gli elettori indipendenti entrambi i candidati sono in calo rispetto agli scorsi mesi: Obama scende ad un gradimento del 49% (a gennaio era al 62%), mentre McCain si ferma al 50% (dal 64% di gennaio).
Tra i Democratici, l'immagine di Obama è stabile, in lieve crescita rispetto al mese scorso, mentre quella di McCain è in netto calo, al 23% rispetto al 44% di gennaio.
Tra i Repubblicani McCain guadagna consensi rispetto al mese scorso, mentre l'immagine di Obama perde molti punti rispetto all'inizio delle primarie.

Per quanto riguarda le priorità, Obama viene giudicato più adatto ad affrontare la crisi economica e i problemi energetici e a migliorare il sistema sanitario.
McCain perde il suo vantaggio su Obama riguardo la capacità di gestire la guerra in Iraq, anche se il 43% giudica il Democratico non abbastanza convincente in politica estera.
Tuttavia, rispetto a marzo, calano gli elettori che ritengono che McCain proseguirebbe la linea politica di Bush.

Jimmy Carter: Obama non scelga Hillary come vice


Mentre tra i sostenitori della Clinton fioriscono gruppi a sostegno di una sua candidatura alla vicepresidenza, l'ex presidente americano Jimmy Carter interrompe il suo lungo silenzio e, annunciando il suo appoggio a Obama, invita il candidato Democratico a respingere la tentazione del "dream ticket".
"Scegliere Hillary Clinton come vicepresidente sarebbe il peggior errore che Obama potrebbe fare. Servirebbe solo ad evidenziare gli aspetti negativi di entrambi i candidati".
L'84enne premio Nobel per la pace ha citato alcuni sondaggi secondo cui il 50% degli americani avrebbe un'opinione negativa della Clinton.
"Se prendi quel 50% che non vuole votare per la Clinton e lo aggiungi a tutti quelli che pensano che Obama non sia abbastanza bianco, abbastanza anziano o esperto, o che abbia un secondo nome di origine araba, otterrai il peggior risultato possibile".

Carter ha assicurato che sarebbe stato contrario al ticket anche se fosse stata la ex First Lady a ottenere la nomination, perchè una donna e un nero rappresentano un cambiamento troppo grande "perchè gli americani possano ingoiarlo in un sol boccone". Carter ha anche fatto il nome di Sam Nunn, della Georgia, come vicepresidente ideale: Nunn, ex presidente della commissione Difesa del Senato, è un esperto settantenne, che compenserebbe l'inesperienza di Obama e rappresenterebbe un viatico per gli stati del Sud.

Queste dichiarazioni di Carter, che nel partito viene visto da alcuni come il "grande vecchio", da altri come l'emblema vivente delle sconfitte Democratiche, arriva proprio mentre Lanny Davis, consigliere della Clinton, ha lanciato una petizione diretta ad Obama per convincerlo a scegliere Hillary come n°2.
E Bob Johnson, il più influente leader nero tra i sostenitori della Clinton, ha detto di voler convincere i membri afroamericani del Congresso ad unirsi in favore del ticket.

mercoledì 4 giugno 2008

E' nomination

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Secondo Associated Press, Barack Obama ha già virtualmente raggiunto il magic number di 2.118 delegati necessari per la nomination. AP ha tenuto il conto degli endorsement anticipati ma non ancora ufficializzati (come quello dell'ex Presidente Jimmy Carter, che ha detto che subito dopo l'ultimo voto esprimerà il suo endorsement ad Obama) e il numero minimo di delegati pledged che conquisterà oggi anche se dovesse perdere sia in Montana che in South Dakota.
Solo nella giornata di martedì, Obama ha ricevuto l'appoggio di 10 superdelegati, portandosi a -30,5 dalla nomination, basandosi solo sugli appoggi ufficializzati.

La Clinton, che in giornata ha negato di volersi ritirare, in serata ha detto di essere aperta all'ipotesi di un ticket con Obama. Così almeno hanno riferito diversi deputati Democratici che hanno avuto un incontro con la Senatrice.

Obama raggiunge 2.156 delegati, e si proclama nominato. La Clinton ancora non ha riconosciuto la vittoria del rivale ma ha detto di voler prima parlare con i leader del partito.

Scambio di messaggi tra i due candidati. Dopo la proclamazione dei risultati Obama ha chiamato il segretario della Clinton e ha lasciato un messaggio di congratulazioni per la senatrice, pregandola di richiamarla. Lo staff della Clinton ha provato a richiamare Obama e a mettere in contatto i due, riuscendoci dopo altri messaggi in segreteria. Nei prossimi giorni i due si incontreranno.

Risultati 3 giugno: Montana e South Dakota

Si chiude la lunga stagione delle primarie, anche in questo caso con una split win. Ma grazie al massiccio appoggio di superdelegati negli ultimi due giorni, Obama supera i 2.118 delegati e può pro9clamarsi nominato per i Democratici


Democratici


Montana


Barack Obama: 56,87% (9 delegati)

Hillary Clinton: 40,91% (7 delegati)


South Dakota

Hillary Clinton: 55,34% (8 delegati)

Barack Obama: 44,66% (7 delegati)

martedì 3 giugno 2008

Verso il voto: le primarie in South Dakota

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Il Dakota del Sud è uno stato del centro-nord degli Stati Uniti, confina con il Dakota del Nord, il Nebraska, l'Iowa, il Minnesota, il Wyoming e il Montana. Prende il nome dalla tribù Lakota Sioux. E' il 17° stato più grande degli USA, ma solo il 46° per numero di abitanti, 770.883 con una densità di 3,86 abitanti per kmq. La capitale è Pierre, ma la città più popolosa è Sioux Falls con 124.000 abitanti.
Due terzi dello stato sono occupati dalle Grandi Pianure, ma nella regione sono presenti anche le Black Hills, da cui è ricavato il Monte Rushmore, il monumento nazionale su cui sono stati scolpiti i volti di 4 presidenti: George Washington, Thomas Jefferson, Thedore Roosevelt e Abraham Lincoln.
I francesi giusero in South Dakota nel 1700 trovandovi una grande varietà di tribù, tra cui i Sioux Lakota, Dakota e Nakota. Nel 1803 il territorio venne acquistato dagli USA nell'ambito dell'accordo con Napoleone per la cessione della Louisiana, e negli anni successivi iniziarono le esplorazioni e gli insediamenti dei coloni. Presto il South Dakota divenne un importante crocevia per il commercio di pellicce. Nel 1861 gli USA stabilirono il Territorio del Dakota, che originariamente comprendeva il Dakota del nord e del Sud, e parte del Wyoming e dell'odierno Montana. Durante la spedizione militare di Custer alle Black Hills vennero scoperti giacimenti d'oro, dando il via a nuovi insediamenti. L'aumento della popolazione portò alla decisione di dividere il Territorio. Il 2 novembre 1889 il Dakota del Sud divenne il 40° stato dell'Unione.
L'88,5% della popolazione è bianca, l'8% nativa americana e il 2% ispanica. La religione più praticata è il cristianesimo (86%), in particolare con la dottrina luterana (27%) e cattolica (25%).
L'economia dello stato si basa prevalentemente sull'industria dei servizi, in particolare nei settori finanziari e farmaceutici. E' molto importante anche l'agricoltura, con la coltivazione di soya e mais. Lo stato può contare su notevoli introiti dal turismo, grazie a luoghi di richiamo come il Monte Rushmore, le Black Hills e la città di Deadwood.
Il South Dakota è uno stato tradizionalmente Repubblicano, e non vota un presidente Democratico dal 1964 (non votò neppure McGovern, che pure era originario dello stato). Tuttavia due dei tre attuali rappresentanti al Congresso sono Democratici.

Per i Democratici, il South Dakota mette in palio 23 delegati, di cui 15 elettivi e 8 superdelegati con il sistema della primaria chiusa. Dei 15 delegati elettivi, 9 vengono assegnati proporzionalmente in base ai risultati nell'unico distretto elettorale, mentre gli altri 6 sono assegnati sulla base dei risultati complessivi. La convention si svolgerà il 21 giugno, degli 8 superdelegati, 6 appoggiano Obama.
Un sondaggio Mason-Dixon di marzo vede Obama al 46% contro il 34% di Hillary Clinton, ma l'ultimo poll disponibile, di ARG, vede un ribaltamento di fronte con la Clinton al 60% e Obama al 34%.

Per i Repubblicani, il South Dakota mette in palio 27 delegati, di cui 24 elettivi e 3 superdelegati con il sistema della primaria chiusa con assegnazione proporzionale e sbarramento al 20%.

I seggi si aprono alle 7 del mattino (le 14 in Italia) e chiudono alle 7 di sera (le 2 di notte in Italia).

Verso il voto: le primarie democratiche in Montana

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Il Montana, stato del Nord-ovest degli USA, nella regione delle Grandi Pianure, è il 4° stato più grande dell'Unione, ma solo il 44° per numero di abitanti. La popolazione totale ammonta infatti a soli 926.865 abitanti con un densità di 2,46 per kmq. La capitale è Helena, mentre la città più popolosa è Billings, con 90.000 abitanti.
Prima dell'arrivo degli europei, il Montana era abitato da tribù Crow e Cheyenne nella zona sud, e da tribù minori nelle altre zone. La conformazione del territorio, occupato in gran parte dalle Montagne Rocciose, ha scoraggiato gli insediamenti dei coloni. Nel 1803, anche il Montana venne coinvolto nell'accordo tra Stati Uniti e Ftancia per la vendita della Louisiana, e diventò quindi territorio di proprietà americana. Nel 1850 una spedizione esplorativa scoprì i giacimenti d'oro nel Montana, che venne annesso agli USA e divenne il 41° stato dell'Unione nel 1889.
Nel Montana, oltre ai cercatori d'oro, si rifugiarono gli ultimi nativi americani sopravvissuti agli stermini e alle guerre. Fu proprio in Montana, a Little Bighorn, che si tenne la più cruenta battaglia delle Guerre indiane tra l'esercito americano guidato dal Generale Custer e le tribù Sioux e Cheyenne di Cavallo Pazzo, che ottennero una schiacciante vittoria.
La popolazione del Montana è composta per il 92% da bianchi, per l'1% da neri e per il 7% da nativi americani. Il cristianesimo è la religione più praticata (82%), la dottrina prevalente è quella protestante (55%) seguita dalla cattolica (24%). Il PIL del Montana è uno dei piùù bassi degli USA, ma è uno dei pochi a presentare un trend positivo. L'economia dello stato si basa sull'agricoltura, in particolare sulla coltivazione di grano, barbabietole, avena, segale e patate.
Politicamente. il Montana è un cosiddetto swing state, e anche se il Governatore e i rappresentanti al Senato sono Democratici, negli ultimi 20 anni nelle presidenziali hanno vinto sempre i Repubblicani, con l'unica eccezione di Bill Clinton nel 1992.

Per i Democratici, il Montana mette in palio 25 delegati, di cui 16 elettivi e 9 superdelegati con il sistema della primaria aperta. Dei 16 delegati elettivi, 10 vengono assegnati sulla base dei risultati nel distretto elettorale, che per l'occasione viene diviso in una zona est e in una zona ovest, mentre gli ultimi 6 vengono assegnati proporzionalmente sulla base dei risultati complessivi. La convention statale si terrà l'8 giugno, dei 9 superdelegati in 3 appoggiano Obama. I sondaggi recenti danno un consistente vantaggio ad Obama, che secondo Mason-Dixon avrebbe il 52% contro il 35% della Clinton, mentre è più risicato per American Research Group, che dà Obama al 48 contro il 44 della Clinton.

I seggi si aprono alle 7 del mattino ora locale (le 15 in Italia) e chiudono alle 8 di sera (le 4 del mattino in Italia)

lunedì 2 giugno 2008

La Clinton a caccia dei superdelegati di Obama

Mentre Barack Obama è ormai concentrato sulle elezioni di novembre, desideroso di colmare il divario che lo separa da John McCain, il quale ha potuto iniziare a fare campagna elettorale da marzo, Hillary Clinton non sembra più tanto convinta di farsi da parte questa settimana, neppure se - come è probabile - il rivale dovesse raggiungere il fatidico numero di 2.118 delegati necessari per la nomination.
Obama ha infatti ottenuto più della metà dei delegati elettivi, 1.728,5 su 3.253, più 332,5 superdelegati per un totale di 2.072. Ne mancano 46 per assicurarsi la nomination, e visto che in totale le ultime due primarie mettono in palio solo 31 delegati elettivi è evidente che ci sarà bisogno dell'apporto dei superdelegati ancora indecisi per arrivare al numero magico.
E sono proprio i superdelegati il prossimo obiettivo di Hillary Clinton. La senatrice affermerà di aver conquistato la maggioranza nel voto popolare (anche se il conteggio è dubbio perchè non comprende alcuni caucus state e comprende invece il totale delle primarie dimezzate di Michigan e Florida oltre a Porto Rico, che non vota per le presidenziali) come mossa per conquistare l'appoggio degli indecisi. Ma anche in questo caso sarà difficile colmare il distacco di oltre 150 delegati, e infatti la Clinton ha già più volte ribadito che "I superdelegati possono cambiare idea".
Per quanto possa sembrare improbabile (finora la maggior parte dei passaggi è stata dalla Clinton a Obama, non viceversa) la senatrice passerà i prossimi giorni a fare pressing anche sui superdelegati già dichiarati.

Le mosse seguenti, se la Clinton rimarrà ancora in corsa, saranno quella di ricorrere al Credentials Committee a fine giugno, appellandosi contro la decisione della commissione DNC riguardo il Michigan. E poi c'è la convention: in quella sede la Clinton potrebbe appellarsi di nuovo per vedere riammessi i due stati ribelli, ma soprattutto potrebbe chiedere alle delegazioni di esprimersi in un voto pubblico fra lei e Obama. In questo caso potrebbe contare non solo sul cambio di idea dei superdelegati, ma anche dei delegati pledged, che in sede di convention non sono tenuti a rispettare il risultato delle primarie ma possono votare in totale libertà.
Nonostante il divario contenuto tra i due candidati è improbabile un massiccio rovesciamento di fronte - a meno che nel frattempo non accada qualcosa in grado di compr0mettere seriamente l'eleggibilità di Obama - ma la prospettiva basta a terrorizzare il partito.
Dal canto suo Obama continua (ma per quanto?) la linea di fair play con la rivale, riconoscendole grandi meriti e dicendo di contare su di lei per novembre. Ma ha anche detto che, per proclamare la nomination, non attenderà la telefonata di congratulazioni della Clinton.

Risultati 1 giugno: Porto Rico

Hillary Clinton conquista quella che sarà con tutta probabilità la sua ultima vittoria in queste primarie, vincendo a Porto Rico con un risultato che supera le più rosee aspettative, anche se l'affluenza è stata tutto sommato piuttosto bassa (356.000 votanti).


Democratici


Porto Rico

Hillary Clinton: 68,13%% (38 delegati)
Barack Obama: 31,87% (17 delegati)

domenica 1 giugno 2008

Ticket Obama-Clinton: i contro. E i pro

di John F. Harris e Jonathan Martin (Politico)

Il sole tramonta sulla campagna elettorale della Clinton, ma sta sorgendo su quelli che si prospettano come mesi di speculazioni e giochi delle parti su una domanda: la Clinton si candiderà alla vicepresidenza?
Assurdo, per alcuni addetti ai lavori e commentatori. Altri, che lavorano per concretizzare il ticket Obama-Clinton, sono più possibilisti.
L'eventuale candidatura alla vicepresidenza è finora qualcosa di assolutamente astratto, perchè nessuno sa quanto possa esserci di vero. E questo ci consente di stilare una lista dei 5 motivi per cui una candidatura della Clinton come vice di Obama è una sciocchezza. E dei 5 motivi per cui non lo è.

1. Obama è troppo figo. La Clinton, portando il bagaglio di tre decenni nella vita politica, annienterebbe il più importante argomento di Obama: la novità, il cambiamento, la trasformazione. Ad un livello personale, Obama ha mostrato di avere una grande autostima: Hillary non gli piace, e sicuramente non si farà costringere a prenderla a bordo solo perchè la stampa o i colleghi di partito dicono che non ha altra scelta.

2. La Clinton è troppo orgogliosa. La Clinton si ritiene giustamente una forza politica indipendente e con grande reputazione internazionale. In futuro potrebbe aspirare ad essere la leader della maggioranza in Senato, o la Governatrice di New York, con la possibilità di ritentare la corsa presidenziale nel 2012 o nel 2016. Inoltre, lei non ha stima di Obama e della sua capacità di guidare il paese. Perchè dovrebbe abbassarsi ad una posizione che, per disegno costituzionale e realtà pratica, è di totale subordinazione?

3. Potrebbero perdere. Nel 1992 Bill Clinton e Al Gore - due giovani del sud con reputazione di moderati - si rafforzarono a vicenda. Al contrario Obama e la Clinton evidenzierebbero l'uno le vulnerabilità dell'altra. I Repubblicani potrebbero accaparrarsi tutti quelli che non voteranno mai la Clinton e tutti quelli che non voteranno mai Obama.

4. Potrebbero vincere. Questo sembra un anno Democratico, e Obama non guarda ai prossimi sei mesi ma ai prossimi otto anni, e a come sarebbero con la Clinton che gira attorno alla sua presidenza. Lyndon Johnson una volta disse che tutti quelli che lavoravano per lui dovevano stare nel suo taschino. Obama non potrebbe mai mettersi la Clinton nel taschino, per motivi che vanno al di là dell'anatomia umana. E, per dirla tutta, non potrebbe mettersi neanche Bill Clinton.
5. Troppo arcobaleno. Per certi versi, la copertura data alle primarie Democratiche ha annoiato la gente riguardo a quanto la candidatura di un nero e di una donna abbiano sfidato i pregiudizi. Obama sa che questo può essere un problema, e vorrà rassicurare le persone che vogliono un cambiamento ma non troppo. Cercherà un bianco che ha fatto il governatore o che abbia indiscusse credenziali sulla sicurezza nazionale, come l'ex generale Anthony Zinni.


Ma un ticket Obama-Clinton sarebbe al tempo stesso fuori dall'ordinario in un anno come il 2008, in cui tutto è fuori dall'ordinario. Ecco perchè gli scettici potrebbero avere torto. Ecco cinque ragioni per cui Obama dovrebbe offrire il posto di numero 2 alla Clinton - e per cui lei dovrebbe accettarlo.

1. Non hanno scelta. La fedeltà alla Clinton nei suoi gruppi di sostenitori, specialmente le donne, è pari a quello di Obama fra i neri e i giovani. Le pressioni del partito affinchè lui la scelga come vice saranno insormontabili. Senza la Clinton, Obama dovrebbe spendere enormi quantità di tempo e denaro per accattivarsi gli operai, i cattolici, gli ebrei, gli ispanici. Non ci sarebbe modo migliore che far salire a bordo il loro candidato preferito. Hillary e Bill Clinton potrebbero pensare a questi elettori mentre Obama potrebbe occuparsi di allargare la sua base con indipendenti e Repubblicani delusi.

2. E' un test caratteriale per lui. A Obama non piace la Clinton. E allora? A Dwight Eisenhower non piaceva Richard Nixon, a John F. Kennedy non piaceva Lyndon Johnson e a Ronald Reagan non piaceva George H. Bush. La capacità di Obama di elevarsi al di sopra dei sentimenti personali sarà un test decisivo per la sua capacità di colmare le divisioni.

3. L'abbraccio siciliano. Se i Clinton hanno ancora, nonostante tutto, una grande influenza politica, è molto meglio tenere Hillary sotto stretta sorveglianza piuttosto che lasciarla libera di fare ciò che vuole in Senato (o, nel caso di Bill, nelle capitali estere).

4. E' un'imbattibile unione di forze. Come ha detto Bill Clinton, Obama e Hillary sarebbero una "forza quasi inarrestabile" (anche se lui aveva in mente un diverso ordine del ticket). Questa combinazione coinvolgerebbe tutto il partito e annienterebbe i Repubblicani con la più impressionante raccolta fondi della storia. Il ticket potrebbe partire con uno staff di circa 1.500 persone, e un'organizzazione che partirebbe dal livello nazionale fino a coprire ogni singolo distretto. Mentre John McCain sta ancora arruolando coordinatori locali, Obama-Clinton dal primo giorno conterebbero su una struttura più organizzata di quella messa in piedi da Bush-Cheney nel 2004.

5.Lei accetterebbe il lavoro, e lo farebbe bene. La gente si fa gioco della vicepresidenza, ma quasi nessuno la rifiuta. La Clinton, sapendo che un posto nel ticket offre le maggiori possibilità di diventare presidente prima o poi, non lo rifiuterebbe. E con quello che ha lei stessa definito "il gene della responsabilità", lavorerebbe sodo e bene. Obama da candidato potrebbe fare la sua campagna elettorale senza preoccuparsi che il suo n°2 faccia qualche gaffe, fallisca in un dibattito o distorca il messaggio. Da presidente potrà fare affidamento su di lei come consigliere, anche quando i consigli arriveranno digrignando i denti.


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Trovata la soluzione per Florida e Michigan

La riunione della commissione Rules & Bylaws del Partito Democratico tuttora in corso a Washington sembra aver raggiunto un accordo di massima per quanto riguarda il caso della Florida. La commissione si appresta a votare una risoluzione con cui giudicherebbe valido il voto del 29 gennaio e ammetterebbe alla convention tutti i delegati della Florida, che però conterebbero solo mezzo voto a testa. Questo farebbe guadagnare alla Clinton 19 delegati.
Il Senatore Nelson, supporter della Clinton, ha affermato che qualsiasi soluzione che convalidi il voto del 29 gennaio sarà ben accetta, e David Plouffe ha fatto capire che Obama sarebbe favorevole alla soluzione "19 delegati non sono un dramma". In precedenza era stata messa ai voti una risoluzione per riammettere in toto la Florida, ma aveva perso per 12 a 15.

E' stato più difficile trovare una soluzione per il Michigan. Dopo una giornata di duro confronto tra i sostenitori dei due candidati, è stata approvata a maggioranza una risoluzione che applica lo stesso principio della Florida, ammettendo tutti i delegati del Michigan ma assegnando mezzo voto a ognuno, e dando ad Obama tutti i voti non rivolti alla Clinton. La soluzione non è però piaciuta alla senatrice, che ha detto di riservarsi il diritto di ricorrere al Credentials Committee a giugno.
Con queste decisioni, la Clinton guadagna 24 delegati. Perciò da adesso il magic number per raggiungere la nomination è fissato a 2.118: Obama ha 2.051 delegati e la Clinton 1.877