sabato 9 agosto 2008

Toto-vicepresidenti: Joseph Biden (D)

66 anni a novembre, Senatore del Delaware dal 1973 ma nativo della Pennsylvania, Joe Biden ha provato a conquistare la nomination Democratica alla presidenza nel 1988 e nel 2008, ma in entrambi i casi si è dovuto ritirare alle prime battute, nell'88 a causa di un discorso del laburista inglese McKinnock che aveva fatto suo senza citare la fonte, e quest'anno perchè schiacciato dalle personalità degli altri contendenti. Ciononostante Biden è una delle personalità più in vista del partito ed ha un'invidiabile esperienza in politica estera, tanto da essere stato più volte in predicato di diventare Segretario di Stato.
Già nel 2004 il suo nome è stato fatto per la vicepresidenza, ma lui si tirò indietro consigliando a John Kerry di scegliere John McCain come vice.
Diventa Senatore a soli 30 anni, l'età minima per entrare in Senato, e nel 1974 TIME lo nomina tra i "200 volti del futuro".
La sua vita è stata funestata da un terribile incidente stradale in cui persero la vita la sua prima e moglie e la figlia Amy.
Attualmente Biden è Presidente della Commissione Esteri del Senato e dopo il suo ritiro dalle primarie si è schierato al fianco di Obama intervenendo spesso in suo supporto sui temi di politica estera, attaccando i Repubblicani sugli argomenti senza mai scendere sul personale, ma criticandolo per la rinuncia al finanziamento pubblico.

Pro: Biden è uno dei Democratici di maggior prestigio e attualmente sta vivendo un periodo di buona popolarità; la sua esperienza in politica estera metterebbe a tacere ogni dubbio sull'esperienza di Obama; con Biden nel ticket il partito farebbe ancora più quadrato intorno a Obama; sarebbe un ottimo supporto in campagna elettorale.
Contro: Biden è a Washington da 35 anni, e non è quindi il volto del cambiamento che Obama vorrebbe portare; i suoi due stati di riferimento dovrebbero essere vinti senza problemi dai Democratici; Biden è famoso per parlare a ruota libera, e in campagna elettorale è un grosso rischio; la sua esperienza potrebbe tornare più utile come Segretario di Stato che come Vicepresidente.

Toto-vicepresidenti: John Thune (R)

47 anni, Senatore del South Dakota, John Thune è uno degli astri nascenti del Partito Repubblicano, il cui "vivaio" negli ultimi tempi è tornato a presentare alla ribalta nomi interessanti (come Pawlenty o Jindal) dopo anni di buio. Fotogenico, duro e conservatore, Thune è riuscito a farsi eleggere al Senato sconfiggendo nel 2004 nientemento che Tom Daschle, l'ex leader della maggioranza Democratica che occupava quel seggio dal 1987. Per fare questo, Thune ha condotto una delle campagne più dispendiose della storia del South Dakota, grazie all'appoggio di Bush e Cheney, e attaccando duramente Daschle dipingendolo come un ostruzionista servitore di diversi padroni.
Al primo mandato senatoriale, è subito entrato a far parte della leadership del Gop, d ha conquistato anche una certa reputazione di autosufficienza lottando contro alcune proposte dell'amministrazione Bush, pur restando molto gradito alla base conservatrice del partito a causa delle sue posizioni sui temi sociali e fiscali.
E' favorevole all'introduzione di un emendamento costituzionale che definisca il matrimonio unicamente come unione tra uomo e donna, a un emendamento che vieti il vilipendio della bandiera, è contrario all'aborto e all'introduzione di misure restrittive per il possesso di armi da fuoco.
E' un cristiano conservatore, e ha sempre affermato che le sue posizioni politiche sono fortemente influenzate dalla sua fede religiosa.

Pro: è un ottima controparte di McCain, compensando tutti i suoi punti deboli; è gradito ai conservatori e alla destra religiosa ma non rappresenterebbe una presenza ingombrante; l'esperienza guadagnata nelle recenti campagne elettorali lo rende un ottimo "cane da attacco", ruolo tradizionalmente assegnato ai candidati vicepresidenti.
Contro: è praticamente sconosciuto a livello nazionale; il South Dakota è una delle roccaforti Repubblicane anche senza bisogno di Thune nel ticket; è probabile che il vice scelto non sarà un Senatore.

venerdì 8 agosto 2008

Rassegna stampa flash: Obama in Indiana con Bayh, le gaffe di McCain, la Clinton torna alla ribalta

Obama ha ripreso a girare gli Usa e la nuova tappa, in una settimana dedicata interamente al tema dell'energia, è stata l'Indiana, uno stato che tradizionalmente alle presidenziali vota Repubblicano, ma che quest'anno è in bilico. Obama è stato accompagnato lungo tutta la visita da Evan Bayh, Senatore ed ex Governatore dello Stato, ridando forza alle voci che vorrebbero Bayh come candidato alla vicepresidenza. Uno scoop giornalistico si era spinto a dire che mercoledì Obama avrebbe ufficializzato la scelta di Bayh, ma non è accaduto nulla di tutto questo. Obama ha partecipato a un "town hall meeting", presentato da Bayh, ha fatto visita ai veterani e si è poi trasferito in alcune contee dello stato, fermandosi anche nel paese natale di Bayh. Successivamente, Bayh ha partecipato ad un faccia a faccia in collegamento con il Governatore della Florida Charlie Crist, in quello che potrebbe essere un'anticipazione del dibattito vicepresidenziale programmato per il prossimo autunno.

Le gaffe di McCain
Mentre i sondaggi lo danno in rimonta, McCain ha infilato in pochi giorni un paio di "blunder" più o meno divertenti. Il più buffo è avvenuto ad un raduno di bikers in South Dakota: accompagnato da John Thune, McCain ha incontrato una folla di rumorosi motociclisti e si è lanciato in lodi nei loro confronti. Nella foga del momento, ha iscritto sua moglie Cindy al concorso per eleggere la reginetta dei bikers, ma i suoi consiglieri lo hanno informato che le candidate dovevano presentarsi in topless.
Decisamente più serio l'errore in cui è incappato in un'intervista alla ABC. Quando il giornalista gli ha chiesto di spiegare le differenze tra la sua politica economica e quella dell'amministrazione Bush, McCain ha spiegato di voler chiudere le agenzie governative inutili e interrompere la dipendenza dal petrolio straniero, ma soprattutto di voler discutere con le parti in causa su ogni argomento. L'intervistatore lo ha pressato, chiedendo se tra la materia di discussione ci sarà anche l'aumento delle tasse. McCain, che ha sempre detto di non voler aumentare le tasse, ha risposto "Certo, discuteremo su tutto. Io ho le mie posizioni, ma nessuna ipotesti è da scartare". Immediatamente i Democratici hanno coniato slogan ironici sulle promesse di McCain.
Infine c'è Paris Hilton, come tutti i media mondiali hanno mostrato. L'ereditiera "famosa perchè è famosa", che McCain aveva messo a confronto con Obama nell'ormai celebre spot "Celeb", ha risposto con un altro spot, in cui afferma ironicamente di volersi candidare, accusa McCain di essere "la celebrità più vecchia del mondo", e rassicura gli americani "Sono pronta a comandare".

La Clinton torna alla ribalta
Hillary Clinton si appresta a tornare a fare campagna per Obama, ma questo non deve far pensare che le acredini della campagna elettorale si siano placate. La Clinton, secondo alcuni insider, ancora non è convinta della vittoria di Obama e per questo non vorrebbe esporsi più di tanto. Ma soprattutto è la convention a dividere i due contendenti: la Clinton vuole che i suoi supporter abbiano lo spazio adeguato nella festa Democratica, e ha chiesto che si provveda ad una votazione con il suo nome sulla scheda assieme a quello di Obama, anzichè la prevista proclamazione. La Clinton potrebbe anche rinunciare, a patto che il suo ruolo venga riconosciuto pubblicamente durante la convention, in un modo o nell'altro. Sullo sfondo, resta la questione economica: mentre Hillary ha provveduto a raccogliere per Obama la cifra che avevano pattuito, il nominato ancora non ha adempiuto all'impegno preso di aiutare la ex rivale a pagare i debiti contratti in campagna elettorale.
Inoltre Bill Clinton, in un'intervista, si è mostrato scettico sulle qualità di leader di Obama.
In un comunicato congiunto, Obama e la Clinton hanno comunque affermato di stare lavorando insieme per trovare una soluzione valida per la convention. L'impasse potrebbe essere risolta concedendo a Bill Clinton di parlare dal palco.

I sondaggi della settimana
Sono tre gli ultimi sondaggi nazionali proposti, e i risultati sono quasi identici. AP e Ipsos danno Obama al 47% e McCain al 41%. Il sondaggio prende in esame anche i risultati delle elezioni per il Congresso, e in questo caso i Democratici hanno il 53% e i Repubblicani il 35%: quindi molti Democratici hanno dubbi su Obama e addirittura potrebbero votare McCain.
TIME dà invece Obama al 46% e McCain al 41%, quest'ultimo è però in rimonta sul tema dell'economia.
Per CBS News Obama è al 45% e McCain al 39%, con un 13% di indecisi.
Altri sondaggi su Florida e Ohio mostrano una situazione piuttosto equilibrata, con un gran numero di indecisi che hanno espresso critiche piuttosto pesanti riguardo l'impegno e la capacità dei due candidati.

giovedì 7 agosto 2008

Spunta il nome di Cantor come vice di McCain

John McCain sembra aver cambiato idea sul suo vice. Innanzitutto potrebbe lasciare che sia Obama ad annunciare per primo la sua scelta, in modo da poter valutare una risposta adeguata. In secondo luogo molti dei nomi che si sono fatti finora stanno perdendo quota, come Bobby Jindal e lo stesso Tim Pawlenty, che sembrava il favorito. Ragioni geopolitiche, soprattutto: la Louisiana sarà Repubblicana anche senza Jindal nel ticket, mentre il Minnesota è dato saldamente ai Democratici dai sondaggi anche se Pawlenty sarà il vice. Meglio allora orientarsi su stati più in bilico: il Michigan - e qui tornerebbe in ballo Mitt Romney, che è nato in questo stato - o la Virginia, che sembra lo stato più ambito in questa fase della campagna elettorale.
Obama gode in Virginia dell'appoggio del Governatore Tim Kaine, uno dei favoriti per la vicepresidenza Democratica. Questa situazione ha portato Obama in vantaggio, sia pure di poco. Se Obama ritenesse sicura la vittoria in Virginia, potrebbe puntare su un vice di uno stato in bilico, come Bayh dell'Indiana. In questo caso, ma anche se venisse scelto Kaine, McCain potrebbe puntare su un vicepresidente della Virginia per strappare lo stato al rivale.

Il candidato ideale è Eric Ivan Cantor, deputato della Virginia alla Camera dei Rappresentanti da quattro mandati, a cui gli "esaminatori" di McCain hanno chiesto l'accesso ai documenti personali, fase cruciale del processo di vetting, l'esame finale per i candidati alla vicepresidenza. Cantor corrisponde al profilo ideale sotto tutti i punti di vista, pur non eccellendo in nessuno, ma proprio questo potrebbe rappresentare un vantaggio guardando al passato. Giovane, 45 anni, ma con una buona esperienza legislativa, è un sostenitore di vecchia data di McCain pur non essendo un nome di spicco. Nonostante la vicinanza con McCain, è gradito ai conservatori del partito. Ma, soprattutto, Cantor è ebreo, e uno dei più attivi sostenitori di Israele al Congresso. McCain potrebbe voler prendere due piccioni con una fava, puntando sui voti dei virginiani e degli elettori di fede ebraica, particolarmente numerosi in Florida. Cantor sarebbe il primo vicepresidente ebreo, ma non il primo a candidarsi, anche se il precedente - Joe Lieberman nel 2000 - non è incoraggiante.

mercoledì 6 agosto 2008

TIME: McCain e Obama sull'Afghanistan

Per tutta la durata della campagna elettorale, McCain e Obama si confronteranno sulle pagine di TIME a proposito dei temi caldi delle elezioni. Dopo la prima puntata sul patriottismo, è la volta dell'Afghanistan.

Tempo per un aumento di truppe di John McCain
Lo status quo in Afghanistan non è accettabile. La sicurezza è deteriorata e i nostri nemici sono in fase offensiva. Dal momento in cui il prossimo presidente entrerà nello Studio Ovale, dovrà prendere decisioni critiche. Il Senatore Obama crede che non possiamo vincere in Afghanistan senza perdere in Iraq. Nei fatti, il successo dell'aumento di truppe in Iraq ci mostra la via da seguire. E' applicando questo sacrosanto principio di aumento dell'impegno - a cui il Senatore Obama si è opposto - che vinceremo in Afghanistan.
I nostri comandanti sul campo dicono di aver bisogno di almeno tre brigate in più. Io posso assicurare che avranno le truppe necessarie, chiedendo alla NATO di mandarne di più e impegnando le nostre truppe quando saranno disponibili. Ma prima ancora, abbiamo bisogno di un comando unificato e di una campagna civile e militare che garantisca sicurezza alla popolazione. Una strategia efficace richiede che usiamo tutti gli strumenti del nostro potere nazionale, e che i leader civili e militari lavorino insieme, a tutti i livelli, su un piano comune. Troppo spesso questo non è successo. Nominerò un responsabile di alto livello, con sede alla Casa Bianca, che faccia rapporto direttamente al Presidente, la cui sola missione sia quella di portarci alla vittoria di questa guerra.
L'esercito afgano è già un grande successo: una forza da combattimento multietnica e testata in battaglia. Il problema è che è troppo piccolo, con circa 80.000 unità. Dobbiamo almeno raddoppiarne la portata e stabilire un fondo per il finanziamento. Abbiamo anche bisogno di impegno diplomatico. Invierò uno speciale ambasciatore con il compito di dirimere le controversie tra l'Afghanistan e i suoi vicini.
Una speciale attenzione andrà al Pakistan, che oggi è un santuario per i terroristi. Dobbiamo aiutare le tribù di confine che vogliono combattere i terroristi stranieri, e convincere il Pakistan che questa guerra è loro quanto nostra. Il Senatore Obama ha parlato di azioni militari unilaterali. Nel tentativo di sembrare un duro, ha reso le cose più difficili per le persone il cui supporto ci è necessario. Io non farò blande minacce. Ma quando sarò Comandante in capo, non ci sarà un posto in cui i terroristi potranno nascondersi.

Concentrarsi sul fronte centrale di Barack Obama
Quello che ci è spesso mancato è un onesto e serio dibattito sulle conseguenze strategiche di una nostra permanenza a lungo termine in Iraq.
Questa guerra ci impedisce di concentrarci sulle minacce più serie, da Al Qaeda al regime iraniano che ha armi nucleari, al diffondersi dell'ideologia estremista.
Invece di farci distrarre, io userò tutti gli strumenti del potere americano per superare queste minacce. Il mio primo ordine da Comandante in capo sarà di terminare la guerra in Iraq e concentrarci sull'Afghanistan. Voglio essere chiaro- il mio piano non è di abbandonare l'Iraq. E' nostro interesse strategico mantenere una forza residuale per dare la caccia ad Al Qaeda, istruire le truppe irachene e proteggere gli interessi americani. Ma dobbiamo riconoscere che l'Iraq non è il nostro fronte centrale e non lo è mai stato. Il fronte centrale sono l'Afghanistan e il Pakistan. E' inaccettabile che quasi sette anni dopo l'11 settembre i responsabili di quegli attacchi siano liberi. Se dovesse avvenire un altro attacco sul nostro territorio, arriverà probabilmente dagli stessi territori in cui è stato programmato quello del 2001. Ancora oggi, le nostre truppe in Iraq sono cinque volte più che in Afghanistan.
Mesi fa il Senatore McCain ha detto "I problemi in Afghanistan non dipendono dal nostro impegno in Iraq". Non potrei essere più in disaccordo.
Manderò almeno due brigate da combattimento in più in Afghanistan e cercherò un maggiore impegno da parte della NATO. Istruiremo le forze di sicurezza locali e supporteremo le istituzioni. Una volta per tutte distruggeremo Al Qaeda e i Talebani. La soluzione non è solo militare, è politica ed economica. Per questo aumenterò gli aiuti civili per finanziare progetti locali, come lo sviluppo di lavori alternativi per i coltivatori di papaveri. E chiederemo maggiore impegno al governo afgano per la lotta alla corruzione al suo interno.
Infine abbiamo bisogno di una alleanza tra Afghanistan, Pakistan e NATO per controllare le frontiere e catturare i terroristi. Dobbiamo spingere il Pakistan a dare battaglia ai terroristi nel loro territorio, o agiremo per conto nostro.
Gli americani meritano un Presidente che capisca quali sono le reali minacce, e meritano una strategia per vincere. Non possiamo permetterci altri quattro anni di priorità sbagliate.

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martedì 5 agosto 2008

Sondaggi: la situazione dei Grandi Elettori/ 1


La mappa sopra riportata è tratta dalla home page di Pollster.com, e permette di visualizzare la situazione dei singoli stati e dei relativi Electoral votes (i Grandi Elettori).
Il sistema elettorale americano, su cui mi soffermerò più diffusamente in futuro, non prevede che i cittadini eleggano direttamente Presidente e vicepresidente, bensì che votino per i Grandi Elettori che a loro volta scelgono il Presidente e il suo vice. La Costituzione prevede che ogni Stato abbia tanti Grandi Elettori quanti sono i suoi deputati e senatori. Al momento, dopo la riforma del 1804 con la ratifica del 12esimo emendamento, i Grandi Elettori sono 538 distribuiti sui 50 stati e sul distretto di Columbia (Washington DC), cui venne riconosciuta la possibilita' di voto dopo l'approvazione (29 Marzo 1961) del 23esimo emendamento.
La conseguenza di tutto questo è che un candidato possa avere la maggioranza dei voti ma perda le elezioni perchè non ha conquistato gli stati più importanti (come è successo, ad esempio, ad Al Gore nel 2000). Per ottenere la Presidenza, servono almeno 270 Grandi elettori.
Detto questo, passiamo alla mappa. Al momento il trend nazionale analizzato da Pollster vede Obama al 46,6% e McCain al 44,4%. Obama è poco al di sopra del quorum di Grandi elettori.
Tra gli stati saldamente in mano a Obama (quelli in blu scuro) ci sono Pennsylvania (21 Grandi Elettori, 49,7% contro il 40,6%), California (55 Grandi Elettori, 52,4% contro 34,1%) e New York (31 Grandi elettori, 51% contro 30,7%), mentre ha un distacco minore in Ohio (20 G.E., 46,1% contro 42,5%) e Michigan (17 G.E., 46,7% contro 40,8%).
McCain ha invece il controllo sul Texas (34 G.E., 47% contro 40%), e sulla maggior parte degli stati del Sud, anche se il vantaggio è meno accentuato in Georgia e South Carolina.

Sono molti i grandi stati ancora in bilico: su tutti la Florida, che vede un testa a testa avvincente, 45,7% per Obama contro il 45,3% di McCain, e i 27 Grandi elettori del Sunshine State potrebbero essere ancora una volta decisivi. Obama ha un leggero vantaggio in Virginia, anche grazie alle voci su un possibile ticket con il Governatore Tim Kaine: 46,7% contro il 44,1%. Incertezza anche in Arizona, dove McCain è in vantaggio di 3 punti, un po' pochi considerato che è il suo stato di elezione. Testa a testa anche in Indiana, 43% per McCain contro il 42,4% di Obama, e questo potrebbe spingere il Democratico a scegliere come vice il Senatore ed ex Governatore dell'Indiana Evan Bayh. L'appoggio di John Edwards serve poco a Obama in North Carolina, dove è sotto di quasi 3 punti, così come serve a poco a McCain l'appoggio di Lieberman in Connecticut, saldamente Democratico.

lunedì 4 agosto 2008

Webb si mette in luce ma non ne vuole sapere di fare il vice

Proprio quando il borsino dei possibili vice lo dava come il più adatto al ruolo, il Senatore della Virginia Jim Webb ha detto pubblicamente di non essere interessato alla vicepresidenza.
"Ho comunicato al Senatore Obama e alla sua campagna la mia ferma intenzione di rimanere in Senato, dove credo di poter rappresentare al meglio la Virginia e il paese. In nessuna circostanza sarò candidato alla vicepresidenza".
Proprio la settimana scorsa, Webb era stato il primo dei papabili vice ad essere avvicinato dal team di "esaminatori" di Obama, capeggiato da Eric Holder e Caroline Kennedy. I "vetters" hanno chiesto a Webb, come è prassi in questi casi, di lasciar loro accedere a tutti i documenti riguardo la sua carriera militare e politica e la sua situazione finanziaria, per scoprire eventuali scheletri nell'armadio. Si tratta di una procedura che tocca solo chi viene seriamente preso in considerazione, visto il tempo che porta via, ma Webb ha rifiutato l'accesso ai suoi documenti personali.

Le possibilità di Jim Webb di essere chiamato da Obama come suo vice avevano ricevuto una decisa spinta in avanti la settimana scorsa, quando il Senatore della Virginia era riuscito a far approvare un suo progetto di legge sulle indennità per il servizio militare.
Webb ha avuto modo di mettersi in luce e ricevere consensi bipartisan da Repubblicani e Democratici. Il progetto di legge è stato presentato proprio in questo periodo per accreditare la rinnovata sensibilità del partito dell'asinello verso i militari e le truppe americane in guerra.
Se il Presidente Bush firmerà la legge, e non ci sono molti dubbi su questo, a detta di molti sarà l'atto legislativo più importante dell'anno.
Il 62enne ex comandante dei marine in Vietnam - dove ha guadagnato la Navy Cross, la croce d'argento e altre importanti onoreficenze - solo due anni fa conquistò il seggio al Senato per i Democratici, avendo lasciato il partito Repubblicano per cui era stato Segretario alla Marina negli anni di Reagan. Le sue caratteristiche - l'apertura bipartisan, l'esperienza in sicurezza nazionale - lo rendevano il candidato più adatto ad affiancare Obama, nonostante il suo carattere irruento e imprevedibile.
Ma gia nelle settimane scorse, in un'intervista al Washington Times, Webb aveva spiegato le sue priorità "Spero che il modo in cui siamo riusciti a lavorare su questo progetto possa esserci utile in futuro. Riuscire a compiere qualcosa lavorando tutti insieme dà una buona sensazione.



La legge proposta da Webb prevede incentivi per la scolarizzazione dei veterani in Afghanistan e Iraq, simili a quelli stanziati dopo la Seconda guerra mondiale: lezioni gratuite, rimborsi per i libri e gli alloggi nei college degli stati di residenza. Inizialmente la legge era stata contestata perchè ritenuta troppo benevola (così si era espresso anche McCain) ma dopo aver reperito i fondi (62 miliardi di dollari in 10 anni) e smussato gli angoli è passata con 92 voti favorevoli e 6 contrari.
Obama si era congratulato pubblicamente con Webb per il suo operato.


Fonte: Washington Times, The Atlantic

domenica 3 agosto 2008

Le elezioni che hanno fatto storia: 1992

Fino al 1991, la popolarità di George Bush viaggiava a gonfie vele, e non c’erano molti dubbi sulla sua rielezione l’anno successivo. Poi però l’economia iniziò a fermarsi, minacciando la recessione, e Bush fu costretto a infrangere la sua principale promessa delle elezioni del 1988, quella di non aumentare le tasse. Inoltre la conclusione della prima guerra del Golfo, che aveva lasciato al suo posto Saddam Hussein, pur rispettosa del mandato Onu, sarebbe stata percepita in seguito come segno di debolezza.


Nelle primarie Repubblicane, Bush venne sfidato dal giornalista conservatore Pat Buchanan, portavoce di quella fazione del partito irritata con il Presidente per l’aumento delle tasse. Dopo una vittoria in affanno in New Hampshire, Bush vinse comodamente le altre primarie, ma alla convention – dopo aver cercato inutilmente di sostituire Dan Quayle – fu costretto a includere molte istanze dei conservatori nel suo programma.


A causa dell’alta popolarità di Bush, molti leader Democratici nel 1991 annunciarono che non si sarebbero presentati alle primarie, ritenendo che il Presidente avesse la vittoria in tasca e che per la rivincita si sarebbe dovuto attendere il 1996. Tra questi ci furono Dick Gephardt, Mario Cuomo, Lloyd Bentsen, Sam Nunn. Al Gore decise di non candidarsi perché pochi mesi prima suo figlio Albert era rimasto gravemente ferito in un incidente stradale e la convalescenza del bambino non gli avrebbe consentito di fare campagna.
Bill Clinton, giovane Governatore dell’Arkansas quasi sconosciuto a livello nazionale, aveva annunciato da mesi la sua discesa in campo, affermando di poter battere Bush quando nessuno lo credeva possibile. Poco prima delle primarie, Clinton fu colpito da uno scandalo simile a quello che 4 anni prima aveva distrutto le aspirazioni di Gary Hart. Una donna di nome Gennifer Flowers rivelò alla stampa di aver avuto una relazione con Clinton: lui riuscì a trasformare questo scandalo in un punto di forza, ammettendo la relazione e presentandosi in tv con la moglie Hillary per chiedere scusa. La vicenda lo rese popolare in tutto il paese. In Iowa, però, a vincere fu Tom Harkin, mentre in New Hampshire prevalse il Senatore Paul Tsongas,
favorito negli stati del nord. Clinton riuscì ad arrivare secondo, e si etichettò come “Comeback Kid”. Clinton vinse quasi tutti gli stati del Super Tuesday, chiudendo virtualmente la partita anche a causa del ritiro di Tsongas, che nel frattempo aveva scoperto di avere un cancro. Quando tutto sembrava fatto per Clinton, scese a sorpresa in campo l’ex Governatore della Florida Jerry Brown, che mise in campo una imponente macchina di raccolta fondi e sembrava poter impensierire il front-runner. Ma Brown commise una leggerezza aprendo ad una vicepresidenza di Jesse Jackson, malvisto dagli elettori ebrei, e fu penalizzato da un momentaneo ritorno di Tsongas. Dopo le primarie di New York, Clinton ottenne la nomination. Clinton scelse come vice Al Gore, contraddicendo la consuetudine che vorrebbe che il n.2 bilanciasse le debolezze del nominato. Gore era giovane come lui, del sud e moderato come lui, ma così Clinton rafforzò la propria immagine “fresca” e scelse un candidato ritenuto forte sui valori della famiglia.


I timori degli elettori verso il deficit pubblico e l’inadeguatezza della classe politica spinsero il miliardario texano Ross Perot, noto per aver organizzato nel 1980 un temerario blitz per liberare i suoi dipendenti prigionieri in Iran, a candidarsi alle presidenziali mettendo in campo il suo enorme patrimonio. Perot scelse come vice il veterano James Stockdale e riuscì a raccogliere abbastanza firme da presentarsi in tutto gli stati, e a giugno i sondaggi lo davano in testa, con il 39% contro il 31% di Bush e il 25% di Clinton. Perot rovinò tutto ritirandosi dalla corsa a luglio e rientrandoci poche settimane dopo, accusando poi i Repubblicani di averlo costretto a farsi da parte minacciando di mandare all’aria il matrimonio di sua figlia.

Il ritiro di Perot e una convention magistrale, in cui tutto il partito fece quadrato attorno al nominato, Clinton riuscì a guadagnare 20 punti percentuali, arrivando al 55% contro il 31% di Bush.
Dopo la convention, Clinton e Gore iniziarono un tour in autobus per gli Usa, mentre Bush e Quayle sottolinearono l’inesperienza del Democratico in politica estera e lo attaccarono per le sue infedeltà coniugali, per aver fatto uso di marijuana e per aver saltato la leva militare. L’economia restava però l’argomento principale, e Bush guadagnò qualche punto solo dopo la convention Repubblicana, restando però ben al di sotto del 40%.
A settembre Perot rientrò in corsa, e il ritorno fu accolto con sollievo da Bush. Dopo una serie di dibattiti a tre, fu chiaro che Perot sottraeva più voti a Clinton che a Bush, e il miliardario si unì al Repubblicano nell’attaccare duramente il Governatore dell’Arkansas.


Nelle elezioni del 3 novembre Clinton vinse con ampio margine, conquistando il 43% del voto popolare contro il 37% di Bush e il 19% di Perot. Per la prima volta dal 1968 un candidato arrivò alla Casa Bianca con meno del 50% dei voti, e in tutti gli stati tranne l’Arkansas nessun candidato ottenne la maggioranza assoluta. Clinton conquistò 370 Grandi elettori contro i 168 di Bush, mentre Perot non ne conquistò nessuno. Perot è a tutt’oggi il candidato indipendente ad aver ottenuto il miglior risultato in un’elezione presidenziale, ed è l’unico ad aver partecipato a dibattiti televisivi con i due candidati principali.
I Democratici ripresero il completo controllo del Congresso, che mancava dai tempi di Carter, e Clinton sarebbe stato il primo presidente Democratico dai tempi di F.D. Roosevelt a servire per due mandati completi.