sabato 26 aprile 2008

Dimmi come va a finire

di Karen Tumulty (TIME)

Come andrà a finire nessuno lo sa. Quando, più di 20 anni fa, un ristretto gruppo di dirigenti Democratici stabilì che l'assegnazione dei delegati nelle primarie avrebbe seguito un rigido sistema proporzionale, si enfatizzò il carattere egalitario del partito, ma allo stesso tempo si piantò il seme del loro peggior incubo. Ora questa possibilità si è avverata, e non c'è nessuna road map che decida dove andranno i Democratici. Gli stessi candidati e i loro collaboratori hanno pochi indizi su cosa accadrà, anche se alcuni di loro mantengono un certo senso dell'umorismo: David Axelrod, stratega di Obama, si è fatto fotografare con una t-shirt con scritto "Stop the drama, vote Obama".
Ma il dramma c'è ancora. All'interno del partito e dei due staff, pare che si prendano in considerazione tre possibili scenari per chiudere questa partita:

1. La Clinton perde in Indiana il 6 maggio e si ritira
Ci saranno due primarie il 6 maggio, ma in North Carolina è praticamente certo che vincerà Obama, quindi la Clinton deve concentrare i suoi sforzi sull'Indiana. Privatamente, i suoi collaboratori ammettono che sarà molto difficile andare avanti se non vince in quello stato.
La Clinton parte con alcuni grossi handicap. Il più grave è la mancanza di soldi: ad aprile aveva un debito di 10 milioni di $, soprattutto per i lauti compensi dei suoi consiglieri, e molti fornitori si lamentano per i ritardi nei pagamenti. Dopo la vittoria in Pennsylvania la Clinton ha incassato 5 milioni di fondi, ma non può tenere questo ritmo.
Obama, invece, ha messo in piedi una macchina di raccolta fondi via Internet mai vista prima. Ha raccolto in media 1 milione di dollari al giorno, e gli introiti non si fermano.
Ma la Clinton ha degli amici in Indiana. Ha il supporto del più importante politico Democratico in Indiana, il senatore (ed ex Governatore) Evan Bayh. Pare che le pressioni di Bayh siano l'unico motivo per cui quattro dei cinque Rappresentanti alla Camera dell'Indiana - superdelegati - non si siano ancora espressi a favore di Obama. E secondo i sondaggi, la Clinton sta diminuendo il distacco da Obama. Oltre alla classe operaia, la senatrice va forte tra i conservatori, ed è importante in uno stato che dal 1964 non vota per i Democratici alle presidenziali.
Se la Clinton vincerà a sorpresa in Indiana, sicuramente non si ritirerà prima che gli ultimi sei stati abbiano votato. A quel punto:

2. I leader del partito intervengono a giugno
I Democratici preoccupati parlano da mesi della possibilità che i leader del partito chiudano la partita a maggio. Ma in un gruppo così anarchico come il DNC è molto difficile capire chi può avere questa influenza, soprattutto ad urne ancora aperte. Al Gore, dato come favorevole a Obama, ha resistito alle richieste di intervento, dicendo "a nessuno piacciono gli arbitri".
Tutto ciò può cambiare dopo che Montana e South Dakota avranno chiuso le primarie, il 3 giugno. A quel punto il presidente del partito Howard Dean, il leader di maggioranza al Senato Harry Reid e la Speaker della Camera Nancy Pelosi diranno ai superdelegati indecisi - circa 300 su 800 - che è tempo di esprimersi.
Molti superdelegati non sono davvero indecisi, ma attendono ad esprimersi per una questione di principio "Non vogliono che si pensi che stanno dicendo agli elettori come votare" ha detto l'ex leader del Senato Tom Daschle, che sta facendo campagna per Obama tra i superdelegati.
E' dal 1984 - quando l'establishment del partito scelse Walter Mondale invece di Gary Hart - che la nomination non viene decisa dai superdelegati. In quel caso, tutti i leader del partito si schierarono per Mondale. In questo caso è diverso, Obama ha quasi annullato il formidabile vantaggio che aveva la Clinton, e molti degli indecisi lo appoggeranno se avrà, come pare probabile, il maggior numero di delegati elettivi.
L'unica speranza della Clinton è pareggiare o superare Obama nel voto popolare.
Il team Clinton fa inoltre notare che i superdelegati sono stati istituiti negli anni '80 per assicurare un nominato in grado di vincere le presidenziali. Se la Clinton vincerà in stati come la West Virginia o il Kentucky, dicono i suoi collaboratori, incrementerà i dubbi sull'eleggibilità di Obama in autunno.
Se la Clinton avrà un distacco minimo da Obama, tornerà in gioco il caso di Florida e Michigan, i cui delegati sono stati cancellati dal computo. Se questi stati dovessero risultare decisivi, si arriva al terzo e peggiore scenario:

3. Tutte le strade portano a Denver
Decidere se e come includere i delegati di Michigan e Florida nella convention è la grande incognita. La situazione della Florida dovrebbe essere più semplice, perchè entrambi i candidati erano presenti sulla scheda elettorale e l'affluenza è stata alta. Il Michigan è un'altra storia, perchè il nome di Obama non era sulla scheda ma la Clinton non acconsente a nessuna soluzione che cambi il risultato del voto.
Ciò vorrebbe dire che, per la prima volta dal 1972, il partito aprirà una convention senza un candidato designato. Se non si trova una soluzione per Florida e Michigan entro il 29 giugno tutto verrà deciso dal Credentials Committee, una commissione di un centinaio di persone su cui Dean ha poca influenza. Provate a immaginare: dopo un anno di affluenza record alle primarie, la nomination verrà decisa in una stanza fumosa da un gruppo di sconosciuti a luglio. Se succederà, ci sarà almeno una persona contenta: John McCain.

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