venerdì 2 maggio 2008

Karl Rove: Obama è pronto per il prime time?

di Karl Rove (ex consigliere e vice-capo dello staff di George W. Bush) - Wall Street Journal


Dopo essere stato messo Ko per 55% a 45% in Pennsylvania, Barack Obama era in cerca di spiegazioni. Non ha saputo fare meglio che scrivere una e-mail ai supporter ringraziandoli di averlo aiutato a colmare il distacco. Poi ha chiesto soldi.
I soldi sono l'ultimo dei problemi di Obama. Ha bisogno di un messaggio che convinca i Democratici. Recentemente ha passato troppo tempo a proclamare la sua inevitabile nomination: ma lo sanno già tutti che ha vinto più stati, voti e delegati.
Le sue parole sono state particolarmente futili nell'affrontare la sconfitta di martedì. Obama è stato battuto nonostante abbia surclassato la Clinton per presenze televisive almeno di 3 a 1. I sondaggi degli ultimi giorni mostravano un possibile distacco di 4 o 5 punti, ma la Clinton a quanto pare ha conquistato i voti degli indecisi dell'ultimo minuto.


Il modo e i luoghi in cui la Clinton ha vinto dovrebbero preoccupare lo staff di Obama. Lei ha fatto meglio - e lui peggio - del previsto nei sobborghi di Philadelphia. La Senatrice ha vinto in due dei quattro popoloso sobborghi, abitati da quel tipo di elettori che finora aveva decretato le vittorie di Obama.
Nelle zone rurali e nelle cittadine "amareggiate", la Clinton lo ha surclassato. Il maggiore sostenitore di Obama nello stato era il senatore Bob Casey, che viene da Lackawanna Country: in questo paese la Clinton ha preso il 74% dei voti.
Il problema della Clinton è che rimane ancora indietro nella conta dei delegati. A questo punto nessuno dei due può raggiungere la cifra magica di 2.024 delegati valevoli per la nomination. Il sistema proporzionale che regola le primarie democratiche rende molto difficile per la Clinton colmare il distacco solo con i delegati ancora da assegnare: dovrebbe conquistare il 58% dei delegati restanti, ma finora ha ottenuto risultati simili solo 4 volte su 46.
La strada è in salita. Mentre Indiana, Kentucky, West Virginia e Puerto Rico sono buoni territori, l'Oregon e il Montana sono ardui. E lei è sulle spese: ad aprile ha incassato 9,3 milioni di $ ma ha 10,3 milioni di debiti. Obama ha incassato 42,5 milioni e ha debiti per soli 663mila dollari.

I soldi hanno permesso a Obama di dimezzare il supposto svantaggio in Pennsylvania, e dovrebbero garantirgli un buon risultato in Indiana, dove i sondaggi danno un testa a testa.
Se la Clinton vince in Indiana, andrà avanti comunque, con il rischio che a giugno i Democratici avranno un risultato spaccato: Obama avrà più delegati ma la Clinton più voti popolari.
Infatti se si calcolano anche i voti di Michigan e Florida, la Senatrice ha un vantaggio di 113.000 voti.
Certo, Obama non era sulla scheda elettorale in Michigan e non ha fatto campagna in Florida, ma i Democratici hanno detto che tutti i voti contano. In fin dei conti, è stato Obama a non voler comparire sulla scheda elettorale in Michigan, nessuno l'ha obbligato.
E vogliamo parlare dei delegati di Michigan e Florida? Secondo i miei calcoli, la Clinton potrebbe avere un vantaggio di circa 54 delegati se venissero accolti i risultati di gennaio (e se i delegati uncommitted del Michigan andassero tutti a Obama). Se a giugno sarà in testa come ora di circa 125 delegati, Obama permetterà che i delegati di Michigan e Florida partecipino alla convention oppure, come adesso, farà come se due stati con 41 grandi elettori non esistessero?


Il Partito Democratico ha due candidati indeboliti. Mrs. Clinton è già partita con una pesante zavorra: il palpabile e spiacevole segno di predestinazione, l'assenza di un messaggio ottimistico, l'impazienza di tornare al potere, l'aggressività. Problemi che sono cresciuti con il passare delle settimane.
Obama ha un problema con le classi operaie, e per una valida ragione. Come può non capire il motivo per cui molti si siano sentiti offesi per le sue frasi sugli abitanti delle piccole città? E come fa a meravigliarsi che gli venga rinfacciata un'amicizia ventennale con un pastore che nei suoi sermoni accusa il nostro governo di aver creato l'Aids come arma di distruzione di massa e chiede a Dio di maledire l'America?
Il suo messaggio unitare è poco credibile, e la sua retorica va bene per gli studenti del college e per gli afro-americani impegnati nel sociale.
Obama non si è impegnato per le grandi cause al Congresso. Si è manifestamente dimostrato incapace di spendersi dulle questioni urgenti. E' stato solo un osservatore distaccato. Ha risparmiato le sue energie e il suo talento per l'imoportante compito di fare carriera.
Ma è successo qualcosa prima che si chiudesse la campagna elettorale in Pennsylvania. Gli elettori hanno visto Obama in difficoltà nel dibattito, e poi lo hanno sentito lamentarsi degli attacchi della Clinton mentre contemporaneamente lanciava accuse eccessive a John McCain.


Obama è vicino alla nomination, ma è ora che faccia tabula rasa, che rinnovi il suo repertorio e dica qualcosa di nuovo. La sua condotta nelle ultime settimane crea dei seri dubbi sul fatto che, nonostante tutto il suo talento, sia davvero pronto per fare il Presidente.



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