giovedì 1 maggio 2008

L'incredibile regressione dei Democratici

di Joe Stein (TIME)

"Queste elezioni" ha detto Bill Clinton poche ore prima delle primarie in Pennsylvania "sono troppo grandi per essere ridotte". Un sentimento nobile ridotto ai minimi termini, e il fulcro del credo Democratico - che George W. Bush è stato il peggior presidente di sempre e che quest'anno si devono affrontare problemi enormi. Ma èanche una frase ridicola. Le primarie in Pennsylvania hanno rappresentato sei settimane disastrose, con Hillary e Obama - e pure Bill - che hanno perso consensi su base quotidiana. Nello stesso discorso, Clinton ha detto che Obama ha usato la questione razziale contro di lui. E questa è stata la cosa meno assurda.
La vittoria di Hillary in Pennsylvania è stata convincente ma ha avuto un alto costo per la reputazione dei Clinton nel partito. La sua campagna è stata un continuo attacco ai punti deboli di Obama, veri o immaginari, più che sulle questioni reali. Dopo la gaffe sulla Bosnia, il 60% degli Americani non la considera degna di fiducia, numeri degni di Nixon.

Ma il danno è stato ben peggiore per Obama, che era entrato in gara come un vento fresco e nuovo ed è stato lasciato ad inacidirsi tanto da non essere più il "cocco" del partito. In queste sei settimane gli Americani hanno saputo che è stato membro di una chiesa il cui pastore è solito pronunciare sermoni violenti, che è stato "in amicizia" con un ex terrorista, che guarda alla vita della classe operaia - la partita a bowling, la caccia, la messa e il consumo di cibi grassi - come farebbe un antropologo, con distacco e perplessità. E' normale che tutto questo non convinca i bianchi, soprattutto quelli con istruzione inferiore, che guardano con sospetto questo inesperto afro-americano con un nome arabeggiante e molto bravo con le parole.

L'audacità della campagna di Obama è stata quella di pensare che la politica della disinformazione fatta in passato potesse essere spazzata via da un mirato, e vago, appello all'unità della nazione per un bene comune. Ma questa convinzione si è scontrata contro un muro in Pennsylvania. Nello specifico questo muro è rappresentato dal dibattito della ABC visto dalla cifra record di 10 milioni di persone, che entrerà nella storia per la volgarità delle domande, con i primi 40 minuti interamente concentrati su questioni personali.

La grande ironia di questa campagna elettorale è che Obama all'inizio aveva detto di volersi gettare alle spalle le lotte in stile anni '60, e adesso invece ne è pienamente coinvolto. Le domande dei moderatori durante il dibattito in Pennsylvania riguardavano spesso controversie nate negli anni '60: i sermoni del Reverendo Wright e le loro radici in quel movimento nero che corruppe la comunità amorevole di Martin Luther King, le spille con la bandiera entrate in uso da parte dei politici come risposta alle bandiere bruciate dai manifestanti pacifisti, la violenza di terroristi come William Ayers che corruppe i movimenti pacifisti. Tutto ciò accadde quando Obama era un adolescente e aiuta a definire l'atmosfera in quelle comunità di Chicago di cui ora il senatore fa parte. Per 40 anni i Repubblicani ha basato la propria propaganda sugli estremismi di queste comunità, e i Democratici sono stati incapaci di affrancarsi da questo fardello.

La sfida di Obama è di valore ed essenziale al tempo stesso. Su una cosa lui e Bill Clinton sono d'accordo: queste elezioni saranno importantissime. Bisogna prendere una decisione sull'Iraq; il mercato dei mutui e il sistema sanitario cadono a pezzi; c'è la necessità di rendersi indipendenti per quanto riguarda il petrolio e l'energia, per non parlare della modernizzazione delle infrastrutture e di altri importanti temi sociali.
Ma Obama sta percorrendo la strada sbagliata "Dopo 14 mesi" ha detto in un discorso "è facile cadere nelle distrazioni stupide, nel bisticciare e banalizzare questioni serie". Cosa c'è che non va, chiederete? Che è troppo astratto, distaccato. Troppo spesso Obama è parso incapace di sporcarsi le mani e lottare per combattere queste "distrazioni".
Ovviamente è una strategia - la volontà di portare avanti una politica civile, particolarmente necessaria per un politico di colore. Ma non sarebbe stato meglio affrontare direttamente i moderatori del dibattito "Perchè neanche voi indossate la spilla con la bandiera? E perchè non la indossa Hillary?". Questa è proprio la strategia della Clinton nei dibattiti precedenti, e le ha portato vantaggi in Ohio e Texas.

Non sono sicuro che Bill e Hillary Clinton siano persone sane e ragionevoli, almeno quando concorrono per una carica: diventano dei robocop politici, instancabili e apparentemente indistruttibili. La senatrice era in fiamme prima del voto in Pennsylvania, non l'ho mai vista tanto su di giri, ma ha avuto quel calore che a Obama è mancato, e non ha lesinato trucchetti politici triti ma efficaci, come promettere di abbassare i prezzi del gas o attaccare il rivalio su questioni banali. Strategia che le è costata le ire del New York Times: "Questi continui attacchi senza affrontare le questioni vere e proprie smentiscono il motivo per cui questo e altri giornali la hanno appoggiata: il fatto che sia più qualificata per essere Presidente".

Il problema è la mancanza di una definizione certa delle caratteristiche necessarie per essere presidenti: bisogna essere combattenti, saper dare pugni. Una certa familiarità con la vita di tutti i giorni può aiutare; una certa distanza da ambienti elitari in cui un ex terrorista può sorseggiare vino in buona compagnia è essenziale. La Clinton ha imparato la lezione nel modo più duro, Obama pensa che sia "la lezione sbagliata". Ma non riuscirà ad arrivare alla presidenza se non capirà che per raggiungere le vette deve passare per i bassifondi.


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