L'economia americana, e di conseguenza anche le altre, sta attraversando una crisi recessiva con pochi precedenti nella storia recente. Da un lato l'aumento esponenziale del prezzo del petrolio ha messo in crisi non solo i trasporti ma tutto il settore industriale, costretto a diminuire le forniture e i posti di lavoro, dall'altro lato la crisi dei mutui e del sistema bancario statunitense ha costretto molte famiglie a indebitarsi e a perdere potere d'acquisto. Una morsa da cui sembra difficile uscire.
Non c'è da meravigliarsi che il tema dell'economia in campagna elettorale sia diventato più importante della politica estera, della guerra in Iraq, della lotta alla criminalità e del miglioramento del sistema sanitario.
Obama ha iniziato lunedì scorso un tour elettorale di due settimane in aree in difficoltà, nel sud e nel Midwest degli Stati Uniti e anche molte roccaforti repubblicane. Il tour comprende anche Pennsylvania e in Ohio, considerati stati in bilico, conquistati dalla sua ex avversaria Hillary Clinton alle primarie democratiche e che potrebbero risultare decisivi il 4 novembre. L'iniziativa ricorda molto quella di Bill Clinton del 1992, quando con lo slogan "It's the economy, stupid" sconfisse Bush sr. Inoltre, obbligare McCain a fare campagna in Stati che lui considera acquisiti, potrebbe metterlo in difficoltà economica e sottrargli mezzi finanziari in Stati chiave (e indecisi) come Florida o Ohio.
Partito dalla North Carolina, l'economy tour è arrivato al giro di boa, ed ecco un riassunto delle proposte partite dal candidato Democratico.
La prima, e che ha avuto una notevole eco anche da noi per una iniziativa analoga del governo italiano, è quella di tassare i profitti inattesi delle società petrolifere. Nel mirino società come la Exxon, a cui il candidato democratico propone di far pagare "sugli extra-profitti provocati dal rialzo del prezzo del petrolio, per aiutare le famiglie a pagare le bollette dell'energia salite a livelli astronomici e altri conti della spesa". Una misura che serve anche a scoraggiare il caro-benzina, e che non è una novità per gli Usa: già introdotta nel 1980, all'epoca del secondo shock petrolifero, era stata in seguito abolita nel 1988 da Ronald Reagan. Secondo alcuni dati forniti dalla campagna di Obama, il progetto prevede la tassazione di ogni barile che supera gli ottanta dollari: un'imposta non irrilevante se si considera che oggi un barile di petrolio è quotato oltre 135 dollari.
Altre proposte: aumentare le tasse agli americani che hanno un reddito alto, accelerare i tempi per offrire un rimborso che porti centinaia di dollari nelle tasche delle famiglie meno abbienti, in modo da controbilanciare alcuni degli aumenti durante l'estate e l'autunno, in considerazione del prezzo globale del petrolio.
Il candidato democratico ha fatto riferimento alla difficile situazione dei lavoratori in Indiana, Ohio, Pennsylvania e Wisconsin. Non è necessario – ha affermato Obama – “guardare l’andatura della borsa o scorrere i titoli delle sezioni finanziarie dei giornali per comprendere la gravità della situazione”. Basta andare in Pennsylvania – ha proseguito - e “ascoltare la storia dell’uomo che ha perso il proprio lavoro e che non può permettersi la benzina per andare in giro a cercarne un altro".
McCain, che sul tema economico è visto come meno affidabile secondo tutti i sondaggi, ha replicato evidenziando il fatto che il piano di Obama si absa sostanzialmente sull'aumento delle tasse: "Obama è stato in Senato solo tre anni e ha già votato 94 volte per alzare le tasse. È lui che non capisce niente di economia e questo è un tipo di cambiamento che non ci possiamo permettere".
Si ripropone anche in questo caso una situazione simile al 1992, quando Clinton salì al potere e fu costretto ad aumentare le tasse per riparare il deficit lasciato da Bush. E ci riuscì.
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