di Rebecca Sinderbrand (CNN)
In politica, come nella vita, non esistono scommesse vinte in partenza. Ma Hillary Clinton ci è andata vicino.
L'annuncio ufficiale di volersi candidare alle primarie era una formalità in vista di una nomination che sembrava talmente sicura che i Repubblicani già nel 2007 dibattevano su chi fosse il miglior candidato da contrapporre alla Senatrice di New York.
La Clinton aveva una lista quasi interminabile di punti a proprio favore, ma erano tre quelli più importanti.
Il primo era suo marito Bill, l'ex Presidente che è tuttora in cima alla lista dei capi di stato più amati e dei Democratici più influenti.
Un altro era il fatto che da decenni la Clinton è un personaggio pubblico, contando anche i due mandati da First Lady, e questo era l'ideale per rassicurare gli elettori più dubbiosi.
Infine, la sua candidatura era definita sin dall'inizio "inevitabile", scoraggiando buona parte dei possibili avversari più pericolosi.
Ma una volta cominciata la corsa, questi vantaggi si sono trasformati in debolezze croniche e irrimediabili. La sua immagine di leader esperta l'ha esposta ad attacchi su due fronti: da parte di chi metteva in discussione la portata di questa esperienza, e da parte di chi chiedeva un volto nuovo.
Il pensiero di una Clinton che succede a un Bush, che è seguito a un Clinton che era seguito a un Bush non si è adattato all'umore del paese. Il suo voto a favore dell'uso della forza in Iraq sembrava una mossa prudente nel momento in cui il suo obiettivo era conquistare il supporto degli indipendenti, ma nel 2007 il sentimento degli elettori - e della base del partito- si è spostato decisamente contro la guerra in iraq.
Gli sforzi della Clinton di proporsi come lottatrice, hanno riesumato ricordi sepolti nella memoria collettiva: prima di queste primarie, gli anni '90 erano ricordati come un'era di benessere, di crollo della criminalità e di grandi opportunità. La retorica della Clinton ha riportato alla luce l'altra faccia della medaglia, le guerre interne al partito e la battaglia più grande di tutte: il tentato impeachment del marito per la relazione con una stagista della Casa Bianca.
Bill Clinton è sembrato lontano dal sentimento nazionale, parlando come un politico che non ha niente da perdere e alienandosi il sostegno degli indecisi. Ha rubato spesso la scena alla moglie sollevando preoccupazioni sulla sua influenza e contribuendo all'impressione che votare Hillary avrebbe significato di fatto un terzo mandato di Bill.
Quando poi Barack Obama ha cominciato a mietere successi, il consenso di Hillar fra i neri si è rposciugato.
Tutte queste difficoltà si sarebbero potute superare, se l'organizzazione che la Clinton aveva messo in piedi non avesse fallito praticamente in tutto.
Si è lasciata sfuggire nomi importanti - come Steve Hildebrand, oggi vice capo dello staff di Obama - in favore di vecchi amici con esperienza decisamente minore, come Patti Solis Doyle e il discusso stratega Mark Penn.
Il tipo di comunicazione messo in piedi da Pennsi è rivelato un fallimento, rovinando la popolarità della Clinton, e la Solis Doyle ha fatto evaporare gli ingenti fondi raccolti.
Le lotte intestine allo staff, e la decisione di candidarsi nei caucus dell'Iowa anche se molti le avevano consigliato di partire direttamente dal New Hampshire, le sono stati fatali.
La sconfitta in Iowa ha dissolto istantaneamente l'aura di inevitabilità e ha spedito la campagna elettorale in una crisi da cui non si è mai pienamente ripresa.
Una campagna costruita per chiudersi la prima settimana di febbraio si è trasformata in una maratona ad ostacoli. Ogni volta che lo staff si preparava a coprire gli stati successivi al Super Tuesday, trovava già il territorio occupato dalla macchina organizzativa di Obama.
Lo staff si è trovato con un deficit di diversi milioni di dollari, e alla fine della campagna Obama aveva il doppio o il triplo degli operativi della Clinton.
La prima donna ad avere una seria possibilità di arrivare alla Presidenza ha dovuto poi fronteggiare sfide inedite: esprimere emozioni senza apparire emotiva, dimostrare forza ma anche ammettere errori senza apparire debole.
I suoi attacchi ad Obama le sono costati attacchi, ma quando si è lasciata andare - come alla vigilia del voto in new Hampshire - è stata ugualmente criticata.
alcune sue dichiarazioni le sono costate l'ostracismo dei leader del partito. Icone Democratiche come John Edwards ed ex amici della senatrice come Bill Richardson sono passati dalla parte di Obama.
Nel frattempo i ruoli politici si sono capovolti, e i Democratici si sono trovati costretti a cercare un candidato da contrapporre a John McCain.
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