domenica 8 giugno 2008

Le elezioni che hanno fatto storia: 1960

Le elezioni presidenziali del 1960 segnarono la fine dell'era politica del Repubblicano Dwight Eisenhower, il primo Comandante in Capo a dover sottostare al 22°emendamento, che stabiliva un massimo di due mandati per il Presidente USA.

Per la selezione del candidato Repubblicano non ci fu partita. Eisenhower appoggiò incondizionatamente il suo vice, Richard Nixon. Il Governatore di New York Nelson Rockfeller, il leader dell'ala moderata e "di sinistra" del GOP nel 1959 aveva annunciato l'intenzione di candidarsi, ma dopo un tour elettorale decise di non presentarsi perchè il paese era schierato in grande maggioranza per Nixon. Non si tennero vere e proprie primarie, e Nixon alla convention ottenne la quasi totalità dei delegati - dopo che anche Barry Goldwater si fece da parte - e scelse Henry Cabot Lodge come vice.


Molto più combattuta fu la partita in casa Democratica. Ai nastri di partenza si presentarono Lyndon Johnson (leader del partito), Adlai Stevenson (sconfitto da Eisenhower nelle presidenziali del 1952 e del 1956), Hubert Humphrey, Stuart Symington (uomo d'affari ed ex ministro dell'aviazione), Pat Brown, e il giovane senatore cattolico John Fitzgerald Kennedy.
Johnson, presidente del partito dal 1953, era il naturale favorito ed aveva alle spalle tutto l'establishment del DNC. La certezza della nomination lo portò a decidere di non presentarsi alle primarie (che fino a quel momento si tenevano solo in 14 stati) ma di attendere direttaemente la convention, sicuro di avere la maggioranza dei delegati.
La sfida nelle primarie fu quindi da Kennedy e Humphrey, gli unici due candidati a poter aspirare alla vittoria. Kennedy dovette affrontare due diversi pregiudizi, il primo sull'età (non aveva ancora 43 anni, e fino a quel momento non c'era ancora stato un Presidente USA nato nel XX secolo) e il secondo sulla religione (non c'era ancora stato un Presidente cattolico). In particolare quest'ultimo causava perplessità nel partito, memore della sconfitta del cattolico Al Smith nel 1928. Kennedy sfidò Humphrey prima nel Wisconsin, dove vinse grazie ai voti dei cattolici, e poi nella West Virginia, stato a maggioranza protestante e pervaso da un profondo sentimento anti-papista. Qui Kennedy ottenne il 60% dei consensi, anche grazie alla perfetta macchina organizzativa della sua campagna elettorale, e costrinse Humphrey a ritirarsi.
Pur perdendo la California (in cui stravinse il Governatore Pat Brown), Kennedy conquistò 10 stati e quasi due milioni di voti, girando per gli USA e convincendo i delegati degli altri stati a sostenerlo alla convention.

La convention Democratica si tenne a Los Angeles all'inizio del mese di luglio, e Johnson aveva ancora un numero di delegati superiore a quello di Kennedy. Il leader del partito sfidò il giovane rivale in un pubblico dibattito, in cui però fu Kennedy ad avere la meglio. Grazie ad uno staff guidato dal fratello Robert, Kennedy conquistò altri delegati indecisi mentre Johnson non riuscì ad espandere il suo consenso negli stati del Sud. Durante la convention, alcuni supporter di Johnson misero in giro la voce che Kennedy avesse il morbo di Addison, una disfunzione ghiandolare, ma la notizia si rivelò falsa.
I delegati votarono, e Kennedy vinse al primo colpo, conquistando 806 voti contro i 409 di Lyndon Johnson. Subito dopo, con una mossa che stupì molti, JFK offrì al rivale la vicepresidenza.
Sono diverse le versioni su questo punto della storia. Alcuni storici ritengono che Kennedy abbia offerto la vicepresidenza a Johnson solo come atto di cortesia, mentre il suo vero obiettivo era Symington, e che fu molto sorpreso da vedere accettata l'offerta. Secondo altri, Johnson sarebbe stato dubbioso sul da farsi, ma dopo che Robert Kennedy lo affrontò a muso duro chiedendogli di stare fuori dal ticket, il leader del partito chiese un chiarimento a JFK, che gli ribadì la sua stima. A questo punto Johnson accettò.
Comunque siano andate le cose, la mossa si rivelò azzeccata, perchè la presenza di Johnson nel ticket portò a Kennedy i voti di cui aveva bisogno.


Sia Kennedy che Nixon condussero una campagna elettorale accompagnata da una folla entusiasta. Ad agosto i sondaggi davano Nixon leggermente in vantaggio, ma il vice-presidente incontrò diversi intoppi, anche dal suo stesso partito. In una conferenza stampa, al Presidente Eisenhower fu chiesto di citare un consiglio di Nixon che gli era risultato particolarmente utile; il Presidente, di cui era nota l'antipatia verso il suo n° 2, rispose con la famosa battuta "Se mi date una settimana di tempo posso farmene venire in mente uno". I Democratici utilizzarono la frase come slogan per danneggiare la reputazione di Nixon. Ad agosto Nixon si ferì al ginocchio, e a causa di un'infezione fu costretto ad interrompere la campagna elettorale. Poichè aveva promesso di visitare tutti gli stati, quando venne dimesso dall'ospedale decise di mantenere la promessa perdendo così tempo prezioso in stati inutili ai fini della vittoria.
Ma tutti gli analisti vedono il punto di svolta della campagna elettorale nei 4 dibattiti tra Kennedy e Nixon. Il primo dibattito si tenne a pochi giorni dall'uscita dall'ospedale di Nixon, e il Repubblicano insistette per fare campagna elettorale fino a poche ore prima della diretta televisiva, rifiutando inoltre il make-up prima di andare in onda. Davanti a 80 milioni di spettatori, Nixon apparve stanco, sottopeso, sciupato e sofferente, mentre Kennedy era riposato, disteso e perfettamente a suo agio. Si racconta che subito dopo il dibattito, Nixon venne chiamato al telefono dalla madre che gli chiese se fosse malato. Nei tre dibattiti seguenti Nixon fece tesoro degli errori, ma il numero di spettatori non fu paragonabile a quello del primo.
Kennedy tenne un importante discorso davanti ai pastori protestanti del Texas, assicurando che da Presidente avrebbe tenuto separata la Chiesa dallo stato, e non avrebbe permesso nè al Papa nè al clero cattolico di dettargli il programma politico.
Negli ultimi dieci giorni della campagna elettorale, Eisenhower scese finalmente in campo a favore di Nixon, contribuendo a riportare in equilibrio i sondaggi.


Le elezioni si tennero l'8 novembre. I primi risultati provenienti dai grandi stati diedero a Kenney una larga leadership, che si andò però assottigliando man mano che giungevano i risultati del Midwest e delle zone rurali. Solo nel pomeriggio del 9 novembre Nixon si decise ad ammettere la vittoria di Kennedy, che fu comunque una delle più risicate fino a quel momento: 34.220.984 elettori per il Democratico, pari al 49,7% e a 303 Grandi Elettori, e 34.108.157 elettori per Nixon, pari al 49,5% e a 219 Grandi Elettori, con 26 stati vinti contro i 22 di Kennedy. Alcuni storici ritengono tuttavia che in Texas ed Illinois il voto non sia stato regolare, e che Nixon avesse in realtà vinto quegli stati, che gli avrebbero consentito di diventare Presidente. Molti si sono spinti ad accusare la macchina organizzativa di Johnson di aver fatto brogli elettorali. I Repubblicani cercarono di spingere Nixon a chiedere un riconteggio, ma lui si rifiutò. John F. Kennedy diventò quindi il 35° Presidente degli Stati Uniti, il più giovane eletto (Theodore Roosevelt era di qualche mese più giovane ma diventò Presidente subentrando a McKinley che fu assassinato) e il primo (e finora unico) cattolico.

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