domenica 6 aprile 2008

Richardson: decidono gli elettori, non i pezzi grossi

Dopo essersi ritirato dalle primarie, Bill Richardson è rimasto per diverse settimane lontano dai riflettori e dalle polemiche.

Quando è tornato, ha portato con sè il pesante endorsement per Obama, e altre due novità: una folta barba che gli dà un'aria più seriosa e che incute rispetto, e un piglio battagliero e presenzialista che lo ha portato a svariare in tutti i talk show per spiegare i motivi del suo inatteso appoggio. A "Face the Nation" sulla CBS, Richardson ha risposto a chi lo accusava di slealtà nei confronti dei Clinton. "Tra l'amore per i Clinton e quello per il mio paese, ho scelto il secondo" ha spiegato e, rispondendo alle pesanti accuse di James Carville, che lo ha paragonato a Giuda, ha criticato il "veleno personale" di certi consiglieri della Clinton "che si comportano come se la presidenza fosse una loro proprietà personale".
"Devo molto ai Clinton" ha spiegato "ho servito nell'amministrazione Clinton e sono stato leale al Presidente, ma questo non vuol dire che per il resto della mia vita dovrò seguire tutto ciò che fanno. E infatti io correvo contro la Clinton, quando mi sono candidato alla presidenza".
Poi ha affrontato lo scottante tema dei superdelegati, definendo "interessante" l'ipotesi di una convention dei superdelegati per decidere la posizione da prendere, dopo la fine delle primarie, ma a patto che non si annulli la scelta fatta dagli elettori.
"Quello che bisogna evitare è che siano i pezzi grossi del partito, i superdelegati, a decidere la nomination. Questa è una cosa che tocca agli elettori. Ma forse può succedere che alcuni leader come il Dean, Nancy Pelosi, Al Gore, John Edwards, trovino il modo per far sì che i superdelegati discutano e si accordino per evitare una convention sanguinosa che ci indebolirebbe".

Il giorno dopo, Richardson ha scritto un editoriale per il Washington Post, intitolato "Lealtà al mio paese", in cui tra le altre cose ha affermato

"Il mio recente endorsement per Barack Obama è stato oggetto di discussioni e polemiche. Guidati dal commentatore James Carville, che fa della provocazione una ragione di vita, i supporter della Clinton hanno speculato sui motivi del mio appoggio, arrivando agli insulti.
Certamente non mi abbasserò al livello di Carville, ma mi sento obbligato a difendermi da queste accuse insensate.
Ho ripetutamente chiesto ai Democratici di evitare gli attacchi personali, e persino presentato una risoluzione che impegnasse tutti a fare campagna sugli argomenti importanti. Questa campagna è stata troppo negativa, e noi Democratici dobbiamo calmare la retorica degli attacchi e unirci per sconfiggere i Repubblicani.
Ho appoggiato il Senatore Obama perchè credo che abbia il giudizio, il temperamento e il carattere per colmare queste divisioni.
E' stata una decisione sofferta e dolorosa. Il mio affetto per il Presidente Clinton rimane immutato, per la straordinaria opportunità che mi ha dato per servire lui e il paese. E nessuno più di me ha lavorato più duramente e lo ha servito più lealmente, anche nei momenti più difficili.
Ho contemplato seriamente l'ipotesi di appoggiare Hillary Clinton, ma non ho mai detto a nessuno che lo avrei fatto. Chi lo dice è disinformato o peggio.
Non credo che la verità impedirà a Carville e a quelli come lui di attaccarmi. Posso solo dire che dobbiamo lasciarci alle spalle gli insulti. Quell'epoca è passata e per me Obama rappresenta la migliore speranza di sostituire le divisioni con l'unità".

Infine, due giorni fa, alcune fonti hanno riportato al Time che Richardson avrebbe parlato con i Clinton ammettendo che "Obama non può vincere".
Immediata la replica dello staff del Governatore del New Mexico.
"Il Governatore Richardson non ha mai messo in discussione l'eleggibilità del senatore Obama. Crede che Barack Obama sia la persona giusta per guidare il paese e che sarà il prossimo Presidente. Il Governatore vuole superare la fase nonsense dei 'si dice'. E' irrilevante e stupida. Bisogna concentrarsi sulla guerra in Iraq, sull'economia e sulle politiche sanitarie, che è esattamente quello di cui parla Obama".

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