lunedì 26 maggio 2008

Joe Lieberman critica la politica estera di Obama

Il Wall Street Journal è stato teatro di uno scambio di opinioni tra due vecchie volpi del Congresso americano, Lieberman e Biden, che con due editoriali hanno disquisito sulla strategia di Barack Obama in politica estera.
Ha aperto le danze Joseph Lieberman, ex candidato vicepresidente di Al Gore nel 2000, uscito da Partito Democratico nel 2004 e molto vicino a John McCain in questa campagna elettorale.
I Democratici e i nostri nemici
di Joseph Lieberman

Come ha fatto il partito di Franklin Roosevelt, Harry Truman e John F. Kennedy ad all0ntanarsi così tanto dai principi di politica estera e sicurezza nazionale che erano il cuore pulsante della sua identità? All'inizio degli anni '40, il partito dovette confrontarsi contemporaneamente con la Germania nazista e l'Unione Sovietica. Sotto Roosevelt, Truman e Kennedy i Democratici condussero una politica estera internazionale, forte e di successo.
Questo è il partito in cui sono cresciuto, un partito che non aveva paura di dare giudizi morali su ciò che accadeva al di fuori dei nostri confini. Era il partito di Harry Truman, che disse "è compito degli Usa sostenere i popoli liberi che resistono alle pressioni di minoranze armate".
Era il partito di John Kennedy, che nel discorso inaugurale della sua presidenza disse che avrebbe "pagato qualasiasi prezzo, sopportato qualsiasi peso, affrontato ogni avversità, aiutato ogni amico per assicurare il trionfo della libertà".
Questa visione cominciò a cadere a pezzi con la guerra in Vietnam, e venne sostituita da una molto diversa. Invece di vedere la Guerra Fredda come una lotta tra le nazioni libere dell'occidente e i regimi del mondo comunista, questa filosofia politica vide l'America come l'aggressore, un potere imperialista e militare che rappresentava il vero pericolo per la pace mondiale.
In questo modo negli anni '70 e '80 i Democratici diventarono schiavi di una politica estera che era l'antitesi di quello per cui si erano battuti in passato.
Negli anni '80 ci fu finalmente chi tentò di correggere la rotta, e i cosiddetti Neo-Democratici vinsero prima del previsto nel 1992 quando furono eletti Bill Clinton e Al Gore. Nei Balcani, ad esempio, quando Clinton arrivò lentamente ma con sicurezza alla conclusione che solo un 'intervento americano poteva fermare Slobodan Milosevic, le attitudini dei Democratici verso l'uso della forza cominciarono a cambiare.
Questo fortunato sviluppo continuò con la campagna del 2000, quando il candidato Democratico Gore promosse una politica estera basata sulla libertà dalle dittature.
Di contrasto, George W. Bush promise una politica estera "umile" e criticò le missioni di pace dei Balcani.

Oggi, a meno di un decennio di distanza, i partiti hanno rovesciato le loro posizioni. Tutto è cominciato, come molte altre cose, l'11 settembre 2001. Bush abbandonò la sua politica estera prudente riconoscendo in quegli attentati un attacco ideologico e militare alla nostra società. Se i Democratici fossero stati coerenti, l'America avrebbe affrontato i terroristi con unità.
Invece nel partito iniziò un dibattito su come rispondere a Bush. Io sostenni che i Democratici dovessero sostenere la politica di Bush, ma la scelta dei nostri leader fu diversa. Quando la vittoria totale tardò ad arrivare, le voci dei pacifisti ad ogni costo tornarono a farsi sentire, vedendo in Bush e non in Bin Laden il nemico, e portando il partito più a sinistra di quanto fosse mai stato negli ultimi 20 anni.

Troppi leader Democratici si sono sottomessi a queste posizioni invece di sfidarle. Incluso, sfortunatamente, Barack Obama che contraddicendo il suo retorico appello all'unità, non ha mai sfidato la sinistra del partito su nessun tema di politica estera o economica o di sicurezza nazionale.
In questo, Obama è in netto contrasto con John McCain, che ha mostrato coraggio politico in tutta la sua carriera per fare ciò che è giusto, anche a costo di perdere popolarità nel partito o fuori di esso.
John capisce anche una cosa su cui molti Democratici sono confusi: la differenza tra gli amici dell'America e i nemici dell'America.
Certamente ci sono momenti in cui bisogna affidarsi alla diplomazia, ma Barack Obama non ha proposto un piano selettivo, ma di incontrare nel primo anno di presidenza tutti i leader anti-americani del mondo, senza preocondizioni.
Obama ha detto di voler seguire le orme di Kennedy e Reagan. Ma Kennedy non ha mai incontrato Castro, e Reagan non ha mai incontrato Khomeini. E qualcuno può immaginare Kennedy o Reagan incontrarsi incondizionatamente con Ahmadinejad o Chavez? Io certamente no.
Se un presidente abbracciasse i nostri peggiori nemici in questo modo, li rafforzerebbe e metterebbe in pericolo le nostre alleanze. Un grande Segretario di Stato Democratico, Dean Acheson, una volta disse "Nessun popolo che ha pensato di proteggere la libertà rendendosi inoffensivo è mai sopravvissuto". Una lezione che i leader Democratici devono apprendere di nuovo.

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3 commenti:

Anonimo ha detto...

L'americano (repubblicano) medio si aspetta discorsi tipo "Noi il bene contro l'Evil".

Se anche il cittadino medio americano ritiene che siano valide queste teorie, che giustificano anche attacchi preventivi, cluster bombs, rendition e tutte le attività che fan vedere come gli USA sono democratici (forse) a casa loro, ma poco all'estero...

... beh in questo caso Obama non fa presa.
E allora ha ragione Lieberman.

Non scordiamo che il candidato deve ascoltare gli elettori USA, non il resto del mondo (che sia mondo di serie B o meno).


Marco

G. ha detto...

Mah, direi questo è il pensiero dell'americano medio senza troppe distinzioni di partito, purtroppo. D'altronde Lieberman per poco non è diventato vicepresidente con i Democratici.
Comunque tra poco pubblicherò la (secondo me) ottima risposta di Biden

Anonimo ha detto...

Al momento da
http://www.presidentelectionpolls.com/2008/presidential-matchups/barack-obama-vs-john-mccain.html

... risulta che Obama prevale come poll 46.9% contro McCain 43.4%.

Ma considerando i singoli stati (win-takes-all), Obama ha 214 punti contro 290 di McCain e quindi vincerebbe McCain.

Ci sono in particolare 88 voti elettorali su 538 totali su stati in cui il distacco tra i due è inferiore al 2%.

Pennsylvania 21
Ohio 20
Michigan 17
Virgina 13
Minnesota 10
Iowa 7

Vi sembra sensato considerare come stati in discussione quelli con un distacco del 2%?
Uso poi come stati strong per uno dei due concorrenti quelli in cui il distacco è superiore al 10%.


Marco