giovedì 3 aprile 2008

Ancora in gioco

di Mark Halperin e James Carney (TIME)


Hillary Clinton è spesso paragonata a Lady Macbeth (dai suoi detrattori) o alla fiera divinità romana Giunone (dai suoi sostenitori). Ma in questo periodo sembra più Cassandra, che tenta disperatamente di spiegare perchè rimane ancora in gioco per la nomination Democratica.
La Clinton è ben conscia delle difficoltà che deve affrontare nella battaglia contro Barack Obama. Sa che più si avvicina la convention Democratica, più i dissapori tra i due candidati minano le possibilità di Obama di vincere le elezioni presidenziali. rafforzando l'immagine dei Clinton come di una coppia malevola che farebbe di tutto per vincere, anche a danno del proprio partito.

Ma per i Clinton, ritirarsi è fuori discussione. "La mia famiglia non è molto brava nel tirarsi indietro" ha detto Bill Clinton in West Virginia il 26 marzo. Quando la Clinton chiude gli occhi, vede John McCain trionfare a novembre contro Obama, in una gara che lei crede di poter vincere. Come tutti i candidati competitivi, la Clinton è certa di di essere meglio del rivale, e si sente obbligata nei confronti dei suoi supporter ad andare avanti. "La gente che mi sostiene sicuramente non vuole finirla qui" ha detto al TIME mentre era in Pennsylvania "Mi dicono sempre che vogliono andare avanti. Vogliono che continui a lottare".

Che i sostenitori della Clinton la vogliano ancora in corsa è fuori di dubbio. Ma è anche irrilevante. Ed è per questo che la senatrice subisce la pressione di chi vuole che spieghi perchè ha deciso di andare avanti anche durante l'estate, a dispetto dell'insormontabile vantaggio di Obama tra i delegati elettivi "Per fare in modo che la tua decisione non sia vista da tutti come il comportamento di una persona che non sa perdere" ha detto un importante esponente Democratico "devi spiegare come intendi vincere. Ma nessuno può chiarire questo punto".
Infatti, le possibilità di una rimonta della Clinton sono remote. Anche se vincesse in maniera convincente le primarie del 22 aprile in Pennsylvania, e riuscisse a cavalcare l'onda della vittoria superando Obama anche in Indiana e North Carolina il 6 maggio, molto probabilmente resterebbe ancora alle spalle del rivale nella conta dei delegati. La notizia che nè Florida nè Michigan organizzaranno nuove primarie è un altro duro colpo per la Clinton.

Ma la Clinton non solo intende rimanere in corsa, lei e i suoi consiglieri stanno approntando una strategia che ritengono possa portare alla nomination. Si tratta essenzialmente di convincere i superdelegati che è troppo rischioso concedere una chance a Obama, che lei è l'unico candidato che può battere McCain. E' una mossa azzardata. Può funzionare ma, come molti Democratici si chiedono, a quale costo?
La questione del vincitore delle primarie non è di solito una cosa soggettiva. C'è un processo, complesso, attraverso cui i candidati conquistano delegati; dopo che l'ultimo stato ha votato, si conteggiano i delegati e chi ne ha di più vince la nomination. Quest'anno non è così. I due principali candidati hanno guadagnato entrambi un vasto numero di delegati, trovandosi in una situazione in cui nessuno dei due può realisticamente raggiungere il quorum richiesto per la nomination.
Vista questa insolita situazione, la Clinton ha colto l'occasione per spostare il focus non sui numeri ma sui sentimenti: chiedere ai superdelegati di prendere una decisione soggettiva riguardo il candidato con più possibilità di conquistare la Casa Bianca. Il primo elemento a suo favore è demografico "Le donne sono la maggioranza del mio elettorato" ha spiegato la Clinton al TIME "e vado forte tra gli ispanici, così come tra gli anziani. Dobbiamo ancorarci al nostro elettorato negli stati che dobbiamo conquistare, e credo di essere in una buona posizione per farlo".

C'è anche un'altra questione delicata, ovvero il fatto che Obama è pericolosamente debole in alcuni settori chiave. La Clinton ha sollevato la questione riguardo la capacità di Obama di di conquistare il voto delle classi operaie bianche in stati come Ohio e Pennsylvania e degli ispanici in New Mexico e Colorado - tutti stati in bilico e che probabilmente decideranno le presidenziali.
Poi c'è sempre la questione dell'esperienza. La Clinton pensa che il sostegno di Obama sia in larga parte un miraggio - una massa di illusi che lo potrà portare alla nomination, ma che non basterà a vincere le elezioni generali, quando l'incantesimo sarà spezzato dalle domande riguardo la sicurezza nazionale, la politica economica e l'esperienza.

Ma questo aargomento è diventato un boomerang in queste ultime settimane, quando la Clinton si è trovata sulla difensiva riguardo la sua esperienza da First Lady. E con imbarazzo ah dovuto ammettere che un viaggio in Bosnia nel 1996 è stato molto meno pericoloso e drammatico di quanto aveva voluto far credere.
Rimane perciò la speranza di trovare uno o due scheletri nell'armadio di Obama, in modo tale da renderlo impresentabile a novembre.

Sono queste tattiche a preoccupare maggiormente i Democratici, anche quelli non schierati. "Il problema" ha detto uno di loro "dell'idea che possa apparire misteriosamente qualcosa che metta fuori gioco Obama, è che l'unico modo in cui potrebbe misteriosamente apparire è se saranno i Clinton a farlo. Perciò la cosa che dovrebbe convincere la gente che Barack Obama non può vincere deve venire da Bill o Hillary Clinton.
Questo non sembra scoraggiare la senatrice. Un confidente ha detto "Questa donna non si tira mai indietro. Nè lei nè suo marito". Perciò non aspettatevi che questa corsa finisca presto.




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