martedì 1 aprile 2008

Trascinandosi verso Denver

di Noam Scheiber (The New Republic)


Quando pensano all'Apocalisse, i Democratici vedono Hillary Clinton e Barack Obama che si sfidano come Ted Kennedy e Jimmy Carter alla convention del 1980. La traiettoria di queste primarie è infatti pericolosamente simile a quella che produsse effetti disastrosi. Carter aveva costruito una solida leadership tra i delegati vincendo in iowa, New Hampshire e stati del Sud, ma più in là Kennedy conquistò alcuni stati maggiori. Alla fine delle votazioni, Kennedy era a un soffio da Carter e guardava alla convention con fiducia.
Kennedy adottò tutte le tattiche possibili per seminare zizzania tra Carter e i suoi delegati e convincere questi ultimi a non seguire il loro vincolo, una strategia che al tempo stesso funzionò fin troppo bene ma non abbastanza bene. Kennedy conquistò la maggior parte dei delegati unpledged e indecisi, ma la nomination andò a Carter.

L'immagine emblematicadi quella convention è una foto che raffigura Kennedy e Carter sul palco del Madison Square Garden: Carter è voltato verso Kennedy e aspetta un gesto di unità, ma Kennedy gli dà le spalle e va nella direzione opposta.

Non è concepibile che i Democratici vogliano ripetere questo spettacolo a Denver. E' vero che Obama e la Clinton non sono separati dalle divisioni ideologiche di Carter e Kennedy, ma proprio per le molte affinità fra loro, è maggiore la tentazione di creare divisioni su basi razziali o di genere.
La buona notizia è che una dura battaglia convention si può prevenire: tutti sanno che uno scenario così drammatico va evitato. La cattiva notizia è ciò che non si può prevenire: che la lotta vada avanti fino a giugno. Anche senza arrivare alla convention, la traiettoria di queste primarie può distruggere le aspirazioni presidenziali del partito.


I Democratici non sono famosi per avere una razionalità degna di Spock, ma persino loro capiscono che bisogna evitare una convention fallimentare.

C'è un movimento in atto, quello dei superdelegati verso il probabile vincitore. "Penso che una volta che avremo la conta finale dei delegati, le cose si risolveranno velocemene" assicura il rappresentante Chris Van Hollen. Questo vuol dire che i Democratici non aspetteranno molto dopo il 3 giugno, ma anche che non ci sono chances di risolvere la questione prima, come invece vorrebbero molti leader come Nancy Pelosi, spaventati dalla possibilità che i superdelegati risultino decisivi.

Il problema è che ogni giorno che la Clinton e Obama passano ad attaccarsi, è un giorno che avvicina John McCain alla Casa Bianca.
I Democratici dovrebbero sfruttare le tensioni tra McCain e la base conservatrice dei Repubblicani, sottolineando le affermazioni anti-cattoliche e omofobiche del pastore evangelista John Hagee, che appoggia il senatore. Dovrebbero ridicolizzare il suo cambiamento di posizione sulla riforma fiscale di Bush.
Invece avviene tutto il contrario: i legami di McCain con la destra rimangono nascosti, mentre i panni sporchi dei Democratici vengono lavati in pubblico.

Alla fine di febbraio, un sondaggio Gallup dava Obama in vantaggio di 15 punti su McCain tra gli indipendenti. Il 6 marzo, McCain era avanti di dieci punti - prima delle polemiche sul Reverendo Wright - e anche la Clinton aveva perso 15 punti tra gli indipendenti.
Se McCain dovrà affrontare Obama, avrà un altro vantaggio: se la vedrà con un candidato indebolito dagli stessi Democratici.

In una dichiarazione, la Clinton per attaccare Obama ha esaltato l'esperienza di McCain. Questo è stato percepito da molti - e da entrambi gli schieramenti - come un'ammissione che McCain sarebbe un presidente migliore di Obama. Una bomba atomica elettorale.

D'altronde è fatale che, quando la campagna diventa insolitamente lunga, non ci sia altro da fare che attaccare il diretto rivale. E' per questo che Nancy Pelosi ha stretto un patto informale con i colleghi, per intervenire direttamente se i toni dovessero inasprirsi ancora di più. Ma questo patto ha un difetto: se i leader non possono intervenire prima che sia avvenuto un serio danno, quando interverranno il danno sarà già fatto.
Peggio ancora, ogni missile che colpisce l'obiettivo distrugge anche chi lo ha lanciato. Ad esempio, l'unico modo con cui la Clinton può conquistare i superdelegati e ottenere la nomination è distruggere la credibilità di Obama. Ma così facendo scoraggerà gli elettori afro-americani dal votarla a novembre, e Hillary non può pensare di battere McCain senza un forte sostegno nero a Cleveland, Detroit o Philadelphia.

Sfortunatamente per chi vuole che la gara finisca presto, ci sono numerosi intoppi. Hillary dovrebbe farsi da parte, un'eventualità altamente improbabile in ogni caso, ma specialmente con i casi di Michigan e Florida ancora in ballo. E nel frattempo lei potrebbe recuperare in stati come l'Indiana o la North Carolina.

Per riassumere: lo scenario più ottimistico dipende da presupposti altamente improbabili, e resta comunque difficile, e ugualmente trascinerebbe lo scontro per altre sei brutali settimane.

Il sogno non è ancora morto, ma ha visto giorni migliori.

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