martedì 5 febbraio 2008

Tutti gli endorsement testata per testata

Arizona Republic: Obama, McCain
Atlanta Journal Constitution: Obama, Romney
Boston Globe: Obama, McCain
Chicago Tribune: Obama, McCain
Kansas City Star: Clinton, McCain
Hartford Courant: Clinton, Romney
Los Angeles Times: Obama, McCain
New York Post: Obama, McCain
New York Times: Clinton, McCain
Sacramento Bee: Obama, McCain
Salt Lake Tribune: Clinton, Romney
San Francisco Chronicle: Obama, McCain
San Jose Mercury News: Obama, McCain
St.Louis Post-Dispatch: Obama, McCain

E gli endorsement di politici e VIP:

Joseph Lieberman (indipendente, ex Dem.): McCain
Gary Hart (ex candidato pres. Dem.): Obama
John Kerry (ex candidato pres. Dem): Obama
Henry Kissinger (ex segretario di stato): McCain
Madeleine Albright (ex segretario di stato): Clinton
Ted e Caroline Kennedy: Obama
Arnold Schwarzenegger (Gov. California, Rep): McCain

Scarlett Johannson (attrice): Obama
Chuck Norris (attore): Huckabee
Howard Stern (conduttore radio): Paul
Sylvester Stallone (attore): McCain
Toni Morrison (scrittrice premio Nobel): Obama
Oprah Winfrey (conduttrice tv): Obama

3 commenti:

Anonimo ha detto...

in Italia leggo su Il Mattino di Napoli che chi è con Veltroni preferirebbe Obama. Chi è con D'Alema preferirebbe Rodham Clinton. C'è poi Giovanna Melandri che ha votato veramente, poiché nata a New York, per Obama ma "tentata da Hillary".

Anonimo ha detto...

Anche la politica americana può essere interessante. Non tanto entusiasmante, drammatica, spettacolare e sorprendente quando quella italiana, ma di sicuro interessante. Rimane il fatto che, negli Usa, prima del voto partigiano (primarie) e di quello popolare, i potenziali candidati alla presidenza devono sottoporsi ad una
selezione puramente economica: chi riceve piú appoggio finanziario puó accreditarsi per la gara. Mentre in Italia i partiti decidono chi candidare, in America le candidature vengono decise dai contribuenti. Questa volta, però, non è solo questione di “chi ha più soldi”. In queste elezioni presidenziali, i soldi rappresentano
l'80% del potere elettorale ma, a sorpresa, si è intromesso un elemento strategico. Ed è questo l'elemento interessante. Ma andiamo per ordine.
Sin da prima delle elezioni presidenziali del 2004, l'establishment del partito Democratico aveva “de facto” designato la senatrice dello stato di New York, Hillary Clinton, come candidata alle presidenziali del 2008. Questa decisione aveva creato non poca tensione dentro lo stesso partito, visto che, in quella situazione, la Clinton non poteva appoggiare la candidatura
alla presidenza del democratico John Kerry. Per molti analisti, l'elezione presidenziale del 2004 doveva essere una “passeggiata verso la Casa Bianca” per qualsiasi candidato Democratico. Ma, nonostante tutti i problemi -
politici, economici, sociali - del Presidente George W. Bush, Kerry non c'é l'ha fatta, lasciando quindi aperta la finestra del 2008. Se Kerry avesse vinto, il turno per la Clinton sarebbe sicuramente arrivato nel 2012. Inoltre,
se Kerry non fosse stato un buon presidente, nel 2012 Clinton ne avrebbe pagato le conseguenze. Per questi motivi, sia l'ex-Presidente Usa, Bill Clinton, che la consorte Hillary, hanno
fatto solo il minimo indispensabile per aiutare la campagna di Kerry. Naturalmente, oggi che tocca a Hillary, Kerry ha appoggiato per la presidenza il senatore democratico dell'Illinois, Ba-
rack Obama. Durante i preparativi per le primarie - considerando la scarsa popolarità dei repubblicani - l'insidia principale per Clinton poteva arrivare solamente dallo stesso partito
democratico. Ed ecco perché alcuni media influenti, come il “New York Times”, hanno aiutato a creare un personaggio come Obama: un candidato forte abbastanza da scoraggiare qualsiasi altra candidatura piú forte, ma non
troppo insidioso per Clinton (il NYT, naturalmente, ha appoggiato Clinton). Con la sorprendente rimonta del senatore repubblicano dell'Arizona, John McCain, i repubblicani hanno un'ottima possibilità di tenersi la Casa Bianca.
Cosa che, fino a poco tempo fa - quando i loro favoriti, Rudy Giuliani e Mike Huckabee, non erano eleggibili a livello nazionale - era data persa di sicuro. Avendo avuto occasione d'incontrare McCain, lo considero un repubblicano
moderato che ha dovuto vestire i panni del lupo cattivo per farsi accettare dalle ali piú estremiste del partito. Una volta conquistata la “nomination”, tornerá ad essere il candidato in grado
di generare un ampio consenso popolare.
Con la rimonta di McCain, si é subito
mobilitata la cavalleria repubblicana, creando un appoggio incondizionato ad Obama. Infatti si vocifera che anche Rupert Murdoch, il proprietario della rete Tv conservatrice Fox, appoggi Obama (dopo un primo sostegno a Hillary), perché ora bisogna a tutti i costi
indebolire la Clinton. Con la candidatura di Obama, la Casa Bianca sarebbe più che assicurata per McCain, sul quale si riverserebbero tutti i voti repubblicani, buona parte degli indecisi, degli indipendenti, dei moderati e dell'ala destra dei democratici. Al contrario, una
sfida Clinton-McCain, porterebbe via a quest'ultimo molti voti dei moderati repubblicani, mentre alla Clinton andrebbero buona parte degli indecisi e degli indipendenti, oltre che a quelli dei democratici.
(di Dom Serafini su Il Cittadino Canadese del 13.02.2008).

G. ha detto...

Articolo molto interessante, ma condivisibile solo nella prima parte (e in effetti le lotte interne al partito sono ormai sotto gli occhi di tutti) molto meno nella seconda, visto che i sondaggi, per quel che contano, dicono che Obama ha più possibilità di battere McCain. Comunque è fuori di dubbio che la candidatura di Obama sia stata appoggiata da molti proprio perchè doveva servire a facilitare e "rendere accettabile" quella della Clinton (meglio una donna che un nero, avrebbe dovuto essere il ragionamento indotto negli elettori)